Lutto e melanconia (8/17)

Come è noto per Freud l’identificazione è la fase preliminare della scelta oggettuale: essa costituisce la prima modalità attraverso la quale l’Io mette in evidenza un oggetto. “L’Io vorrebbe incorporare in sé tale oggetto e, data la fase orale o cannibalesca della propria evoluzione libidica, vorrebbe incorporarlo divorandolo”[1]. È proprio a partire da questo nesso che Abraham prova a spiegare quel rifiuto di nutrirsi tipico delle forme gravi di melanconia alla base delle quali ci sarebbe una scelta oggettuale di tipo narcisistico.

La melanconia è come il lutto, ovvero è una reazione alla perdita effettiva dell’oggetto d’amore. Nel lutto patologico, la perdita dell’oggetto d’amore, mostra l’essenza di quell’ambivalenza che struttura la relazione amorosa. Il conflitto prodotto da questa ambivalenza conferisce al lutto una connotazione patologica, in particolare, Freud si riferisce a quei auto-rimproveri per colpa dei quali il soggetto si sente responsabile della morte del caro, “ossia ha voluto”[2], la perdita dell’oggetto d’amore. Freud insiste sull’amore oggettuale sfociato nell’identificazione narcisistica. L’odio si mette all’opera contro questo oggetto sostitutivo, oltraggiandolo, denigrandolo, facendolo soffrire. Da questa sofferenza il soggetto ricava un sadico soddisfacimento, e l’autotormentarsi del melanconico, è il segnale della presenza di quel godimento che incontriamo anche nella nevrosi ossessiva: il soddisfacimento di tendenze sadiche o di odio.[3] “In tal modo l’investimento amoroso del melanconico per il suo oggetto incorre in un duplice destino: una parte regredisce all’identificazione mentre l’altra parte è riportata, sotto l’influsso del conflitto d’ambivalenza, fino allo stadio del sadismo che a quel conflitto è più vicino.”[4] Solo questo sadismo ci spiega l’enigmatica inclinazione al suicidio che si riscontra nella melanconia. L’analisi della melanconia ci insegna che l’Io può uccidersi solo quando, grazie al ritorno dell’investimento oggettuale, riesce a trattare sé stesso come un oggetto, quando può dirigere contro di sé l’ostilità che riguarda un oggetto e che rappresenta la reazione originaria dell’Io rispetto agli oggetti del mondo esterno. Quindi, nella melanconia, abbiamo qualcosa in più del normale lutto. In essa la relazione con l’oggetto viene complicata dal conflitto dell’ambivalenza. “L’ambivalenza può essere costituzionale, cioè propria di ogni relazione amorosa vissuta dall’Io, o può invece svilupparsi precisamente da quelle esperienze che implicano una minaccia di perdere l’oggetto”[5]. E poi aggiunge: “[…] Dei tre presupposti della melanconia – perdita dell’oggetto, ambivalenza e regressione della libido nell’Io – i primi due li ritroviamo nei rimproveri ossessivi susseguenti a casi di morte. In questi rimproveri l’ambivalenza rappresenta indubitabilmente la forza motrice del conflitto […]”[6].


[1] S. Freud, Lutto e melanconia, op. cit., p. 109.

[2] Ibidem.

[3] S. Freud, Lutto e melanconia, op. cit., pp 110-111.

[4] Ibidem.

[5] S. Freud, Lutto e melanconia, op. cit., p. 116.

[6] S. Freud, Lutto e melanconia, op. cit., p. 117.