Selezioniamo solo le immagini che creano le condizioni di un’azione (33/40)

Se gli studi di fisiologia e psicofisiologia consentono di comprendere il funzionamento meccanico dei processi percettivi, ciò non vuol dire che queste discipline consentono di comprendere la nostra capacità di conoscere il mondo.

Per Bergson, la percezione ha una funzione pratica, concreta e non conoscitiva. Questo è il nucleo tematico più importante in Materia e memoria.

Quando Bergson dice che la materia è un insieme di immagini parte dal presupposto che le immagini siano qualcosa di più delle rappresentazioni, ma meno della cosa. L’immagine è qualcosa che è a metà strada tra la cosa e la rappresentazione.

Da un lato abbiamo l’insieme delle immagini che Bergson chiama materia e dall’altra parte abbiamo la percezione della materia, ovvero l’azione possibile che una certa immagine, quella del mio corpo, può esercitare su queste immagini.

La percezione indica l’azione possibile del mio corpo sulle cose, viceversa, l’affezione è l’azione possibile che le cose hanno sul mio corpo.

La percezione per Bergson effettua un taglio sulla totalità delle immagini, essa ne seleziona alcune scartando tutte le altre.

Quindi attraverso la percezione poniamo attenzione, consideriamo, nell’insieme delle immagini, solo quelle che creano le condizioni di un’azione, che ci garantiscono un’azione possibile, solo quelle che ci interessano.

La scienza ci presenta un sistema di immagini come un sistema di configurazioni costanti, predicibili e che pertanto sono in grado di stabilire una continuità tra il passato ed il futuro.

Siamo gettati, quindi, sempre in una percezione cosciente, e si ricorre sempre, ogni volta, anche quando ci riferiamo all’infinitamente piccolo, a delle immagini.

Quindi per Bergson esistono immagini in quanto tali (materiali) e immagini pensate, cioè delle rappresentazioni coscienti che comportano una sottrazione, un togliere che diventa un processo di eclissamento di tutte quelle immagini che in quel momento non sono di nostro interesse. In tal sendo egli ipotizza l’esistenza di una memoria spontanea, che assorbe tutti i vissuti della nostra vita momento dopo momento, ininterrottamente e di una memoria abitudinaria, che selezione porzioni di mondo, ritaglia abitudini nel flusso diveniente delle cose. Il primo tipo di memoria produce ricordi puri la seconda ricordi-immagine.

Il secondo tipo di memoria ha una funzione meramente pratica, ci consente cioè, di poter immagazzinare l’insieme di risposte possibili, opportune per la sopravvivenza, agli stimoli che ci provengono dall’ambiente circostante. I ricordi immagine ci garantiscono la possibilità di agire, cioè di selezionare alcune cose piuttosto che altre perché in alternativa avremmo un flusso percettivo insostenibile ed una massa di ricordi caotica e poco funzionale alla nostra esistenza di essere umani che necessariamente dobbiamo essere concentrati su di una porzione del mondo.

Una lesione alle aree della memoria causerebbe non una perdita dei ricordi ma l’impossibilità che i ricordi arrivino alla percezione. Seguendo questa ipotesi il cervello sarebbe solo uno strumento di azione (percezione) e non di conoscenza.

Noi riconosciamo automaticamente alcuni oggetti che (abitudinariamente) incontriamo davanti a noi perché di questi oggetti noi sappiamo farcene qualcosa, ce ne serviamo, sono utili per i nostri fini di sopravvivenza.

Quindi c’è distinzione tra il ricordo puro, il ricordo immagine e la percezione, anche se nessuno di essi si produce isolatamente. La percezione non si riduce al mero contatto con l’oggetto, ci sono sempre dei ricordi-immagine che completano l’atto. Il ricordo-immagine, dal canto suo è intrecciato al ricordo-puro della percezione. Il ricordo-puro permane nella memoria spontanea, è un ricordo che non serve alla vita, non ha nessun risvolto pratico, è inutile, non è selezionato per una certa finalità connessa ai nostri interessi umani.