Mi vedo vedermi

Fonte: Jacques Lacan, Il Seminario – Libro XI – I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi 1964, Enaudi, Torino, 2003, p. 79-80.

Mi vedevo vedermi, dice da qualche parte la giovane Parca. Questo enunciato ha sicuramente il suo senso pieno e complesso al contempo, dato che si tratta del tema sviluppato dalla Giovane Parca, quello della femminilità – ma noi non ci siamo ancora arrivati. Per ora abbiamo a che fare con il filosofo, che coglie qualcosa che è uno dei correlati essenziali della coscienza nel suo rapporto con la rappresentazione, e che si designa come mi vedo vedermi. Quale evidenza può essere attribuita a questa formula? Com’è che, insomma, essa resta correlativa di quel modo fondamentale a cui ci siamo riferiti nel cogito cartesiano, attraverso il quale il soggetto si coglie come pensiero?

Ciò che isola questo cogliersi del pensiero da parte di se stesso è una sorta di dubbio, che è stato chiamato dubbio metodico, che si applica a tutto ciò che potrebbe dare sostegno al pensiero nella rappresentazione. Com’ è allora che il mi vedo vedermi ne resta l’involucro e lo sfondo, e, forse più di quanto non si pensi, ne fonda la certezza? Poiché, mi scaldo scaldandomi è un riferimento al corpo in quanto corpo, sono vinto da questa sensazione di calore che si diffonde da un punto qualsiasi in me e mi localizza come corpo. Mentre, nel mi vedo vedermi, non è affatto percepibile che io sia, in modo analogo, invaso dalla visione.

Anzi, i fenomenologi hanno potuto articolare con precisione, e nel modo più sconcertante, come sia assolutamente chiaro che io vedo al di fuori, che la percezione non è in me, ma sugli oggetti che essa afferra. E tuttavia, io colgo il mondo in una percezione che sembra derivare dall’immanenza del mi vedo vedermi. Sembra che il privilegio del soggetto si stabilisca qui, da questa relazione riflessiva bipolare che fa si che, dal momento che io percepisco, le mie rappresentazioni mi appartengano.