Corpo e pensieri si causano vicendevolmente (10/15)

L’errore di Cartesio, secondo Damasio sarebbe stato quello di aver ripiegato il suo punto di vista sul dualismo mente-corpo trascurando di fatto l’incidenza della dimensione emozionale nei nostri processi decisionali. Secondo Damasio è la logica o attività cognitiva che interferisce con il continuum emozionale che sottende ogni nostra pratica di vita, e quindi tutta la nostra attività mentale si fonderebbe proprio sulle emozioni, in particolare sull’ipotesi del marcatore somatico come elemento centrale della nostra capacità di discernere e dunque di orientarci nel mondo. Per lui il soma, il corpo ha una funzione centrale nella nostra vita psichica. La mente è essenzialmente una rappresentazione cerebrale della nostra attività corporea.

L’emozione può essere rappresentata come una reazione somatica ricorrente[i] che emerge in una certa situazione e che diventa schema, cioè acquisisce una sua “identità” riconoscibile nel novero delle reazioni somatiche che un individuo può avere.[ii]

Una prima sensazione di sé, in un certo momento e in un certo luogo è possibile grazie a quella che Damasio chiama coscienza nucleare.  La coscienza estesa invece offre un senso elaborato di sé che implica una maggiore consapevolezza anche rispetto al nostro passato e in previsione del nostro futuro e dal mondo che ci circonda. Quindi anche se il nostro ruminare di pensieri continua inesorabilmente a caratterizzare la nostra vita mentale ovviamente ciò che poi ci orienta a livello comportamentale è sempre una modificazione somatica di tipo sensoriale, un fluire degli stati corporei che fa traballare le nostre convinzioni, le nostre credenze, la nostra identità senza che ci sia un punto focale preciso di osservazione, una sorta di luogo da dove noi possiamo vederci: noi facciamo parte della visione, noi siamo quel flusso di sensazioni. Ovviamente partiamo da una distinzione tra emozione e sentimento essendo quest’ultimo la percezione dell’emozione (feeling an emotion) e il saper di avere un sentimento (knowing that we have that feeling) ovvero il sentimento del sentimento.[iii]

Le emozioni sono reazioni automatiche di natura somatica innate, come può esserlo una qualunque reazione ad un virus o a un fenomeno ambientale che modifica il nostro assetto metabolico.

I sentimenti sono invece una rappresentazione mentale dello stato somatico, il suo riconoscimento, la percezione che sta avvenendo qualcosa di rilevante nel nostro corpo. Quindi quando proviamo un’emozione di tristezza, come stato somatico, nel senso di variazione del quadro biologico di un organismo in un certo momento ed in un dato luogo, si produce il sentimento (la rappresentazione mentale) di quello stato somatico che possiamo chiamare “sentimento di tristezza” che a sua volta (conseguentemente?) attiva l’area cerebrale associativa che “favorisce” pensieri negativi che a loro volta dovrebbero causare un lavoro di valutazione dello stato somatico emozionale e dunque lasciar emergere il sentimento di tristezza, dove corpo e pensieri si causano vicendevolmente.[iv]


[i] Il piacere e il dolore orientano l’organizzazione del nostro comportamento. Negli organismi più semplici si può notare come essi si orientano verso una sorgente di piacere e si allontanano da una di dolore. Per tali organismi primitivi i “segnali di piacere o di dolore” provengono dal contatto diretto. Il cibo, in quanto oggetto buono, viene assorbito, cioè la fonte di piacere viene incorporata. L’organismo tende ad assorbire la fonte del piacere attraverso l’incorporazione. Dal neonato che porta alla bocca tutto ciò che può, all’organismo unicellulare che assimila il suo cibo. Questa tendenza nell’essere umano si trasforma in una tendenza ad aggrapparsi alla fonte del piacere. Ovviamente, quando il piacere è perduto sorge la spinta a riappropriarsi della fonte di quel piacere. Il contatto con un oggetto spiacevole che comporta dolore induce un segnale d’allarme che indica che si è avuto un danneggiamento. È un sistema di segnalazione primitivo ma che rappresenta la base a partire dalla quale si è organizzata l’intera gamma di comportamenti rispetto alle situazioni di allarme. Il piacere comporta una risposta di assorbimento o incorporazione, il dolore è una risposta di liberazione, cioè una risposta volta ad eliminare ciò che causa dolore. Sono riflessi di liberazione, come accade per il vomito, la diarrea, le lacrime, la tosse lo starnuto o tutte le altre reazioni organiche finalizzate ad eliminare corpi estranei che arrecano dolore. Il “dolore psichico” può indurre ad un comportamento di liberazione proprio come accade per il “dolore fisico”. La rimozione, per esempio, è un meccanismo di liberazione da qualcosa di insostenibile, ed è noto che ci sono pazienti psicotici che arrivano ad automutilarsi strappandosi organi vitali (occhi, orecchie o genitali) pur di riuscire a lenire il dolore provocato dalle visioni o dalle sensazioni dolorose. C’è una certa “autoregolazione edonica” che riguarda non solo l’organizzazione dei protozoi ma quella di tutti gli animali, incluso l’essere umano che è e resta un sistema biologico il cui comportamento è indotto dalle sensazioni di piacere o dolore. L’emozione, secondo questa lettura, è un segnale preparatorio che predispone ad un comportamento d’allarme con l’obiettivo di rideterminare una condizione di benessere. Le emozioni ci accadono, sono fuori dal nostro controllo. Lo schema classico che induce una emozione prevede un antecedente emozionale, un evento nel mondo esterno, un’esperienza vissuta con consapevolezza che produce una percezione di piacere o dispiacere, cioè una condizione fisiologica più o meno intensa che crea una certa “tonalità” in grado di connotare l’esperienza e orientare un comportamento, i nostri pensieri, la memoria, le decisioni e la percezione. Il verbo latino moveo (muovere) e il prefisso e, alla base della parola emozione, ci suggeriscono che le emozioni ci impongono una certa tendenza all’azione. Le parole emozione e motivazione derivano entrambe dalle espressioni “emovere” e “movere”, che richiamano alle immagini di movimento e attività. L’emozione riprende il significato di “muovere fuori”, nel senso dell’emergere, del venire fuori, di motivazione al “muovere verso”, nel senso di direzione, dirigersi verso. La componente fisiologica dell’emozione comprende, oltre ai processi cerebrali, alterazioni ormonali, viscerali e muscolari. I sentimenti comprendono stati emozionali, gradienti affettivi che acquisiscono una valenza positiva o negativa. William James e Carl Lange negli anni 1884-1885, pubblicarono, indipendentemente l’uno dall’altro, una teoria analoga dell’emozione. Entrambi si proponevano di ribaltare la teoria del senso comune sull’emozione secondo la quale, se chiedo a qualcuno “perché tremi?”, questo risponde: “Perché ho paura”, oppure, alla domanda “perché piangi?”, la risposta che segue è: “Perché sono triste”. Tali risposte si fondano sulla convinzione che sono le emozioni a indurre determinate risposte fisiologiche e espressive. Sia James che Lange sostenevano che non piangiamo perché siamo tristi, ma ci sentiamo tristi perché piangiamo; non tremiamo perché siamo spaventati, ma abbiamo paura perché tremiamo. La frequenza cardiaca aumenta non perché siamo arrabbiati, ma siamo arrabbiati perché il cuore batte più in fretta. Seppur entrambi erano d’accordo sul fatto che l’emozione è la percezione di modificazioni fisiologiche, James e Lange posero l’accento su meccanismi fisiologici differenti. Per James, le viscere erano le basi fisiologiche delle sensazioni (lo stomaco e il cuore, per esempio), le espressioni del volto, l’attività motoria e la tensione muscolare, per Lange invece erano le modificazioni del battito cardiaco e la pressione sanguigna. Quindi con James abbiamo una prima definizione empirica e verificabile di emozione concepita come effetto del “sentire” le modificazioni periferiche dell’organismo, da qui la denominazione di teoria periferica o teoria del feedback. È questa l’idea alla base della famosa frase: “non tremiamo perché abbiamo paura, ma abbiamo paura perché tremiamo”. La dinamica del processo emotivo si articolerebbe in questo modo: a seguito di un evento emotigeno si realizzerebbe una modificazione neurovegetativa del sistema neurale periferico.  Dall’evento semplicemente percepito si passerebbe all’evento emotivamente percepito, ovvero alla percezione delle modificazioni neurovegetative. In sostanza, James concepisce l’emozione come strutturalmente radicata nei processi biologici, in particolare nelle viscere (attivazione fisiologica). Ad ogni emozione è correlata una precisa configurazione di attivazioni neurofisiologiche. La teoria di James-Lange ci dice che siamo in grado di conoscere le nostre emozioni perché ci sono dei cambiamenti fisiologici specifici che segnalano le sensazioni, cioè le sensazioni emozionali sono causate dalle modificazioni fisiologiche legate al funzionamento del sistema nervoso autonomo. Tristezza, rabbia, paura e così via sono l’espressione di schemi di attivazione specifici del sistema nervoso autonomo. Quindi, la percezione di un fatto (l’orso che si avvicina minaccioso, per esempio) produce un’affezione chiamata emozione che corrisponde ad una data condizione somatica, ovvero a dei cambiamenti fisici e, la percezione di questi (il sentire questi cambiamenti), è l’emozione. Il cuore che batte forte, la tensione allo stomaco, le mani sudate, tutto ciò viene percepito allo stesso modo in cui percepiamo ciò che avviene fuori di noi, nel mondo esterno. L’emozione ha una sua controparte mentale, il sentimento che subisce la marcatura fisiologia. A fronte di uno stimolo si produce una certa risposta fisiologia (emozione) che produce una retroazione di sensazioni corporee che percepite, sentite, generano il sentimento. Le emozioni emergono dalla percezione di reazioni fisiche che creano determinate sensazioni interne, differenti dalle altre, cioè che emergono dal fondo delle sensazioni corporee usuali, attraverso una configurazione di retroazioni sensoriali, che si caratterizzano in una qualità identificabile. Una sorta di schema sensoriale significante, nel senso di identificabile, dotato di una sua identità, di una certa riconoscibilità, di una sua marcatura somatica. Provare gioia è diverso da provare tristezza, la marcatura somatica è diversa. Gli studiosi suddividono le emozioni in due categorie, quelle primarie e dunque semplici, unitarie, sono queste emozioni che sorgono meccanicamente e che ci riconosciamo l’un l’altro in modo chiaro (paura, odio, gioia, disgusto…) e poi abbiamo emozioni più complesse. Le emozioni primarie sembrano connotate biologicamente, cioè così come possiamo dire che un essere umano ha due braccia, due gambe, una testa e così via, allo stesso tempo, dovrebbe avere emozioni tipo paura, odio, gioia, disgusto ecc. . Le emozioni complesse sono il combinato di una gamma variegata, polimorfa potremmo dire, di emozioni primarie che a loro volta sono plasmate dalle esperienze che ciascuno di noi si trova a vivere. Ci sono diverse ipotesi sulle emozioni primarie. Queste emozioni fondamentali sono spontanee, si impongono e sono in grado di assumere una valenza positiva, per esempio sorpresa e gioia e negative, per esempio, paura e collera, secondo un range che oscilla da piacere a dispiacere. Le emozioni comportano determinate risposte fisiologiche che si impongono a noi indipendentemente dalla nostra volontà (frequenza cardiaca, respiratoria, secchezza delle fauci, sudore e così via), risposte motorie strumentali come scappare, urlare, difendersi, risposte motorie espressive come quelle che emergono dalla mimica facciale, la gestualità o il timbro di voce e quelle riconducibili ai nostri vissuti soggettivi come l’umore o gli stati affettivi. Le emozioni si differenziano a partire dalle polarità piacere/dispiacere e forza/debolezza dell’arousal, ovvero di quell’attivazione che coinvolge il sistema nervoso centrale, quello periferico e vegetativo, e che comporta l’aumento della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa, producendo in tutto il corpo una maggiore allerta sensoriale.  In sintesi, per i sostenitori della teoria periferica, l’attivazione vegetativa è causata dalla percezione dello stimolo, attraverso un processo retroattivo, dalla periferia viscerale al sistema nervoso centrale, in grado di produrre l’esperienza emozionale che è effetto del comportamento emozionale stesso, cioè i cambiamenti corporei seguono direttamente la percezione dell’evento e la percezione di tali cambiamenti è l’emozione.

[ii] Per Cannon non è la retroazione sensoriale a differenziare le emozioni. Quando percepiamo le modificazioni fisiche attraverso la retroazione, valutiamo la situazione, diamo una marcatura interpretante a quella condizione somatica. La marcatura è ciò che individua e caratterizza l’emozione in quanto tale. Le emozioni sarebbero il risultato dell’interpretazione di una data circostanza. James sosteneva che una volta resoci conto che stiamo sudando, che il nostro cuore batte forte, che il respiro accelera, il tono muscolare si irrigidisce, mentre si scappa dinnanzi ad un pericolo, chiamiamo tutto questo paura. Cannon invece sostiene che ad ogni emozione ci sia un unico evento fisiologico correlato. Gli stati viscerali che emergono con la paura e la rabbia sono, per esempio, gli stessi associati alle sensazioni di febbre e freddo. Non è plausibile dunque l’ipotesi secondo la quale le modificazioni fisiologiche negli organi viscerali producano emozioni riconoscibili perché se così fosse esse sarebbero troppo indifferenziate. Cannon sottolinea che ci sono sostanze in grado di produrre mutamenti viscerali analoghi a quelli evidenziati in condizione di intensa attivazione emotiva, senza però che ci siano delle vere e proprie esperienze emotive. Gregorio Maranon iniettò dell’adrenalina (ormone prodotto dal midollare del surrene) ad un gruppo di volontari. L’adrenalina produsse delle modificazioni fisiologiche nella maggior parte dei soggetti: un aumento del battito cardiaco, restrizione delle pupille e così via. Fu richiesto a tali soggetti di scrivere ciò che sentivano. Il 71% descrisse dei sintomi fisici, ma nessuno parlò di emozione. Secondo Cannon, ipotesi successivamente ripresa ed elaborata da Philip Bard, è il talamo ad avere un ruolo fondamentale nelle emozioni (Teoria di Cannon-Bard). Gli impulsi nervosi che fanno transitare le informazioni sensoriali vengono successivamente ritrasmessi attraverso il talamo. Tali impulsi ricevuti verso l’alto della corteccia producono un’esperienza emotiva soggettiva, trasmessi verso il basso dei muscoli, ghiandole e organi viscerali, producono delle modificazioni fisiologiche. Per Cannon e Bard le componenti soggettive e fisiologiche dell’emozione sono simultanee, a differenza di James per il quale vengono prima le modificazioni fisiologiche e poi segue l’attivazione degli stati soggettivi. Cannon notò che gli animali mostravano comportamenti emotivi anche se avevano delle lesioni nelle connessioni dei nervi afferenti che forniscono al cervello il feedback proveniente dalle viscere, per questo egli confutò l’ipotesi di James che concepiva le sensazioni viscerali come componente centrale delle sensazioni emotive. Secondo Cannon i cambiamenti viscerali non sono essenziali per l’esperienza emotiva, hanno la funzione di preparare l’organismo ad affrontare l’emergenza che ha causato la risposta emozionale. Infatti, gli organi viscerali sono poco forniti di nervi e per questo sono strutture scarsamente sensibili. Le variazioni viscerali sono più lente dei cambiamenti che sentiamo nel flusso emotivo, per questo risulta impossibile che le modificazioni viscerali possano produrre i nostri repentini cambiamenti emotivi. È stato dimostrato inoltre che le risposte emotive le abbiamo anche quando gli organi viscerali sono chirurgicamente isolati dal sistema nervoso centrale. Infatti alcuni studi su cani con il midollo spinale e i nervi del vago recisi, condizione che comporta l’isolamento delle viscere dal cervello, hanno evidenziato negli animali comportamenti ancora emotivamente significativi: se minacciati o colpiti, abbaiavano, ringhiavano o tentavano di azzannare. La teoria della valutazione cognitiva di Magda Arnold avanza l’ipotesi secondo cui quando ci troviamo per la prima volta in una situazione, questa viene valutata spontaneamente come buona o cattiva, utile o dannosa. Seguendo questa ipotesi, affinché ci sia risposta emotiva lo stimolo deve essere valutato o interpretato dal «cervello» che attribuisce una o tal altra importanza.  Quindi, per Arnold, abbiamo lo stimolo, la sua valutazione, l’emersione di una tendenza all’azione, la tendenza che “dovrebbe” attrarre verso oggetti o circostanze desiderabili e allontanare da quelle indesiderabili. Indipendentemente dal fatto che la valutazione sia cosciente o no, una volta che questa è avvenuta, essa diventa cosciente. Le teorie dell’appraisal presentano una lettura alternativa che si basa sull’ipotesi di una connessione diretta tra emozioni e cognizione.   Con il termine “appraisal” si indica un atto immediato di conoscenza che completa la percezione. Di questo atto si diventa consapevoli solo a percorso concluso. L’appraisal si concretizza nel legame tra gli aspetti emotivi e quelli cognitivi, perché la valutazione cognitiva accompagna strutturalmente l’esperienza emotiva. Le emozioni rappresentano il precipitato di ciò che percepiamo e valutiamo a partire dalle condizioni ambientali, dalla nostra condizione psicofisica e dai nostri scopi. Le emozioni sono cioè la conseguenza di una valutazione della situazione a partire dagli interessi dell’individuo. Le emozioni emergono come reazione alla struttura di significato di una situazione. Si parla in questo caso di significato situazionale che afferisce ad una dimensione soggettiva dell’esperienza emotiva e rende conto delle differenze individuali. Le ultime ricerche sembrano aver surclassato la querelle tra James e Cannon, il primo, sostenitore di una teoria periferica delle emozioni («abbiamo paura perché scappiamo via») il secondo, di una teoria centrale («scappiamo perché abbiamo paura»).

[iii] Il sentimento è una percezione soggettivata di uno stato emozionale. Spesso il concetto di sentimento viene confuso con quello di emozione o di affetto (πάϑος), anche perché hanno in comune una valenza bipolare piacere/dispiacere. Il sentimento è intenzionale e ci orienta nelle nostre scelte a partire proprio da una gerarchia universale di valori. Preferiamo questo piuttosto che quest’altro ovvero, scegliamo questo piuttosto che quest’altro, grazie ai vari gradi del sentimento. Il sentimento si presenta come una certa condizione affettiva stabile, non burrascosa a differenza dell’emozione che si presenta con le caratteristiche dell’irruenza e dell’instabilità. Quindi il sentimento è più duraturo e meno intenso dell’emozione. Anticamente si distingueva la passione, il pathos dal sentimento. Le passioni, da Cartesio in poi, sono percezioni che riguardano non tanto il corpo ma la res cogitans, ovvero l’anima, anche se sono causate dal legame che il corpo ha con l’anima. È così che viene preservato il libero arbitrio e la possibilità di essere razionali. Con Cartesio il sentimento è una passione spirituale, quindi non di derivazione corporea, è un’azione che l’anima esercita su se stessa e dalla quale paradossalmente viene catturata. Cioè l’anima stessa diventa oggetto passivo di una azione posta da sé stessa, come se venisse da un’agente estraneo. Per Shaftesbury tutto ciò che noi facciamo, moralità inclusa, affonda le radici nella nostra emotività. Grazie al sentimento morale siamo in grado di discernere il bene e il male. Per Hume tutto l’agire umano è radicato negli istinti e negli affetti ed anche se l’uomo è in grado di essere razionale, il fondamento dell’etica lo troviamo nel sentimento e non nella razionalità e ciò è vero, secondo lui quando parliamo di sentimento morale, cioè del sentimento che ci procura piacere tutte le volte che osserviamo comportamenti virtuosi o ci fa essere contrariati di fronte ad azioni ingiuste e malvagie. Hume allarga questa concezione anche alla dimensione estetica. Il bello e il brutto sarebbero fondati sul sentimento estetico. La bellezza sarebbe l’effetto di un flusso articolato di sentimenti soggettivi. Il bello sarebbe condivisibile proprio perché il nostro sistema sensoriale ci accomuna come uomini e dunque ci consente di condividere intersoggettivamente un certo tipo di gusto con altri. Hume darà ai sentimenti un forte valore conoscitivo. Il sentimento è la matrice dalla quale derivano la tendenza ad agire, tendenza che si declina in azioni pratiche possibili grazie alla ragione (Ricerca sui principi della morale, 1751). Inoltre, sempre per Hume l’estetica è possibile proprio grazie al sentimento. Bello è ciò che viene valutato così da chi valuta. Tuttavia è possibile una generalizzazione a partire da un consenso derivato dalla uniformità del sentimento negli uomini. Diversa è la concezione di Kant che è contrario all’ipotesi che il sentimento possa fungere da fondamento per la morale o per le conoscenze in genere. Egli infatti concepisce il sentimento morale, ovvero il rispetto degli altri e di sé, come fondato esclusivamente sul rispetto della legge morale ed è proprio l’osservanza di questa legge l’unico vero fondamento del sentimento morale. In questo caso il sentimento diventa una facoltà autonoma dello spirito, insieme alla volontà e alla ragione. Le facoltà dell’anima sono tre: la conoscenza, il sentimento (del piacere/dispiacere) e il desiderare. [Kant I., Critica del giudizio, a cura di Massimo Marassi, Milano, Bompiani, “Il pensiero occidentale”, 2004 Intr., III]. Il sentimento piacevole (o dispiacevole) è relativamente riconducibile ai principi della ragione in quanto profondamente soggettivo, cioè, il sentimento non può essere una rappresentazione di un oggetto, è una facoltà autonoma e in quanto tale su di esso si fonda il giudizio riflettente che è orientato dal sentimento piacevole o dispiacevole, legato ad una certa rappresentazione. Per Kant il sentimento è ciò che di soggettivo e intimo incontriamo nel nostro sentire emozionale, ovvero in quanto «sensazione riferita unicamente al soggetto» Ivi, 1, I, 3. Nella Critica del giudizio Kant concepisce la facoltà di pensare il particolare come contenuto dell’universale a partire dalla distinzione tra giudizio determinante e quello riflettente. Il sentimento invece, strumento per antonomasia dell’arte e della religione, consente di intuire l’infinito.  I giudizi riflettenti, concernono il piacere o il dispiacere correlativo ad una rappresentazione di un oggetto o di un’idea e si fondano proprio sul sentimento. Sono giudizi soggettivi, e non si riferiscono necessariamente alle cose del monto esterno. I sentimenti non sono determinati dalle cose esistenti ma dalla modalità con cui le rappresentazione delle cose si configurano. Quindi essi, in quanto giudizi riflettenti concernano la dimensione estetica e quella teleologica del sentire la sintonia tra gli eventi naturali e le proprie esigenze morali. Esiste per Kant anche un sentimento morale anche se la morale non può fondarsi per lui sul sentimento in quanto connesso alla sensibilità. Infatti le leggi morali per Kant escludono ogni aspetto empirico. I sentimenti morali di cui parla Kant sono il rispetto di sé e degli altri effetto dell’osservanza della legge morale. Quindi il sentimento morale è l’effetto (e non la causa) dell’osservanza della legge morale cioè dell’agire conformemente alle regole della ragione [Critica della ragion pratica, I, I, III]. Schleiermacher pensa all’esperienza religiosa come a una scoperta dell’infinito come sentimento cosmico, sentimento di unità con il tutto, pura intuizione spirituale, libero da ogni legge. Il sentimento consente di cogliere l’infinito e pertanto si radicalizza la concezione che lo vuole autonomo rispetto alle altre facoltà. Hegel, dal canto suo criticherà aspramente l’indeterminatezza e l’ambiguità del sentimento che non può andare al di là della soggettività, non può essere incluso nella ragione. Hegel pensa al sentimento come ad una «particolarità accidentale» dello spirito che nel sentimento trova la sua «forma intima e peggiore», nella quale l’uomo perde la sua libertà perché viene compromessa l’universalità infinita, proprio perché nel sentimento è in gioco qualcosa di accidentale, soggettivo, particolare [Hegel G. W. F., Enciclopedia delle scienze filosofiche, 1816-17, Biblioteca Universale Laterza, Bari, 2009]. Brentano a sua volta concepisce i sentimenti come fenomeni intenzionali, cioè un modo di relazionarsi con l’oggetto e di percepirne i significati. Su questa base Scheler distingue le emozioni in quanto fenomeni non volontari dai sentimenti che invece sono intenzionali. Per Scheler quindi il sentimento è una reazione dell’Io a fronte di un certo stato emotivo e sono riferibili ad un certo e determinato oggetto con immediatezza, cioè ai valori assoluti che vanno al di là della realtà percepita. Gli stati emotivi sono fenomeni, mentre il sentimento è una reazione soggettiva all’emozione (in quanto fenomeno). È una creazione soggettiva che stabilisce un certo sistema di valori autonomamente dalla morale o dalla religione. [ Scheler M., Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, 1913-16, San Paolo Edizioni, Milano, 2007]. Il sentimento costituisce una facoltà autonoma, attraverso la quale poter conoscere, essendo dotata di dati a priori indipendenti dai fatti esterni. I sentimenti sono correlati ai valori che qualificano le cose del mondo, dando loro una certa intenzionalità conoscitiva. Parliamo di una intuizione emozionale di pari importanza rispetto alla facoltà della percezione o dell’intelletto. Per Scheler la nostra vita morale comprende strutturalmente i sentimenti, che rappresentano l’unico modo per poter accedere ai valori. Il contenuto a priori dell’etica è l’intuizione dei valori. È proprio per questo che Scheler parla di etica materiale. I valori di cui parla sono universali, oggettivi e disgiunti dall’esperienza. Essi sono intuiti direttamente. Scheler, distanziandosi così da Kant, avvalora l’ipotesi di intuizioni a priori universali e materiali allo stesso tempo. I valori sono i contenuti materiali dell’etica, sono l’effetto di un’intuizioni a priori. La morale per Kant era universale proprio perché non era materiale, ma formale. Per Scheler la morale diventa universale proprio perché materiale. I valori quindi sono intuiti a priori, grazie ad un sentire che va al di là di ogni sapere razionale. Scheler fa differenza tra beni e valori, i primi sono cose concrete, attraverso i quali i valori sussistono. Se la giustizia è un valore, il giudice è un bene. Quindi i beni sono contingenti, mentre i valori universali. La giustizia resta tale anche se il giudice può essere ingiusto. Scheler rimprovera a Kant di aver considerato allo stesso modo i valori e i beni.

[iv] La costruzione delle emozioni a livello neurale mediante l’articolazione con i sistemi di memoria e la funzione dei lobi frontali convoglia nell’ipotesi: «io sono le mie sinapsi». quello che noi siamo è l’espressione degli schemi di connessioni tra neuroni. I flussi sinaptici interneurali, il ripescaggio delle informazioni archiviate nelle precedenti trasmissioni sinaptiche, costituiscono sostanzialmente l’attività fondamentale del nostro cervello.