Due note su Melanie Klein e Lacan: parte 1

In Melanie Klein il nesso tra le vicende biografiche e le questioni  teoriche è molto evidente, il lavoro di Grosskurth Phyllis  “Melanie Klein. Il suo mondo e il suo lavoro” lo dimostra molto bene. Cercheremo, più avanti di leggere qualche passo di questo libro.

Ciascuna delle psicoanaliste donne ha fatto passare qualcosa del proprio fantasma nel proprio lavoro. La spinta al superamento delle questioni familiari è stata messa, per così dire, a disposizione della comunità. È un modus operandi simile alla passe lacaniana: qualcosa di intimo, di singolare, viene messo a disposizione della comunità. Ecco perché tanti si sono occupati della biografia di Melanie Klein. Le donne analiste diventano per Lacan una categoria a se stante, la loro posizione è migliore per assumere la funzione analitica: le donne sono “non-tutte”.

I post-freudiani (così si usa definire i “non-lacaniani”!) pensano al rapporto sessuale come possibile: una terra promessa non raggiunta. Non prendono in conto l’impossibilità del rapporto sessuale, del reale. La gratitudine kleniana è la credenza nel rapporto sessuale come possibile, come restituzione all’altro di qualcosa, è il movimento che controbilancia la prima espressione aggressiva nei confronti dell’altro: restituire il “buon seno”. Il sadismo soggettivo di Klein si contrappone al sadismo simbolico di Lacan. La gratitudine limita questo sadismo, questa aggressività. È un movimento correttivo immaginario, di restaurazione, di consenso all’altro, di dono all’altro. Lacan, a differenza della Klein, quando parla di alienazione nell’altro, a questo passaggio connette sempre la separazione: da questo movimento se ne esce estraendo un oggetto. In Melanie Klein l’alienazione non comporta una separazione, ma la gratitudine.

In Lacan l’alienazione è un movimento che va verso l’Altro bagnandosi nei significanti che vi trova, facendo gancio sull’oggetto: in questi significanti reperisce qualcosa del proprio essere. L’andata e il ritorno non sono la stessa cosa. Il soggetto viene al mondo in un altro che lo accoglie, che viene verso di lui, c’è una costellazione familiare, è la dimensione pacificante del simbolico. La distruttività del bambino trasformata consente di ricostruire l’immagine materna: la sublimazione come restaurazione dell’immagine materna. Lacan invece elegge l’oggetto a dignità di cosa. L’oggetto in Lacan non è nella madre ma è tra lui e la madre, l’oggetto è tra sé e l’altro, l’oggetto non è tra i due. Il soggetto quando si aliena nell’altro inciampa in questo oggetto che però era già suo, l’oggetto gli resta “appiccicato”, ed è lì che può condensarsi il suo godimento. Facendo ritorno da questo movimento alienante, riesce a godere di questo oggetto in quanto dell’altro. Il bambino riconosce questa parte che gli resta “appiccicata” e che riesce a riconoscere a partire dai significanti dell’altro. Il godimento del seno è un godimento particolare che il soggetto reperisce solo nell’alienazione. Va a caccia di significanti e torna con il sacco pieno: trova qualcosa che condensa il godimento. Mentre nella Klein la madre è contenitore degli oggetti.