Causalità inconscia

La causalità in ambito scientifico risente fortemente della categoria spaziale: un corpo causa il movimento di un altro corpo mediante un contatto. Apparentemente sembra impossibile poter vivere senza “estensività” o “sentimento di volume”. Lo spazio funge da simbolo della fissità e della divisibilità all’infinito. Lo stato di quiete diventa punto di riferimento nel quale poterci collocare, mentre il movimento diventa solo una variazione di distanza, proprio perché lo spazio precede il movimento. In uno spazio omogeneo e indefinitamente divisibile è possibile distinguere una traiettoria e fissare delle posizioni, e quindi il movimento sarà contrapposto alla traiettoria, che per questo diviene divisibile come una linea e sprovvisto di qualità.

La rappresentazione simbolica dello spazio ci porta inevitabilmente a separare lo spazio dal suo contenuto.

Kant, attraverso la teoria sviluppata nell’Estetica trascendentale attribuisce allo spazio un suo statuto, una sua esistenza indipendente dal suo contenuto. Questa ipotesi teorica non gli consente di rendersi conto che anche l’estensione è un’astrazione come le altre.

Quindi abbiamo uno spazio e un contenuto di questo spazio.

Potremmo dire, osando un po’, che tutto l’empirismo scientifico cerca di studiare il modo in cui questo contenuto, prende posto nello spazio, a partire comunque dall’operazione di pensiero che separa il contenuto dallo spazio.

Il rapporto causale implica che un certo fatto, la causa, sia esterna ad un altro fatto, che ne sarebbe l’effetto. Questo dentro-fuori tra i due fatti sarebbe uno degli altri postulati fondamentali alla base della psicologia sperimentale, delle neuroscienze e della scienza in generale, perché sarebbe la conditio sine qua non per postulare la ripetitività dei fenomeni e delle loro relazioni causali. Il vivente, non esperisce mai due volte lo stesso vissuto, non c’è in lui mai lo stesso vissuto, esso muta in modo irreversibile.

Le neuroscienze partono dall’ipotesi che la localizzazione cerebrale dei ricordi (la loro collocazione in un certo luogo nello spazio o anche in più punti, non ha importanza questo) autorizzi a trattarli come qualcosa di spazializzato in una sequenza di fenomeni fisiologici regolati dalla logica causa-effetto.

Il concetto di causa in ambito scientifico riguarda essenzialmente l’estensività spaziale a partire da una concatenazione di azioni e reazioni, un flusso continuo di causa-effetto. Freud e Lacan invece ci propongono un’idea di causa fondata sull’inciampo, l’intrusione, lo zoppicamento.

«[…] ogni volta che parliamo di causa, c’è sempre qualcosa di anticoncettuale, di indefinito. Le fasi della luna sono la causa delle maree – è un esempio vivo, sappiamo che qui la parola causa è usata bene. Oppure, i miasmi sono la causa della febbre – anche questo non significa niente, c’è un buco, e qualcosa che viene a oscillare nell’intervallo. In breve, c’è causa solo di ciò che zoppica.

Ebbene! l’inconscio freudiano si situa in questo punto, punto che cerco di farvi cogliere per approssimazione, punto in cui, tra la causa e ciò che essa colpisce, c’è sempre qualcosa che zoppica. L’importante non è che l’inconscio determini la nevrosi a questo proposito Freud fa volentieri il gesto di Pilato di lavarsene le mani. Un giorno o l’altro, si troverà forse qualcosa, dei determinanti umorali o poco importa – tutto questo gli è indifferente. Perché l’inconscio ci mostra la faglia attraverso cui la nevrosi si raccorda con un reale – reale che, quanto a lui, può benissimo non essere determinato.»[1]

Lacan nel Seminario XI dice che abbiamo una causa solo dove c’è qualcosa che non funzione, dove i conti non tornano. L’esempio più classico è la scoperta di Plutone nel 1930. Gli astronomi sapevano che lì ci doveva essere qualcosa perché i conti non tornavano, c’erano delle irregolarità di calcoli e lì ci doveva essere una causa di questa alterazione. C’era qualcosa che causava queste irregolarità, una “zoppicazione”. Se c’è qualche strappo nella linearità della concatenazione tale strappo deve essere sempre riconducibile, ovvero, deve sempre essere ricondotto ad una causa.

Quindi, dal punto di vista scientifico la causalità è una nozione estensiva (res cogitas e res esxtensia), è sempre pensata sul piano spaziale, i corpi sono concatenati tra loro. È nel corpo che il discorso scientifico può trovare una causa. Questa è la prospettiva che consente alla scienza di trovare una causa dell’autismo. Ricerca di cause che per l’impostazione scientifica possono essere trovate solo sul piano estensivo, nel corpo, nel cervello.

Quando Lacan parla di beance causale non parla più di una causalità sul piano estensivo. C’è uno spostamento concettuale radicale. Non è più il problema causalità organica/causalità psicologica che è sullo stesso piano spaziale. Proiettiamo sulle concezioni spaziali. La pulsione non ha una definizione estensiva, non ha una proiezione sul piano estensivo. La causalità viene concepita sul piano scientifico. In questo caso la causalità non è sul piano spaziale ma sul piano temporale.

Quando Lacan ci fa passare nel Seminario XI dalla nozione di inconscio strutturato come linguaggio, come concatenazione di significanti, ad un inconscio come pulsione temporale, allora siamo nel tempo. Con la beance causale le cose non vanno a posto. Quando Lacan dice che c’è causa solo là dove c’è qualcosa che zoppica e zoppicherà, non si può guarire dall’essere nel tempo. Da una causalità estensiva ad si passa ad una causalità temporale.  Lacan ci porta su un altro piano di riflessione.

Il tempo spazializzato è sempre il tempo della suggestione. Se A causa B, A precede inevitabilmente B.

Nel tempo della pulsazione occorre considerare un intervallo, una sospensione, un varco. L’esistenza di un soggetto sul piano immanente della realtà, qualcosa che introduce un certo margine di indeterminazione. Se l’animale reagisce ad un certo istinto, l’uomo sospende, ha la possibilità di pensarci un attimo. La differenza tra istinto e pulsione è che la pulsione è inserita, ingranata nel dispositivo pensante che permette delle scelte. Nell’uomo c’è un intervallo possibile. Non c’è un immediato. Si apre una gamma. Non c’è rapporto sessuale significa anche la libertà dell’uomo, la possibilità di entrare in una gamma di scelte. C’è una libertà. A non precede necessariamente B. Sullo sfondo dell’inconscio pulsionale, B non segue necessariamente A. L’effetto, la conseguenza si inserisce in quello che nasce in questo abisso aperto della pulsazione. Questo ci fa considerare il passato non semplicemente come la premessa del presente ma in un certo senso permanentemente manca il presente. Il presente è sempre bucato e non sarà mai completamente colmato dal passato.

Il passato non è mai semplicemente ciò che precede la nostra azione. Ciò ha un forte valore clinico. Il passato è ciò che sempre manca. La nostra azione non si basa semplicemente sul fatto di recuperare un ricordo. I ricordi sono degli schemi, dei paradigmi, e non sono mai ciò che ci fa dire che siamo giunti ad una svolta. Il centrale del processo analitico non è ritrovare un ricordo, ma di capire come quel ricordo sia stato innalzato a valore di paradigma, e come questo informi l’attualità della vita del soggetto. La psicoanalisi ha il compito di liberare l’altro dal senso, ha il compito di ridurlo al proprio reale. Di accompagnarlo nel giardino primordiale dove tutto si crea e tutto si distrugge.

La clinica psicoanalitica pone l’accento su ciò che scompagina, irrompe nel dire facendo emergere qualcosa della frattura di senso. Al posto della causa come concetto spaziale Lacan propone il Nachträglichkeit, apres-coup, che esalta soprattutto la dimensione temporale, cioè la mediazione tra stimolo e risposta, la sospensione soggettiva che interroga l’Altro: “Che vuoi?”, “Cosa vuoi da me?”, “Chi sono?” e che non riceve risposta e allora saranno i fantasmi inconsci a rispondere ma in modo incomprensibile, o meglio, “misprendibile”:

«Il Vergreifen (si veda Freud: misprendere è l’espressione che usa per gli atti detti sintomatici), superando il Begriff (ossia la presa), promuove un niente che si afferma e si impone per il fatto che la sua stessa negazione lo indica alla conferma che non mancherà di produrre il suo effetto nella sequenza. […] Se il sapere si concede solo alla mispresa del soggetto, quale può essere il soggetto che lo sa prima?»[2]

Cioè, se cerchiamo un “metalinguaggio” sull’inconscio in grado di fornirci una sorta di sistema-sapere definito su di esso, allora facciamo l’errore della psicologia dell’Io, se invece diamo spazio al sapere dell’inconscio, cioè all’inciampo, a ciò che sfugge nella mispresa del soggetto, allora siamo orientati dalla psicoanalisi. Generalmente l’inconscio è definito come negazione della coscienza: c’è la coscienza e ciò che neghiamo di essa finisce nell’inconscio. Per Lacan non è così.


[1] Jacques Lacan, Il Seminario – Libro XI – I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi 1964, Torino, Einaudi, 2003, p. 23.

[2] J. Lacan, La mispresa del soggetto supposto sapere, in Altri scritti, Torino, Einaudi, 2013, pp. 332-333