Melanie Klein. Il suo mondo e il suo lavoro: parte 3

L’entrata nella posizione depressiva del bambino si realizza intorno ai cinque mesi: emerge in questa fase un rapporto nuovo, più evoluto con la madre che viene riconosciuta come oggetto totale e unitario. La madre identificata ed amata come oggetto è in grado di alleviare il disagio strutturale della vita, è in grado proteggere il bambino dai suoi persecutori interni ed esterni. Eppure, l’oggetto amato, diventa ambivalente. Infatti, il bambino, attraversato dall’aggressività, dall’odio e da innati impulsi distruttivi, crede che l’oggetto possa in qualche modo essere danneggiato e perduto. È qui che si colloca l’esperienza della colpa e il desiderio di riparazione: la spinta riparatoria verso l’oggetto amato, tentativo di reintegrare l’oggetto buono nel proprio mondo interno. La posizione depressiva, si colloca, nella crescita di ogni bambino, nel momento in cui si matura l’esperienza della colpa per il danno arrecato all’oggetto e della concomitante esperienza di riparazione generata dai sentimenti d’amore ricevuti e dati. La posizione depressiva avrà una epilogo positivo se la natura della relazione d’oggetto gli avrà consentito la delicata operazione di separazione e di introiezione di un oggetto buono a cui identificarsi ad un oggetto interno in grado di proteggerlo dall’angoscia e dalla persecuzione.

Le stesse tematiche emergono in “Il lutto e la sua connessione con gli stati maniaco-depressivi”. Nel lutto si riattivano problemi e conflitti propri della posizione depressiva. Il soggetto vive il dolore lacerante della perdita di un oggetto buono e allo stesso tempo non riesce a controllare l’ostilità per chi morendo di fatto lo sta abbandonando: il soggetto, nel lutto, vive l’angoscia di perdere gli oggetti buoni interiorizzati e con essi la sicurezza e la protezione connessa. Una buona e positiva elaborazione del lutto si ottiene ristabilendo l’oggetto d’amore perduto nel mondo interno, grazie all’azione dei buoni oggetti interni introiettati e dalla forza con cui questi si sono agganciati alla storia dell’individuo. La dolorosa e lenta riconquista dell’unitarietà del proprio mondo interno è ciò che accade alla signora A., caso clinico in cui, dice la Grosskurth, si intravede la stessa figura della Klein che analizza il suo personale dolore per la morte del figlio Hans, dall’angoscia intollerabile passa alla riparazione fino “alla convinzione che l’oggetto perduto era conservato dentro di lei e che attraverso la sofferenza, si era arricchita dentro e aveva acquistato saggezza”[1].

La Grosskurth legge le vicende biografiche di Melanie Klein a partire dal superamento del dolore depressivo che consente alla psicoanalista di crescere ed affrontare le avversità della vita. Donna che vive in modo appassionato ed intenso sia gli affetti che il lavoro, donna generosa ma allo stesso tempo intransigente quando si tratta di affermare le proprie idee. Grosskurth si sofferma sui rapporti con gli allievi, gli amici ed avversari. Molte sono le pagine dedicate al dibattito e allo scontro all’interno della società psicoanalitica britannica, degli anni 1942-44, tra il gruppo dei kleiniani e quello di Anna Freud ed Edward Glover. Emerge una Klein ostinata e ferma nelle sue posizioni.


[1] Grosskurth Phyllis – Melanie Klein, op. cit, p. 297