L’oggetto a è ciò che resta di quell’identificazione al lutto (13/17)

Il concetto di oggetto totale è ripreso da Lacan e portato alle sue estreme conseguenze proprio a partire dalla funzione del lutto: la relazione d’oggetto, ogni relazione d’oggetto implica necessariamente un’esperienza di lutto. Per Lacan l’identificazione del lutto rappresenta l’origine della relazione d’oggetto, è alla base dell’accesso alla posizione soggettiva, infatti, l’ideale, il prototipo di ogni oggetto è di fatto l’oggetto sempre mancante ed è fondamentalmente per questo che il soggetto è soggetto di una mancanza. Ma questa mancanza è in gioco all’interno di una “relazione di reciprocità”: siamo in lutto soltanto per qualcuno di cui possiamo dire che anche noi eravamo la sua mancanza.

Se da un lato, la componente ritualistica legata alla morte di un caro, ha la funzione di dare un posto (attraverso la sepoltura per esempio) al morto, un posto ad hoc, differente da quello occupato dai viventi, dall’altro lato, per chi è in lutto la questione in gioco è quella di dare un posto al proprio desiderio. Un posto vuoto, di mancanza, che prima era occupato da un oggetto d’amore. Questo posto si coglie bene solo grazie ad una perdita radicale: è questo, per Lacan, il posto del fallo. Questa perdita radicale si declina poi attraverso i registri del reale, simbolico, immaginario.

Nel Seminario VI, Le désir et son interprétation (1958-59), interrogandosi sulla posizione di Amleto, Lacan dice che la mancanza di lutto nella madre di Amleto, la “vera genitale” che ha sostituito con estrema facilità il vuoto lasciato dal marito, tale mancanza del lutto materno, fa franare anche il desiderio del figlio e, come se non bastasse, il padre morto, che ritorna tra i viventi sotto forma di spettro, non si trova neanche nel posto in cui dovrebbe (non) essere.

L’essere umano parla e per questo è in lutto, in quanto separato dalla Cosa. La fine del complesso d’Edipo è una forma di lutto, nel senso che, ciò che resta, l’ideale dell’io, e in aggiunta a questo una certa spinta narcisistica, si intrecciano in una costruzione immaginaria attraverso la quale il soggetto prende posizione nel mondo: è il fantasma. Il soggetto è identificato con qualcosa di immaginario che per lui rappresenta la mancanza in quanto tale.

L’oggetto a, nel matema del fantasma, è l’oggetto che designa la relazione che il soggetto instaura con ciò che egli non è: egli non è il fallo. L’oggetto a è ciò che resta di quell’identificazione al lutto. Nel malinconico l’oggetto a si confonde coll’immagine narcisistica: i(a). Il lutto rappresenta la perdita di ciò che non si ripresenterà mai più nella realtà. L’oggetto perduto nel lutto acquisisce una posizione più assoluta, più ideale, proprio perché non è più riconducibile a qualcosa di esistente. È in gioco l’ordine simbolico, ma anche il suo limite nei confronti del reale: c’è sempre un resto con il quale il soggetto deve confrontarsi. Con i riti funebri la società maneggia i “resti” del defunto. Nel lutto il soggetto si trova ad affrontare l’irriducibilità di una perdita che introduce ad un processo di sostituzione.