La spazializzazione delle sensazioni (19/40)

Grazie allo spazio è possibile il numero in quanto effetto della giustapposizione di punti matematici che allineati possono essere contati.[i]

Quindi il numero è costituito dalla giustapposizione nello spazio.

Ogni volta lo spazio guiderà la nostra percezione. Numeriamo le nostre sensazioni. Sento il rumore dei passi di un uomo. Ogni suono lo localizzo in un punto dello spazio in cui quell’uomo avrebbe potuto posare il piede. Allineo le mie sensazioni alle loro presunte cause tangibili. Un piede qua e poi l’altro là.[ii]

Così, la molteplicità che caratterizza il “mondo delle cose”, degli oggetti disposti nello spazio, la ritroviamo anche nella coscienza, nei fatti di coscienza, che, attraverso la spazializzazione non può che usufruire di un processo di rappresentazione simbolica.

Quindi la molteplicità degli oggetti materiali (unità disposte nello spazio) costruisce il numero e la numerosità in genere (la possibilità di contare).

La molteplicità dei fatti di coscienza per assumere la forma di un numero (unità disposta nello spazio) necessità di una “rappresentazione simbolica” che implica lo spazio.[iii]

Il primo punto che isolerei è questo: la rappresentazione simbolica dello spazio ci porta inevitabilmente a separare lo spazio dal suo contenuto.

Kant, attraverso la teoria sviluppata nell’Estetica trascendentale attribuisce allo spazio un suo statuto, una sua esistenza indipendente dal suo contenuto. Questa ipotesi teorica non gli consente di rendersi conto che anche l’estensione è un’astrazione come le altre.

Quindi abbiamo uno spazio e un contenuto di questo spazio.

Potremmo dire, osando un po’, che tutto l’empirismo scientifico cerca di studiare il modo in cui questo contenuto, prende posto nello spazio, a partire comunque dall’operazione di pensiero che separa il contenuto dallo spazio.

Lo spazio, come astrazione mentale, ci consente di distinguere le sensazioni, le une dalle altre, sensazioni che altrimenti sarebbero identiche e simultanee, cioè non “serializzate” in un “prima” e un “dopo”, in un “qui” e un “lì”, non giustapposte, non spazializzate.

Giustapponiamo le nostre sensazioni, le rappresentiamo dunque, una accanto all’altra. Le proiettiamo nello spazio. Le quantifichiamo. Diamo loro volume. Estensione. Le collochiamo in una successione che prende la forma di una linea continua.

Così si mescolano le sensazioni (fenomeni non spaziali, non quantitativi ma qualitativi, cioè intensivi) con le rappresentazioni (spaziali, estensive, quantitative nel senso geometrico del termine).

Nello spazio abbiamo unità giustapposte, le une di fronte all’altre. Così segmentiamo, suddividiamo il nostro flusso sensoriale. Cioè trattiamo le sensazioni come cose, come oggetti.

Le cose si possono suddividere, segmentare, scomporre.

Gli atti di coscienza no. Un atto di per sé non è scomponibile.

Ecco che ci abituiamo a predisporre nello spazio i nostri stati di coscienza, disponendoli lungo una linea che si può percorrere, in avanti e in dietro, proprio come facciamo quando camminiamo lungo una strada. Così facendo, solidifichiamo le nostre sensazioni, diamo volume ad esse, le localizziamo in un certo qual luogo.[iv]


[i] «…materia con cui lo spirito costituisce il numero […] sin dall’origine ci si [è] rappresentato il numero attraverso una giustapposizione nello spazio» Bergson H., I dati immediati della coscienza, Raffaele Cortina Editore, Milano, 2000, p. 57.

[ii] Ibidem.

[iii] Bergson H., I dati immediati …, op. cit., p. 58.

[iv] «Si produce un fenomeno di endosmosi, una mescolanza tra una sensazione puramente intensiva e una rappresentazione estensiva dello spazio percorso dimenticando che si può dividere una cosa ma non un atto e tra l’altro ci abituiamo a proiettare questo stesso atto nello spazio, a disporlo lungo la linea che il mobile percorre, solidificandolo: come se questa localizzazione di un progresso nello spazio non fosse la riconferma di fatto che anche dal di fuori della coscienza, il passato coesiste con il presente.» Bergson H., I dati immediati …, op. cit., pp. 73-74.