Il visibile e l’invisibile

Fonte: Jacques Lacan, Il Seminario – Libro XI – I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi 1964, Enaudi, Torino, 2003, p. 71.

Il visibile e l’invisibile può indicare per noi il punto di arrivo della tradizione filosofica – tradizione che inizia da Platone, con la promozione dell’idea, della quale si può dire che, dopo aver preso avvio in un mondo estetico, essa si determina nell’assegnare all’essere il fine di sommo bene, raggiungendo cosi una bellezza che è anche il suo limite. E non per niente Maurice Merleau-Ponty ne riconosce il vettore nell’occhio.

In quest’opera, al contempo terminale e inaugurale, scoprirete un richiamo e un passo in avanti nella via di ciò che, inizialmente, la Fenomenologia della percezione aveva formulato. Vi si trova, in effetti, richiamata la funzione regolatrice della forma, evocata contro ciò che, a seconda del progresso del pensiero filosofico, era stato spinto sino a quella estrema ebbrezza che si manifestava nel termine di idealismo – come far raggiungere a quella fodera, che diventava allora la rappresentazione, ciò che essa è ritenuta ricoprire? La Fenomenologia ci riportava, dunque, alla regolazione della forma a cui presiede, non solo l’occhio del soggetto, ma tutta la sua attesa, il suo movimento, la sua presa, la Sua emozione muscolare e anche viscerale – in breve, la sua presenza costitutiva, puntata in quello che si chiama la Sua intenzionalità totale.

Maurice Merleau-Ponty fa ora il passo successivo, forzando i limiti di questa stessa fenomenologia. Vedrete che le vie attraverso cui vi condurrà non sono soltanto dell’ordine della fenomenologia del visivo, poiché vanno a ritrovare – punto essenziale – la dipendenza del visibile rispetto a ciò che ci mette sotto l’occhio

del vedente. Ma è ancora dirne troppo, poiché questo occhio non è che la metafora di qualcosa che chiamerei piuttosto il germe del vedente – qualcosa di prima del suo occhio. Quello che si tratta di circoscrivere, attraverso le vie del cammino che egli ci indica, è la preesistenza di uno sguardo – io non vedo che da un punto ma, nella mia esistenza, io sono guardato da ogni parte.