Il motto di spirito (1905)

Parte analitica:

7-13

  1. Introduzione

Chi, per trarne in qualche modo un chiarimento, abbia mai avuto l’idea di compulsare opere di estetica e di psicologia sull’essenza del motto di spirito e sulla natura delle sue relazioni, non potrà non riconoscere che la riflessione filosofica non ha affatto ritenuto di riservare al motto la considerazione che esso merita per la parte che gli spetta nella vita dello spirito. Dalla letteratura si ricava come prima impressione che sia assolutamente impossibile considerare il motto se non in connessione con il comico. Si è sempre amato definire l’arguzia come la prontezza nello scoprire somiglianze tra cose dissimili, di trovare cioè somiglianze riposte. I criteri e le caratteristiche del motto comprendono: attività, relazione con il contenuto dei nostri pensieri, carattere di giudizio giocoso, accostamento di elementi dissimili, contrasto di rappresentazioni, “senso nell’assurdo”, l’alternarsi di stupore e illuminazione, rivelazione di ciò che è celato e la peculiare concisione. Manca completamente la comprensione del probabile rapporto esistente tra le varie componenti (per esempio, non si comprende che cosa abbia a che fare la concisione del motto con il suo carattere di giudizio giocoso).

14-25

  1. La tecnica del motto (1-2)

Il carattere arguto del motto non risiede nel pensiero, ma nella “tecnica” verbale o espressiva. Vengono presentati alcuni esempi di motti di spirito in cui il pensiero è condensato introducendo, come sostituto, una parola mista (per esempio, familionari da familiari e milionari) di per sé incomprensibile ma, nel contesto in cui si trova, subito compresa. In alcuni casi il sostituto non è una parola mista, ma una lieve modificazione (per esempio, tête-à-bête in luogo di tête-à-tête). Un motto è tanto più efficace quanto minore è la modificazione. La condensazione e la modificazione della tecnica arguta presentano un’analogia con la condensazione e la modificazione proprie del lavoro onirico.

25-36

(3)

Il primo compito è accertare se si possa riconoscere in tutti i motti il processo di condensazione con formazione sostitutiva, in modo da poterlo definire come la caratteristica generale della tecnica arguta. Vengono riferiti tre esempi di motto in cui la formazione sostitutiva non ha parte. Vi figura una parola ripetuta due volte, la prima volta integralmente, la seconda scomposta nelle sue sillabe che, così suddivise, danno un altro significato. L’impiego molteplice di una medesima parola, una volta come un tutto unico e un’altra volta scomposta in sillabe, è il primo caso presentatosi nella ricerca di una tecnica che si differenzi dalla condensazione. I casi di impiego molteplice che possono anche essere riuniti in un gruppo come “doppi sensi” possono essere facilmente inscritti in sottoclassi: 1) i casi di doppio senso tra un nome proprio e il suo significato letterale; 2) il doppio senso tra il significato letterale e quello metaforico di una parola; 3) il doppio senso vero e proprio, o gioco di parole.

36-41

(4-5)

Sono riepilogate le varie tecniche del motto: condensazione (con formazione di parole miste o con modificazione); impiego del medesimo materiale (parole intere e loro componenti, ordine diverso, lieve modificazione, medesime parole in accezione “piena” e “vuota”); doppio senso (nome proprio e suo significato materiale, significato metaforico e reale, doppio senso vero e proprio, cioè gioco di parole, equivoco, doppio senso con allusione). L’impiego dello stesso materiale è solo un caso particolare di condensazione; il gioco di parole non è altro che una condensazione senza sostituzione. Una tendenza alla concentrazione, o meglio al risparmio, domina tutte queste tecniche. A un grande gruppo di motti, forse il più ampio, si attribuisce scarso valore. Si tratta dei cosiddetti “bisticci”, reputati la specie infima dei motti basati sulle parole, probabilmente perché si possono realizzare con fatica minima. Essi pretendono pochissimo dalla tecnica dell’espressione, mentre il gioco di parole vero e proprio esige il massimo. Il bisticcio è solo una sottospecie del gruppo, che ha il suo culmine nell’autentico gioco di parole.

41-52

(6-7)

Vi sono dei motti la cui tecnica non ha alcun legame con quella dei gruppi considerati (condensazione, impiego del medesimo materiale, doppio senso). Nel caso del motto di spostamento, lo stesso motto contiene una successione di pensieri, nella quale è compiuto uno spostamento. Lo spostamento appartiene al lavoro che ha prodotto il motto, non al lavoro necessario per capirlo. La tecnica dei motti d’assurdo consiste nel presentare qualcosa di stupido, di assurdo, il cui senso è mettere in luce, figurare la stupidità e l’assurdità di qualcosa d’altro. Sono presentati e analizzati numerosi motti di spostamento e d’assurdo.

52-61

(8-9)

La rivelazione dell’automatismo psichico ricade nella tecnica del comico al pari di ogni mascheramento, di ogni atto in cui ci si tradisce. La tecnica di questi motti consiste nel fare “ragionamenti erronei”. L’unificazione sta alla base delle cosiddette risposte pronte. La prontezza consiste nel passare dalla difesa all’attacco, nel “ritorcere l’argomento”, nel “ripagare della stessa moneta”, cioè nello stabilire un’inattesa unità tra attacco e contrattacco. L’unificazione dispone ancora di un altro mezzo tecnico particolarmente interessante: l’accostamento mediante la congiunzione “e”. Un simile accostamento indica una connessione: non è possibile intenderlo altrimenti.

61-72

(10-11)

In alcuni motti la tecnica usata è la “figurazione mediante il contrario”, per esempio una figurazione della bruttezza mediante le sue analogie con quanto c’è di più bello. Questa tecnica può combinarsi a quella dello spostamento. Una tecnica correlata alle precedenti è quella del “rincaro”. La figurazione mediante il contrario non è solo peculiare al motto, ma può essere impiegata nell’ironia. La figurazione mediante il simile e l’affine è la radice di un’altra categoria di motti. Questa tecnica è spesso mescolata con l’illusione. La connessione impiegata nella sostituzione può essere una semplice “assonanza”, e allora questa sottospecie diventa analoga al bisticcio nel motto verbale. Non si tratta però dell’assonanza fra due parole, ma fra intere frasi. Una forma di allusione è l’omissione, paragonabile alla condensazione senza formazione sostitutiva. L’allusione, che è forse il mezzo più usato e più facile da maneggiare nei motti, ed è alla radice della maggior parte delle storielle di breve vita con le quali si anima la conversazione, può essere definita una “figurazione indiretta”. Ragionamento erroneo, unificazione e figurazione indiretta sono quindi i criteri ai quali è possibile ricondurre le tecniche del motto concettuale finora presentate.

71-79

(12)

Un altro tipo di allusione indiretta a cui ricorre il motto è la similitudine. Vi sono esempi eccellenti ed efficaci di similitudini che non suscitano affatto l’impressione del motto. Vi sono anche comparazioni che contengono un accostamento sorprendente o spesso una combinazione che suona falsa, o alle quali subentra qualcosa del genere come risultato del paragone. L’accostamento strano o l’attributo assurdo conferito possono reggere di per sé come risultato di un paragone. Un paragone può essere spiritoso anche in sé stesso, senza dover ricorrere, per spiegare questa impressione, a una complicazione con una delle tecniche argute che già conosciamo. La similitudine va accolta fra i tipi di “figurazione indiretta” di cui si serve la tecnica arguta.

  1. Gli intenti del motto

80-91

(1-2)

Dire che un motto è innocente o astratto non significa affatto che esso sia “futile”, ma vuol solo definire il contrario dei motti “tendenziosi”. Un motto innocente può avere un contenuto profondo, affermare un pensiero degno di nota. Si riceve da una frase spiritosa un’impressione complessiva, nella quale non è possibile dissociare la parte svolta dal contenuto essenziale da quella del lavoro arguto. Quando non è fine a sé stesso, cioè non è innocente, è o un motto ostile (al servizio dell’aggressività, della satira, della difesa) o un motto osceno (al servizio del denudamento). La specie tecnica – verbale o concettuale – non ha alcun rapporto con queste due tendenze. Il motto tendenzioso richiede in genere la presenza di tre persone: oltre a quella che dice il motto ce n’è una seconda, che viene fatta oggetto dell’aggressione ostile o sessuale, e una terza, nella quale si attua il proposito del motto, quello di produrre piacere. Si può descrivere il processo nel modo seguente: l’impulso libidico del primo, trovando un ostacolo al soddisfacimento per mezzo della donna, sviluppa una tendenza ostile contro questa seconda persona e fa appello all’alleanza di un terzo personaggio, che era in origine un elemento di disturbo. Le parole scurrili del primo denudano la donna davanti al terzo, che a questo punto è corrotto, come ascoltatore, dal facile soddisfacimento della propria libido. Così il motto rende possibile il soddisfacimento di una pulsione (quella lubrica e ostile) a dispetto di un ostacolo che vi si frappone. L’ostacolo è l’incapacità della donna di sopportare la sessualità senza veli. La forza che rende difficile o impossibile alla donna, e in minor misura anche all’uomo, godere dell’oscenità aperta è definita “rimozione”. Il motto tendenzioso dispone di fonti di piacere diverse da quelle del motto innocente, nel quale ogni piacere è in qualche modo legato alla tecnica.

91-104

(3-5)

Gli impulsi ostili contro il nostro prossimo sono sempre stati sottoposti alle medesime restrizioni, alla medesima rimozione progressiva che colpisce le nostre bramosie sessuali. Il motto ci permette di sfruttare il lato ridicolo del nemico, che prima non potevamo apertamente e coscientemente rivelare per via degli impedimenti che si frapponevano, e quindi, ancora una volta, aggirerà le limitazioni e schiuderà fonti di piacere divenute inaccessibili. Il motto tendenzioso si presta bene a colpire ciò che è grande, degno e potente, ciò che inibizioni interiori o circostanze esterne proteggono contro un’aperta diffamazione. Tra le istituzioni che il motto è solito attaccare, nessuna è più importante, più rigorosamente protetta da prescrizioni morali, quanto l’istituto del matrimonio, sul quale si appuntano la maggior parte dei motti cinici. Nessuna pretesa ci tocca tanto personalmente quanto quella che concerne la libertà sessuale, e non c’è sfera in cui la civiltà abbia tentato di esercitare una repressione più forte di quella della sessualità. Un’occasione particolarmente favorevole al motto tendenzioso si verifica quando l’intenzionale critica ribelle è diretta contro la propria persona o contro una persona della quale fa parte anche la propria persona, una persona collettiva, per esempio il proprio popolo. I motti che attaccano non una persona o un’istituzione, ma la sicurezza della nostra conoscenza stessa sono chiamati motti “scettici”.

Parte sintetica

  1. Il meccanismo del piacere e la psicogenesi del motto

105-15

(1)

Nel motto tendenzioso il piacere deriva dal soddisfacimento di una tendenza che, altrimenti, sarebbe rimasta insoddisfatta. Le tecniche del motto sono per sé stesse fonti di piacere. In un gruppo di questi motti (i giochi di parole) la tecnica consiste nell’indirizzare il nostro atteggiamento psichico verso il suono anziché verso il senso della parola. In un secondo gruppo di mezzi tecnici del motto – unificazione, omofonia, impiego molteplice, modificazione di locuzioni ben note, allusione a citazioni – si rileva come carattere comune la possibilità di ritrovare ogni volta qualcosa di noto. Sul “ritrovamento del già noto” si basa anche un altro espediente tecnico del motto, il “riferirsi a cose del momento”. Il terzo gruppo di tecniche del motto – principalmente del motto concettuale – il quale abbraccia i ragionamenti erronei, gli spostamenti, il controsenso, la figurazione mediante il contrario ecc., può dare a prima vista l’impressione di possedere un’impronta particolare e non tradire alcuna difficoltà con le tecniche del ritrovamento del già noto o della sostituzione delle associazioni oggettuali mediante associazioni verbali; nondimeno proprio in questo caso è facilissimo dimostrare la validità della teoria del risparmio o alleviamento del dispendio psichico. Il primo e il terzo gruppo, cioè la sostituzione delle associazioni di cose con associazioni di parole e l’impiego del controsenso, possono essere tutti e due concepiti come restaurazione di antiche libertà e come sgravio dalla costrizione esercitata dall’educazione intellettuale; sono alleviamenti psichici che possono esser posti in una certa antitesi rispetto al risparmio stabilito dalla tecnica del secondo gruppo. Alleviamento del dispendio psichico già in atto e risparmio su quello in procinto di verificarsi: sono i due princìpi ai quali risale ogni tecnica del motto e, quindi, ogni piacere derivante da queste tecniche.

115-24

(2)

Prima che vi sia motto, vi è qualcosa che si può definire come gioco o scherzo. Il gioco viene a cessare quando si rafforza un fattore, definito atteggiamento critico o razionale. Poi subentra il secondo grado preliminare del motto, cioè lo scherzo. Si tratta ora di mantenere il profitto di piacere conseguito con il gioco e di riuscire al tempo stesso a mettere a tacere le rimostranze della critica, che non lascerebbero emergere il sentimento di piacere. La psicogenesi del motto ci ha insegnato che il piacere provato in esso scaturisce dal giocare con le parole o dallo scatenare l’assurdità e che il senso del motto serve soltanto a proteggere questo piacere contro la demolizione della critica. Quando l’affermazione contenuta nello scherzo è rilevante ed efficace, lo scherzo si trasforma in motto. Il motto tendenzioso adopera il piacere dell’arguzia come piacere preliminare per generare nuovo piacere eliminando repressioni o rimozioni.

  1. I motivi dell’arguzia Il motto come processo socile

125-41

Sebbene il lavoro arguto sia un’ottima strada per ricavare piacere dai processi psichici, si può rilevare tuttavia che non tutti gli uomini sono ugualmente capaci di servirsi di questi mezzi. Si ha l’impressione che spesso le condizioni soggettive del lavoro arguto non siano molto dissimili da quelle della malattia nevrotica. La grande maggioranza dei motti, soprattutto di quelli che traggono continuamente origine dalle vicende del momento, circolano anonimi. La molla che dà vita a motti innocenti è non di rado un’urgenza ambiziosa di mostrare la propria perspicacia, di mettersi in vista. Nel riso sono date le condizioni affinché una somma di energia psichica, impiegata finora per l’investimento, sia soggetta a libera scarica. Poiché il riso è un segno di piacere, questo piacere è da porre in relazione con lo storno dell’investimento anteriore. Se si deve liberare nella terza persona un ammontare di energia d’investimento suscettibile di scarica, vi sono parecchie condizioni da adempiere o di cui è desiderabile l’aiuto favorevole: 1) Bisogna essere sicuri che la terza persona faccia poi realmente questo dispendio d’investimento. 2) Bisogna impedire che l’investimento, una volta divenuto libero, trovi un altro impiego psichico invece di offrirsi alla scarica motoria. 3) Sarebbe un vantaggio se l’investimento da rendere libero nella terza persona fosse, prima, elevato al massimo.

Parte teorica

  1. La relazione del motto co il sogno e con l’inconscio

142-60

Trasformazione in vista della capacità di rappresentazione, condensazione e spostamento sono le tre operazioni importanti che si possono attribuire al lavoro onirico. Il carattere e l’effetto propri del motto sono legati a certe forme espressive, a certi mezzi tecnici, i più appariscenti dei quali sono i diversi modi di condensazione, spostamento e figurazione indiretta. Processi che portano agli stessi risultati – condensazione, spostamento e figurazione indiretta – ci sono già noti come peculiari del lavoro onirico. Origine del modo in cui si forma il motto nella prima persona: un pensiero preconscio viene abbandonato per un momento all’elaborazione inconscia, e ciò che ne risulta viene colto immediatamente da una percezione cosciente. Caratteri del motto che possono riferirsi alla loro formazione nell’inconscio: 1) la peculiare concisione; 2) spostamenti; 3) figurazione mediante il contrario; 4) l’impiego del controsenso. Il sogno serve prevalentemente a ottenere un risparmio di dispiacere, il motto a ottenere un guadagno di piacere: ma su queste due mete convergono tutte le nostre attività psichiche.

  1. Il motto e le specie del comico

161-77

(1)

L’arguzia è una suddivisione della comicità. Il comico ha un comportamento sociale diverso da quello del motto. Può accontentarsi della presenza di due persone (la prima, che scopre il comico, e la seconda, nella quale il comico è scoperto), mentre la terza persona rafforza il processo comico, ma non vi aggiunge niente di nuovo. Il motto lo si crea, I’aspetto comico lo si scopre. La specie del comico più vicina al motto è l’atto, o detto, ingenuo. Il comico nasce come una trovata improvvisa sorta dalle relazioni sociali tra gli uomini. Lo si trova nelle persone, nei loro movimenti, forme, azioni e particolarità di carattere, in origine probabilmente solo nelle proprietà del corpo e poi anche in quelle dell’anima, ossia nelle manifestazioni di quelle proprietà. Assurdità e stupidità, che tanto spesso hanno un effetto comico, non sempre vengono sentite come tali. Il comico che scopriamo nelle qualità intellettuali e psicologiche del nostro prossimo è il risultato di un confronto tra il mio prossimo e il mio Io, ma stranamente è un confronto che perlopiù dà un risultato opposto a quello dell’azione comica. Ci appare comico chi, in paragone a noi, compie un dispendio eccessivo per le funzioni del corpo e insufficiente per le funzioni dell’anima, e non si può negare che il nostro riso è in entrambi i casi l’espressione della superiorità che ci attribuiamo rispetto all’altro.

177-85

(2)

Si può cagionare il comico con riferimento alla propria persona, per divertire gli altri. Per rendere comica un’altra persona, il mezzo principale è metterla in situazioni nelle quali, nonostante le sue qualità personali, diventa comica per via della dipendenza da circostanze esteriori, in particolare da fattori sociali. Questa trasposizione del prossimo in una situazione comica può essere reale. Ma vi sono altri mezzi ancora per far ridere, mezzi che meritano una particolare attenzione e che ci rivelano nuove sorgenti di piacere comico, quali l’imitazione, la caricatura, la parodia, la contraffazione. Il contatto con il comico non si adatta affatto a tutti i motti e neanche alla maggior parte di essi; il più delle volte si può invece distinguere con chiarezza tra arguzia e comicità. Si è dovuta situare nell’inconscio la fonte del piacere dell’arguzia; nulla obbliga a una medesima collocazione nel caso della comicità. Arguzia e comicità si distinguono soprattutto per la loro collocazione psichica; l’arguzia è per così dire il contributo apportato alla comicità dalla sfera dell’inconscio.

185-97

(3-4)

La comicità dell’imitazione deriva dalla caricatura e dall’esagerazione di certi particolari altrimenti privi di risalto e implica anche la degradazione. Il motto presenta all’ascoltatore un doppio volto, costringe la sua mente ad apprenderlo in due maniere diverse. Nei motti d’assurdo una delle due maniere dice che essi sono delle assurdità; l’altra, che si traccia la via attraverso l’inconscio all’ascoltatore, trova che hanno perfettamente senso. I critici hanno mosso un rimprovero a tutte le teorie sul comico, accusandole di trascurare, nella loro definizione, la vera essenza della comicità. “La comicità si basa su un contrasto di rappresentazioni.” La condizione più favorevole alla nascita del piacere comico è lo stato d’animo generalmente allegro, in cui uno è di umore ridanciano. Quasi altrettanto favorevole è l’aspettativa del comico, I’atteggiamento assunto verso il piacere comico. Condizioni favorevoli alla comicità sono quelle dovute al tipo di attività psichica che occupa l’individuo in quel momento. L’occasione di liberare piacere comico viene meno anche quando l’attenzione è accaparrata proprio dalla comparazione dalla quale potrebbe scaturire la comicità. La comicità risulta gravemente turbata quando il caso da cui dovrebbe prendere origine dà contemporaneamente l’avvio allo sprigionarsi di un forte affetto. Lo sviluppo del piacere comico può essere favorito da qualsiasi altro ingrediente piacevole, che ha una sorta di effetto contagioso.

198-211

(5-8)

Viene considerato il comico del sessuale e dell’osceno a partire dal denudamento. Un denudamento fortuito ci sembra comico perché confrontiamo la facilità con la quale godiamo lo spettacolo con il grande dispendio che, altrimenti, si renderebbe necessario per conseguire questa meta. Ogni denudamento al quale un terzo ci fa assistere come spettatori equivale a rendere comica la persona denudata. La differenza quantitativa da cui procede il comico verrebbe trovata o mediante un paragone tra l’altro e l’Io, o mediante un paragone interno all’altro, oppure mediante un paragone interno all’Io. Nel primo caso ricadono il comico del movimento e delle forme, delle funzioni mentali e del carattere. Il secondo caso comprende le possibilità più numerose: la comicità della situazione, dell’esagerazione (caricatura), dell’imitazione, della degradazione e dello smascheramento. La comicità d’attesa (terzo caso) è la più remota dalla mentalità del bambino: là dove l’adulto troverà il comico, il bambino proverà probabilmente solo delusione. Lo sprigionamento di affetti penosi costituisce l’ostacolo maggiore per l’effetto comico. L’umorismo è la specie più facile di comicità: il suo processo si compie in un’unica persona. Il risparmio di compassione è una delle fonti più frequenti del piacere umoristico. Il piacere dell’arguzia deriva dal dispendio inibitorio risparmiato, il piacere della comicità dal dispendio rappresentativo (o di investimento) risparmiato, il piacere dell’umorismo dal dispendio emotivo risparmiato.

Estratto: Opere di Sigmund Freud (OSF) Vol 5. Il motto di spirito e altri scritti 1905-1908, Torino, Bollati Boringhieri, 2001