Vico e Wittgenstein: l’oggetto semplice (parte 2)

Poco più di duecento anni prima, Vico affrontava lo stesso argomento trattato da Wittgenstein, l’oggetto semplice, a cui ho accennato nel post di ieri. Anche VVico con dei risultati davvero sorprendenti: E invero per i latini << punctum >> e << momentum >> erano sinonimi: << momentum >>è la cosa che muove; e tanto << punctum >> quanto << momentum >> indicavano presso di loro un quid indivisibile […] Nessuno poi ignora che i geometri cominciarono a costituire la loro sintesi partendo dal punto, salvo poi, con i loro frequenti postulati che sia loro lecito prolungare indefinitamente le linee, a pervenire alla contemplazione dell’infinito. Che se poi mi si domandi quale strada percorra l’anzidetto vero o l’anzidetta parvenza di vero per giungere dalla metafisica alla geometria, rispondo che nessun’altra cosa che il punto ha potuto lasciare loro libero il pericoloso adito. Giacché la geometria ha tratto dalla metafisica la virtù dell’estendere, la quale, appunto perché virtù dell’esteso, è anteriore all’estensione, cioè inestesa […]. E invero, quando il geometra definisce il punto ciò che non è divisibile in parti, si ha una definizione di nient’altro che d’un mero nome, giacché non esiste cosa che effettivamente non abbia parti, e che tu, nondimeno possa disegnare con la mente o con la penna. Definizioni meramente nominale è altresì quella che i matematici danno dell’unità, giacché essi partono dal concetto d’unità moltiplicabile, che in realtà non è punto unità […] Pertanto è errata la credenza comune che la geometria depuri o, per parlare scolasticamente, astragga il proprio soggetto dalla materia[1].

Vico insisterà sulla natura metafisica dell’oggetto semplice o << minima particella >>, affermando che: “occorre riporre nella metafisica la virtù di codesta cosa fisica […]. Infatti nella metafisica è la sostanza, ch’è la virtù dell’indefinita divisibilità dell’esteso: la divisione è cosa fisica: la divisione è atto del corpo; ma l’essenza di questo, così come delle altre cose, consiste […] nell’indivisibilità”[2].

L’uomo diventa dio, creatore, facitore del “punto”, che sembra non rientrare nel novero delle cose appartenenti al mondo (almeno a questo!): ma come è possibile tutto ciò? Mediante, appunto, << codesta definizione meramente nominale, codesta cosa finta priva di parti >>[3]. Non a caso Vico chiama in causa la nota distinzione tra “metafisica” e “fisica”: mentre la fisica  << tratta di forme e di cose delimitate >> la metafisica << trascende la fisica, perché considera le virtù e l’infinito >>[4].


[1] G.B. Vico, Dell’antichissima…,  cit., pp. 270-271. (c.vi miei.).

[2] Ivi, p. 273. (co.vi miei.)

[3] Ivi, p. 274. (c.vo mio)

[4] Ivi, p. 276. E non bisogna nemmeno dimenticare che qui, quando Vico parla di “virtù”, intende riferirsi a “sostanza”, ciò che viene ricordato dallo stesso Nicolini con questo passaggio: << Pertanto mi sembra che Aristotele sconvenga, sì, con Zenone su altri argomenti, ma convenga con lui nella sostanza, dal momento che l’uno parla dell’atto, l’altro della virtù >>,  << l’uno parla dell”attributo”, l’altro della “sostanza” >> Ivi, p. 273.