L’inconscio come esteriorità

In Funzione e campo l’inconscio è la parte mancante del discorso cosciente, il non-ancora della coscienza che sarà completato dal recupero di quel pezzo mancante perduto per effetto della rimozione. In questo caso il lavoro analitico consisterebbe nel recuperare quel senso rimosso, di riscrivere quel tassello bianco dell’inconscio.

Nel Seminario XI l’inconscio è il discorso dell’Altro, è un inconscio regolato dalle leggi simboliche del linguaggio. Qui Lacan opera una svolta radicale rispetto alla concezione dialettica dell’inconscio come “non ancora” cosciente, è l’idea dell’inconscio come luogo il più interno possibile del soggetto.

Nel Seminario XI, invece, attraverso la nozione di discorso Lacan sospinge l’inconscio fuori dal soggetto. L’inconscio è una “esteriorità”. Non è più quel codice originario. È il discorso dell’Altro dipendente dalla materialità storico-sociale del significante.

Con la teoria della causazione del soggetto,  dipendente strutturalmente dal campo del linguaggio, Lacan riarticola il rapporto tra il soggetto e l’Altro distanziandosi definitivamente sia dai modelli che vedono il soggetto come espressione dello sviluppo psicogenetico ossia come una potenzialità biologica che si realizza teleologicamente, sia dai modelli incentrati sulla concezione di un ambiente affettivo positivo per lo sviluppo psichico del soggetto (es.  “madre sufficientemente buona” di Winnicot). Entrambi questi modelli riducono il processo di soggettivazione ad un processo di attualizzazione di potenzialità pre-programmate nella nostra specie a partire da una sorta di pre-simbolico-pre-linguistico che ci costituirebbe come esseri umani. Tali approcci, secondo Lacan, non tengono conto dell’azione costitutiva dell’Altro (del linguaggio) sul soggetto. Infatti, prima di ogni interazione, prima di ogni predisposizione genetica, c’è l’Altro che, come campo del linguaggio determina il soggetto.