Rimuginio e pensiero verbale

Come abbiamo sottolineato nel post precedente, Borkovec individua nella predominanza del pensiero verbale il tratto caratteristico che renderebbe il “worry” qualcosa di a sé stante rispetto ai disturbi di ansia. Alcuni autori (Vrana, Cuthbert e Lang, 1986) hanno dimostrato che il pensiero verbale inerente a contenuti connotati emozionalmente in senso negativo (previsioni negative sul futuro) è in grado di ingenerare risposte cardiovascolari meno significative rispetto a quelle provocate dall’immaginazione visiva. È stato dimostrato che, soggetti, anche non ansiosi, spontaneamente tendono ad usare la strategia di verbalizzazione come modalità di gestione dell’ansia e di distacco dai contenuti emozionali eccessivamente intensi e cioè in grado di attivare cattive risposte del sistema simpatico (Tucker e Newman, 1981).

L’ipotesi di fondo sarebbe che, il distacco, per dir così,  dagli aspetti neurofisiologici del sistema cognitivo-verbale, consentirebbe una raffreddamento razionalizzante delle emozioni: ovvero la possibilità di rispondere in modo più pertinente all’imminente pericolo o problema, senza cadere in reazioni eccessivamente impulsive. Rimuginare consentirebbe quindi di calarsi in uno stato di  semi-allerta che è diverso sia da quello di rilassamento che da quello di estrema agitazione tipica dello stato d’ansia acuto. Il “worry” è una condizione mentale che si potrebbe definire “adattativa”, ovviamente, almeno fino al momento in cui si prende una decisione operativa o si è costretti a reagire concretamente.

L’inibizione prolungata del riconoscimento emozionale prodotta dallo stato di “worry” può indurre anche condizioni disadattive, ovvero, a lungo andare, può produrre quelle stesse emozioni sgradevoli oggetto di evitamento. La ripetizione mentale assillante delle parole connesse al problema, abbinato alle previsioni catastrofiche, l’incapacità di fare una scelta operativa in risposta al problema, la tendenza a valutare tutte le soluzioni come insufficienti e non definitive: ecco i tratti caratterizzanti del rimuginio.

Piuttosto che preoccuparsi, il soggetto rimugina, ripete a se stesso che le cose vanno male o che andranno peggio, tutto questo senza riuscire a modulare o entrare nel dettaglio dei suoi pensieri (Williams, Watts, MacLeod e Mathews., 1997). L’oggetto causa delle sue preoccupazioni è statico e astratto, cristallizzato in una posizione di terrificante attacco. L’immaginazione e la fantasia nel rimuginare patologico, non consentono di rappresentarsi un’agente minaccioso in modo chiaro ma nonostante ciò, la minaccia è sempre in procinto di produrre l’ultimo attacco, quello definitivo e irreparabile. Il perché e il come di questa irreversibilità della minaccia, il soggetto, non è mai in grado di chiarirli. L’indeterminatezza dell’agente minaccioso è proprio ciò che lo rende così ansiogeno e terrificante.

Bibliografia

Tucker, D.M. e Newman,  J.P. (1981). Verbal versus imaginal cognitive cognitive strategies in the inhibition of emotional arousal.Cognitive Therapy and Research, 5, 197-202.

Vrana, S.R., Cuthbert, B.N., e Lang, P.J. (1986). Fear imagery and text processing. Psychophysiology, 23, 247-253.

Williams, J.M.G., Watts, F.N., MacLeod, C., e Mathews, A. (1997). Cognitive Psychology and Emotional Disorders, 2nd edn.Chichester: Wiley.