L’errore delle neuroscienze (20/40)

Il concetto di “durata” evoca inevitabilmente quello di “corrente di pensiero” di William James che rimette l’accento, sulla differenza tra il vissuto (la reazione emozionale, il sentire un certo sconvolgimento omeostatico…) rispetto alle virtualizzazioni, ai tratteggi delle azioni e del pensiero.

Come è noto, Bergson, critica la nozione di intensità che applicata ai processi percettivi si rivela inadeguata, soprattutto perché la psicologia sperimentale e le neuroscienze tendono a concepire l’attività psichica a partire da fattori esterni che fungerebbero da causa, incluse le modificazioni fisiologiche.

L’errore più comune è proprio quello di confondere il concetto di esteso con quello di inesteso, infatti possiamo applicare i concetti di crescita o diminuzione a ciò che è esteso ma non a ciò che appartiene all’ordine dell’intensivo.

L’attività psichica implica sempre delle variazioni di tipo qualitativo, infatti, anche le variazioni fisiologiche che possono essere misurate, in realtà, sono oggetto di coscienza e pertanto entrano nell’ordine dei fenomeni qualitativi e non quantitativi.

Noi tendiamo a numerare le nostre sensazioni: prima questa, poi quest’altra e poi quest’altra ancora. Uno, due, tre. Da un numero si passa ad un altro. Ma nelle sensazioni non è così. Perché tra uno e due, tra una sensazione ed un’altra non c’è una sensazione intermedia (numeri tra 1,1 e 2,0). Ciò che cambia è dell’ordine della “qualità” della sensazione.

La numerazione, la messa in sequenza, prima-dopo, implica alla base una molteplicità che si gioca nello spazio. Per riuscire a rappresentarci entità (per esempio numeri o sensazioni) è necessario non solo collocarle in una dimensione spaziale ma anche metterli in sequenza e concepire le singole unità come ognuna uguale all’altra, come dei punti. Il processo di sommazione implica un movimento virtuale che comporta in primis una scomposizione in unità singole (numeri, punti, sensazioni) diffuse in uno spazio e, in un secondo momento, la sommazione di queste unità attraverso un processo di composizione.

Lo spazio per Bergson consente il processo di scomposizione, di analisi, di suddivisione, di moltiplicazione, ma la realtà non è suddivisa in questo modo. Infatti, l’idea stessa di numero implica una regola fondamentale come premessa: è impossibile che due oggetti possano occupare lo stesso luogo nel medesimo tempo. Quindi l’idea di numero implica quella che il numero debba distribuirsi nello spazio, giustapponendosi ad un altro numero. Cioè la differenza tra il numero 1 e il numero 13, per esempio, si gioca nella differenza di posizione del luogo occupato nello spazio. Ora, l’errore che viene compiuto dalla psicologia sperimentale e dalle neuroscienze è confondere la molteplicità degli stati psichici con la molteplicità numerica degli oggetti, delle entità fisiche giustapposte nello spazio. La vita psichica è costituita da cambiamenti qualitativi, variazioni qualitative, sensazioni che si compenetrano con pensieri, concetti.

In effetti, questo approccio alla vita psichica risponde ad un’esigenza strutturale dell’essere umano: la necessità di fissare, di distinguere in parti l’unitarietà il movimento, il mutamento, il fluire continuo dei cambiamenti, il divenire, il vivente che pulsa.

L’unitarietà del vivente non può essere scomposta, artificiosamente, in una sequenza di processi, di immobilità virtualizzate e trasposte nello spazio.

Il vivente può essere libero solo se supponiamo che nel fondo, nella profondità della coscienza, ciò che orienta le nostre scelte non siano degli atti psichici concepiti gli uni esterni agli altri, essi si susseguono come delle variazioni di qualità sensoriale e somatiche, insieme a quelle significante.

La causalità, la logica causa-effetto non ha presa sull’atto libero di coscienza. Il rapporto causale implica che un certo fatto, la causa, sia esterna ad un altro fatto, che ne sarebbe l’effetto. Questo dentro-fuori tra i due fatti sarebbe uno degli altri postulati fondamentali alla base della psicologia sperimentale e delle neuroscienze perché sarebbe la conditio sine qua non per postulare la ripetitività dei fenomeni e delle loro relazioni causali. Il vivente, non esperisce mai due volte lo stesso vissuto, non c’è in lui mai lo stesso vissuto, esso muta in modo irreversibile. Le neuroscienze partono dall’ipotesi che la localizzazione cerebrale dei ricordi (la loro collocazione in un certo luogo nello spazio o anche in più punti, non ha importanza questo) autorizzi a trattarli come qualcosa di spazializzato in una sequenza di fenomeni fisiologici regolati dalla logica causa-effetto.