Neurofisiologia dell’ansia

In questo e nei prossimi post approcceremo, brevemente e senza alcuna pretesa di esaustività, alcune questioni connesse alla neuro-psico-fisiologia. È interessante, almeno per me lo è, confrontarsi anche con discipline ed approcci distanti da quello della psicoanalisi e della filosofia. Non fosse altro che per garantirsi la possibilità di intercettare anche in questi discorsi, qualcosa, qualche brandello di conoscenza in grado di aprirci a qualcosa di nuovo. Più che una vera e propria articolazione del tema, qui mi propongo di accennare ai vari punti nodali provando ad indicare il percorso bibliografico di riferimento per chi poi sarà interessato ad approfondire la questione.

L’ansia dovrebbe essere, una modalità di risposta d’allarme. Il punto è che tale risposta può essere adattiva, in tal caso avremo un’attivazione motoria, mobilitazione, comportamenti di lotta o fuga (fight-flight behaviours), comportamenti di congelamento (freezing behaviours): ovvero comportamenti adattivi al fine della sopravvivenza. Oppure una risposta disadattiva, nel qual caso avremo risposte inappropriate e/o esagerate a stimoli che possono essere deboli o talvolta inesistenti, comportamenti che interferiscono con la vita quotidiana e provocano disagio: ovvero, patologia.

Delineeremo qui alcuni aspetti psicofisiologici connessi all’ansia.

Innanzitutto, ricordiamo l’elevata attività simpatica connessa alla presenza di un elevato livello di arousal e di allerta  e generalmente di uno stato di esagerata “preparazione a”. Avremo dunque:  aumento della frequenza cardiaca, dell’attività elettrodermica e della tensione muscolare. (Barlow, 2004).

È stata inoltre misurata una notevole inflessibilità autonomica nei pazienti ansiosi e cioè è stata rilevata un diminuzione della variabilità sia della conduttanza cutanea sia della frequenza cardiaca. Ciò sembra esser dovuto ad una riduzione dell’attività parasimpatica (Borkovec, 1994; Barlow, 2004).

È stata inoltre riscontrata un’attivazione cerebrale asimmetrica. È stato osservato che un aumento dell’attività dell’emisfero sinistro è correlato ad una tendenza alle emozioni positive, diversamente, un incremento dell’attività della parte destra è associata a emozioni negative (Davidson & Tomarken, 1989) .

Altri autori hanno riscontrato nei pazienti ansiosi una maggior attività nella parte frontale destra rispetto alla frontale sinistra: questo sembra essere definibile come marker corticale dell’ansia.

Possiamo sintetizzare che, come vedremo anche nei prossimi post, da un punto di vista neurofisiologico l’ansia è connessa a: una notevole attività autonomica a livello della branca simpatica; alla funzione preponderante della serotonina e al coinvolgimento dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene; all’azione di strutture sottocorticali come l’amigdala, il sistema limbico e quello ippocampale.

Possiamo dire che l’ansia, da un punto di vista neurofisiologico, è un fenomeno complesso che necessità di un approccio multidimensionale, non solo per descriverne il funzionamento ma anche e soprattutto quando si pianifica un possibile trattamento.

Bibliografia

Barlow, D. H., & Allen, L. B. (2004). The scientific basis of psychological treatments for anxiety disorders: past, present and future. In J.M. Gorman (Ed.), Fears and Anxiety: Benefits of Translational Research. Washington, DC: American Psychiatric Press

Davidson, R. J., & Tomarken, A. J. (1989). Laterality and emotion: An electrophysiological approach. In F. Boller & J. Grafman (Eds.), Handbook of neuropsychology (pp. 419-441). Amsterdam: Elsevier. Boller & J. Grafman (Eds.), Handbook of neuropsychology (pp. 419-441).

Borkovec, T.D. (1994). The nature, functions, and origins of worry. In G. Davey e F. Tallis (Eds.), Worrying: Perspectives on theory, assessment and treatment (pp. 5-33). Chichester, England: Wiley.