τύχη e αὐτόματον

Fonte: Jacques Lacan, Il Seminario – Libro XI – I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi 1964, Enaudi, Torino, 2003, p. 52-54.

Prima di tutto la τύχη, che abbiamo preso, come vi ho detto la volta scorsa, dal vocabolario di Aristotele nella sua ricerca della causa. l’abbiamo tradotta – incontro con il reale. il reale è al di là dell’αὐτόματον, ritorno, del ritornare, dell’insistenza dei segni a cui ci vediamo comandati dal principio di piacere. Il reale è ciò che giace sempre dietro l’αὐτόματον. ed è evidente, in tutta la ricerca di Freud, che è proprio lì il suo cruccio.

Ricordatevi lo sviluppo, per noi così centrale, dell’Uomo dei lupi, per capire quale sia la vera e propria preoccupazione di Freud man mano che si rivela a lui la funzione del fantasma. Egli si accanisce, e in modo quasi angosciato, a interrogare quale sia il primo incontro, il reale che possiamo affermare dietro il fantasma. Reale che attraverso tutta l’analisi sentiamo trascinare con sé il soggetto e quasi forzare, dirigendo a tal punto la ricerca che, dopo tutto, oggi possiamo addirittura chiederci se questa febbre, questa presenza, questo desiderio di Freud non sia ciò che, nel suo malato, abbia potuto condizionare il tardivo incidente della psicosi.

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Infatti ciò che si ripete è sempre qualcosa che si produce come per caso –  e l’espressione stessa dice abbastanza bene il suo rapporto con la τύχη. Su questo punto noi analisti non ci lasciamo mai imbrogliare, per principio. Per lo meno, noi sottolineiamo sempre che non dobbiamo lasciarci convincere quando il soggetto ci dice che gli è capitato qualcosa che, quel giorno, gli ha impedito di realizzare la sua volontà, per esempio di venire alla seduta.

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Non è forse degno di nota che, all’origine dell’esperienza analitica, il reale si sia presentato nella forma di quanto c’è in esso di inassimilabile – nella forma del trauma, determinando così tutto il seguito e imponendogli un’origine apparentemente accidentale? ci troviamo qui al cuore di ciò che può permetterci di capire il carattere radicale della nozione conflittuale introdotta dall’apposizione tra il principio di piacere e il principio di realtà – cosa per cui non si potrebbe concepire il principio di realtà come quello che ha, per suo ascendente, l’ultima parola.

Infatti il trauma è concepito in quanto deve essere tamponato dall’omeostasi soggettivante che orienta tutto il funzionamento definito dal principio di piacere. A questo punto la nostra esperienza ci pone un problema, derivante dal fatto che nel seno stesso dei processi primari vediamo conservata l’insistenza del trauma a farsi ricordare da noi. E, infatti, il trauma riappare e molto spesso a faccia scoperta. Come può il sogno, portatore del desiderio del soggetto, produrre ciò che fa sorgere a ripetizione il trauma – se non proprio la sua figura, almeno lo schermo che ce lo indica dietro?