Un singolare privilegio (32/40)

Se dovessimo identificare il filo rosso che collega le varie tematiche trattate da Bergson potremmo dire che questo è rintracciabile nel contrasto che intercorre tra le esigenze pratiche, l’utilità che orienta il nostro comportamento e il divenire in quanto tale.  «Gli oggetti che circondano il mio corpo riflettono l’azione possibile del mio corpo su di essi»[i] e che quindi «gli oggetti non faranno che abbandonare qualcosa della loro azione virtuale per raffigurare così la loro azione virtuale, cioè, in fondo, il possibile influsso dell’essere vivente su di essi»[ii], possiamo dire, con una certa sensatezza, che Bergson ci dice che nell’universo noi scegliamo di occuparci solo di una parte di questo divenire.

Cioè quella parte che è adattabile ai nostri interessi, ai nostri scopi. Niente può prodursi di veramente nuovo, se non attraverso un rimescolamento di certe immagini il cui archetipo è quello del corpo umano.

Ecco la centralità della condizione umana nel modo di leggere il divenire. Bergson sottolinea che la costruzione virtuale della realtà si fonda su una dialettica, per certi versi paradossale, immagine-immagine: «Chiamo materia l’insieme delle immagini, e percezione della materia queste stesse immagini riferite all’azione possibile di una certa immagine determinata, il mio corpo»[iii].

Noi attribuiamo al nostro corpo, continua Bergson, “un singolare privilegio”: «tra tutte le immagini […] si sceglierà quella che chiamiamo il nostro cervello, e agli stati interni di questa immagine si conferirà il singolare privilegio di raddoppiarsi, non si sa come, nella riproduzione, questa volta relativa e variabile, di tutte le altre»[iv]. Il mondo materiale è un sistema di immagini e il corpo umano è una di queste immagini, che però si differenzia dalle altre e per cui intorno ad essa si dispone la rappresentazione, ovvero l’influsso che questa immagine può avere sulle altre.


[i] Bergson H., op. cit., p. 16.

[ii] Bergson H., op. cit., p. 29.

[iii] Bergson H., op. cit., p. 17.

[iv] Bergson H., op. cit., p. 21.