L’inguaribile diventa la sorgente stessa della soggettività (26/28)

La chiave per entrare in quello che Freud aveva chiamato “inconscio” è il significante.

Il significante è la chiave attraverso la quale è possibile aprire la porta dell’inconscio. Ciò che si trova al di là della porta è il godimento.

Per essere accessibile l’inconscio deve essere strutturato come un linguaggio, un linguaggio che consenta di capirne la logica, anche se è una logica diversa.

Inizialmente l’infante vive traumaticamente lo sconforto (Hilflosigkeit), derivante dalla pressione dei bisogni fisiologici, dall’assoluta dipendenza dall’Altro, segue poi un’esperienza di soddisfacimento (Befriedigungserlebnis) proprio grazie all’intervento dell’Altro che offre qualcosa, un oggetto, per esempio, il seno.

Questo oggetto rappresenta il primo movens del desiderio.

Il nucleo del sintomo spinge alla ripetizione di quel soddisfacimento: è la coazione a ripetere (Wiederholungszwang).

Alla fine di un’analisi e forse di un’intera vita di ricerca, qualcosa resta, resiste, uguale a sé stesso, qualcosa che non si lascia significantizzare, qualcosa che resiste al linguaggio, con questi resti «è come parlare al vento». Per Lacan, questi resti pulsionali, sono silenziosi, non dicono niente e non si lasciano dire, tuttavia però si intrecciano con le «sfilate del significante»[i] .

La catena inconscia fa emergere un certo schema pulsionale, un circuito attraverso il quale è possibile reperire qualcosa di quei resti pulsionali, scarti, avanzi, scorie che restano, alimentati dall’incedere della pulsione che cerca e ricerca il suo soddisfacimento.

Il soddisfacimento pulsionale è per Lacan agganciato, aggrappato, imbrigliato, intrecciato, incrostato alla rete significante.

Lacan vira pertanto verso una “significantizzazione del godimento”.[ii]

La libido quindi si inscrive nel linguaggio, nel simbolico. Scrive Di Ciaccia: «Lacan spinge la significantizzazione del godimento sino al punto di dimostrare che il godimento è equivalente al significato di una catena significante inconscia, il cui vocabolario sarebbe costituito dalla pulsione.» [iii]

Tuttavia, Lacan nel Seminario VII, sull’etica della psicoanalisi, riprendendo tra l’altro il Progetto e l’Epistolario con Fliess, sostiene che la pulsione non è trattabile con la parola. Ciò che resiste ad ogni significantizzazione, il resto ultimo per eccellenza, è il das Ding, la Cosa. La parola non riesce ad incidere sul godimento, sulla Cosa, sul Das Ding, il soddisfacimento pulsionale. È fuori da ogni azione di simbolizzazione, è il reale.

D’altro canto, il godimento è accessibile solo con una rottura degli schemi significanti, con una trasgressione.

Gli oggetti pregenitali in Lacan hanno importanza perché si intrecciano alla domanda: l’oggetto orale si riferisce alla domanda rivolta all’Altro, quello anale alla domanda che l’Altro rivolge al soggetto.[iv]

Questi due oggetti, insieme alla voce e lo sguardo per Lacan sono in grado di causare il desiderio (oggetto piccolo a).

Anche se noi usiamo il linguaggio per comunicare, continuamente equivochiamo, poiché c’è un altro linguaggio, un linguaggio che ha effetti di godimento sul corpo, un linguaggio cioè che serve a godere, e che egli chiama la “lalingua”.

Il linguaggio incide sul corpo, produce effetti di godimento, il linguaggio è strumento per godere.

Assistiamo qui ad un intreccio tra linguaggio e godimento, significante e godimento che, come ricorda ancora Di Ciaccia, «Lacan chiama “reale”, che è quel reale che si racconta in analisi: si tratta dell’effetto degli incontri contingenti tra il significante e il godimento.»[v]

Quindi si passa dal godimento interdetto, castrato dove il godimento acquisisce un senso negativo (incestuoso) a (anche) una visione positiva del godimento.

Il godimento positivo è quello della sublimazione freudiana e che per Lacan si ritrova negli oggetti a. Anche se la spinta a plusgodere, a godere di più, al di là del principio di piacere, può comportare anche dolore, un godimento che diventa mortifero, proprio come quello che si incontra nelle dipendenze, per esempio.

Per Lacan il corpo vivente se potesse sarebbe pervaso dalla sua spontanea tendenza autogodente. L’iscrizione nel linguaggio fa sì che la libido non sia pilotata esclusivamente dall’istinto. Grazie all’azione del linguaggio sul corpo vivente entra in gioco la pulsione e da qui che si originano i sintomi, nel senso di precipitati condensativi di resti pulsionali non sufficientemente inscritti nel linguaggio.

Ora, dal godimento mortifero, quello di cui non si riesce a fare a meno, quello che incontriamo nel sintomo, cioè quel godimento inconscio che però fa stare male l’individuo, da questo si può passare ad un godimento più sano, per certi versi creativo, quello che possiamo incontrare nel “sinthomo”[vi], nel quale il corpo gode nel suo ripetitivo incontrare i resti pulsionali ma senza sofferenza e con creatività sempre nuova.

In questo modo Lacan sposta più in là, rispetto a Freud, la fine dell’analisi, cioè, il resto sintomatico, inguaribile diventa la sorgente stessa della soggettività di ogni singolo individuo, è ciò che dice qualcosa della scrittura essenziale del soggetto, qualcosa che si ripete, incessantemente.

Come ricorda Miller, l’oggetto frattale[vii] è quello che più di tutti è in grado di rendere descrivibile il sinthomo, cioè parliamo di un oggetto geometrico che si ripete, simile a se stesso, nella sua forma anche se su scale diverse. Quindi una sua qualunque parte è costituita di una figura simile all’originale oggetto geometrico. Cioè nell’oggetto frattale si ripete sempre lo stesso oggetto seppur in grandezze diverse.

Questo oggetto frattale dice qualcosa dell’essenza del soggetto, il sinthomo è cioè quell’oggetto nel quale «un parlessere vi scopre la sua singolare modalità di “godersi”», scrive ancora Di Ciaccia[viii].


[i] Lacan J., Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi (1964), Einaudi, Torino, 2003, p. 145.

[ii] Miller J.-A., I paradigmi del godimento, Astrolabio, Roma, 2001, p. 13. (Si veda il capitolo “I sei paradigmi del godimento”).

[iii] Di Ciaccia A., Il godimento in Lacan, in La psicoanalisi – Studi Internazionali del campo freudiano www.lapsicoanalisi.it, 18 maggio 2013.

[iv] Ibidem.

[v] Ibidem.

[vi] Lacan J., Il seminario. Libro XXIII. Il sinthomo (1975-1976), Astrolabio, Roma, 2006.

[vii] Miller J.-A., “Leggere un sintomo”, Attualità lacaniana, n. 14, Alpes, Roma, 2012, p. 27.

[viii] [Antonio Di Ciaccia, Il godimento in Lacan, in La psicoanalisi – Studi Internazionali del campo freudiano www.lapsicoanalisi.it, 18 maggio 2013, corsivo mio.