Il mio presente ideomotorio è la coscienza del mio corpo (31/40)

Bergson pone l’accento sul fatto che noi abbiamo assunto una visione sistematicamente cinematografica del divenire, separando il divenire in una serie di istanti distinti e immobili, non riusciamo mai davvero ad afferrare il divenire vivo e reale. Abbiniamo i nostri stati di coscienza mettendoli l’uno accanto all’altro e solo così siamo in grado di percepirli simultaneamente e così facendo proiettiamo il tempo nello spazio, l’inesteso nell’esteso e il divenire diventa una linea continua, segmentabile, come una filo srotolato.[i]

Ma per fissare un ordine tra gli stati di coscienza è necessario dapprima distinguerli per poi poter confrontare i posti che occupano.

Così facendo li percepiamo come molteplici, simultanei e distinti. Li giustapponiamo e l’ordine che otteniamo è la successione che diventa simultanea nello spazio.

Il corpo per Bergson è un “limite mobile” collocato tra il futuro ed il passato. Cioè si colloca nel «punto preciso in cui il passato terminerà con un’azione»[ii] se invece lo considerassimo come “unico istante” (senza successione) diverrebbe oggetto tra gli oggetti sui quali è in grado di agire e dai quali è in grado di farsi influenzare.

Il passato è idea, ciò che non agisce più. Il presente è ideomotorio, ciò che agisce ancora.

La temporalità in cui ci guardiamo agire è quella in cui gli elementi si dissociano e si giustappongono. La durata in cui agiamo realmente invece è quella in cui i nostri stati di coscienza si fondono gli uni agli altri. Il compito della nuova scienza filosofica secondo Bergson è quello di fare un salto per rimetterci nel corso eccezionale ed unico della natura intima dell’azione.

Il nostro agire è guidato dalla percezione abitudinaria che ha il suo accompagnamento motorio organizzato: la inconsapevole consapevolezza di una organizzazione e di un sentimento di riconoscimento abituale. Siamo gettati in un mondo di oggetti la cui sola presenza ci invita a fare certe scelte, a prenderne parte, in un certo qual modo indirizzati dalla stessa organizzazione delle cose. Le cose del mondo sono familiari. La nostra vita si svolge tra oggetti che per il solo fatto di essere lì ci invitano ad assumere una certa posizione, a fare qualcosa di un certo tipo piuttosto che un altro, dobbiamo svolgere la nostra parte e in questo consiste il loro aspetto di familiarità.

Il mio presente ideomotorio è la coscienza del mio corpo. La sensazione della mia presenza corporea implica un processo di compattamento di diverse singole sensazioni, atomiche, come il colore che si costruisce a partire dalla composizione delle diverse vibrazione di luce che lo strutturano. La sensazione implica la possibilità di una certa reazione, ovvero di un certo movimento. Il presente è la fusione di movimento e sensazione. Nell’uomo, essendoci la libertà di svincolarsi dall’ambiente circostante, ambiente che in un certo qual modo predetermina il range di possibili azioni, ci sono anche dei ricordi puri, che non servono a niente, ricordi inutili.


[i] «Giustapponiamo i nostri stati di coscienza in modo da percepire simultaneamente, non più l’uno nell’altro, ma l’uno accanto all’altro. Proiettiamo il tempo nello spazio, esprimiamo la durata attraverso l’estensione, e la successione assume per noi la forma di una linea continua o di una catena le cui parti si toccano senza penetrarsi». Bergson, I dati immediati della coscienza, Raffaele Cortina Editore, Milano, 2000, 67.

[ii] Bergson H., Materia e memoria, Editori La Terza, Roma-Bari, 2004, p. 64.