L’universale fantastico e l’emancipazione dal principio di non-contraddizione: parte 1

Il fondamento della logica fantastica inaugurata da Vico è ben coglibile nel concetto di induzione. È bene precisare che la concezione vichiana di induzione è assolutamente altra da quella presentataci dalla logica tradizionale, infatti quest’ultima riduce la molteplicità dei fenomeni  a ciò che essi hanno in comune, “nientificando” il differente, raggiungendo così la costruzione di un “genus”, di un universale ragionato. L’induzione così intesa, non è altro che una deduzione mascherata, in quanto il processo astrattivo si allontana a tal punto dall’oggetto individuale, da causare l’annientamento delle differenze nell’‘identità.

L’induzione del simile, quella propriamente vichiana a differenza del sillogismo e del sorite, si fonda invece sull’inventio, essa si realizza proprio in quell’inarrestabile processo creativo e ricreativo che caratterizza la nominazione fantastica.

L’universale fantastico non va verso il comune o il generico ma verso l’individuale, esso << deve profondarsi dentro i particolari >>[1]. La logica della fantasia è anche inevitabilmente una logica della contraddictio, – e come osserva la Di Cesare – << la mitopoiesi vichiana libera dal principio di identità e da quello di non contraddizione. Il mondo, in quanto tale, non si rescinde dalla sua radice, non smette di essere per sempre caos, spazio dominato dagli opposti, da quella apertura da cui tutto deve rifluire. A imporsi è qui il riconoscimento di una contraddizione originaria […] concepire poeticamente la verità, come fa Vico, vuol dire liberarla dal principio di non contraddizione, situarla là dove gli opposti coesistono o addirittura coincidono, dove non si rinuncia alla differenza che sola consente la reinvenzione: nell’universale fantastico >>[2].

Dopo queste precisazioni, una prima considerazione da fare è che la concezione vichiana dell’universale fantastico, non può e non deve essere interpretata come un’esaltazione dell’irrazionalismo.[3] Piuttosto, dovrebbe essere chiaro come Vico intendesse mettere in risalto un nuovo procedimento conoscitivo, che trova la sua realizzazione nella nominazione fantastica, nella forza aurorale della poesia. Adesso, nella Scienza nuova, la conoscenza, non è più il frutto di una deficienza della mente[4], ma essa trova la sua più alta realizzazione proprio nella finzione, nel fingersi un mondo attraverso la nominazione fantastica. Dare nome alle cose è anche dare senso ad esse –  ma questo avremo modo di chiarirlo più approfonditamente in seguito.

Mentre l’universale ragionato nasce dalla conoscenza obiettiva, quello fantastico non può non trovare la sua origine nell’ingegno.  Per rendere ancora più “palpabile” questa differenza Vico, la raffigura in una metafora geometrica che la Di Cesare, rappresenta così[5]:

Chi utilizza nel ragionamento il sillogismo o il sorite << […] più che congiungere due linee in un angolo acuto, si limita a prolungare una linea unica: con che, più che acuto, viene a mostrarsi sottile >>[6]. Mentre l’angolo acuto rappresenta la conoscenza che, l’induzione analogica (o altera similium), è in grado di fornire, la linea sottile rappresenta la “linearità”  che caratterizza l’induzione sillogistica o soritiana, cioè il processo conoscitivo dell’altera partitum..

L’universale fantastico ordina il caos, lasciando convivere l’identità con la differenza. In esso si “raccoglie”, tutto d’un colpo, quel tratto di somiglianza, che s’incarna, appunto, in un “nome fantastico”: “E furono certi universali fantastici dettati naturalmente da quell’innata proprietà della mente umana di dilettarsi dell’uniforme […], lo che  non potendo fare con l’astrazion  per genere, il fecero con la fantasia per ritratti. A’ quali universale poetici riducevano tutte le particolari spezie a ciascun genere appartenenti, com’ a Gove tutte le cose degli auspici, a Giunione tutte le cose delle nozze, e così agli altri l’altre”[7].

Ma cosa realmente differenzia l’induzione del simile, dal sillogismo e dal sorite? Lo vedremo nel post di domani.


[1] S.N., 821.

[2] D. Di Cesare, Dal tropo retorico all’universale fantastico, cit., p. 89.

[3] A tal proposito si veda P. Hazard: << Povero e grande Vico! Non era compreso; era appena ascoltato; le sue idee erano troppo nuove, troppo diverse da quelle acclamate dai suoi contemporanei. Gli altri propugnavano l’astratto, il razionale; arrossivano di un passato che appariva come un’onta per la loro civiltà progressiva; consideravano la storia come una menzogna e la poesia come un artificio; bandivano la sensibilità, questa malata, e l’immaginazione, questa pazza >>: P. Hazard, La crisi della conoscenza europea, Milano, 1983, p. 258.  E si veda inoltre, per quanto riguarda una chiarificazione del rapporto tra fantasia e razionalità: S. Otto, Giambattista Vico: razionalità e fantasia, in “Bollettino del Centro di Studi Vichiani”, 1987-88, pp. 5-24.

[4] << Dunque, poiché la conoscenza umana ha avuto origine da una deficienza della mente umana, cioè dalla sua immensa limitatezza, a causa della quale essa , fuori da tutte le cose, non contiene in sé quelle che aspira a conoscere, e, non contenendole, non può rendere operativi, cioè facitrici e creatrici, le verità che si sforza di attingere, certissime sono quelle scienze che, correggendo il loro difetto di origine, diventano facitrici e creatrici, e, perché  tali, simili alla scienza divina, nel senso che in esse vero e fatto si convertono >>, , G.B. Vico, Dell’antichissima sapienza italica, cit., p.254. (c.vo mio)

[5] D. Di Cesare, Sul concetto di metafora in G.B. Vico, in “Bollettino del Centro di Studi Vichiani”, 1986, p. 330.

[6] G.B. Vico, Dell’antichissima sapienza italica, op. cit., p. 301. Ed inoltre, a proposito Degli svantaggi dell’applicazione del metodo geometrico alla fisica,  Vico afferma: << Infatti sottigliezza e acutezza non sono la stessa cosa: la sottigliezza consta di una sola linea, l’acutezza di due >> .G.B. Vico, De nostri…, cit., pp. 67-68.

[7] S.N., 933.