Alcuni spunti sull’universale ragionato: parte 4

Le verità di fatto appartengono all’ordine delle verità  epistemiche. Il loro contrario è sempre possibile. Esse obbediranno al principio di ragion sufficiente. Il loro essere vero è sì certo, ma non hanno la stessa necessità imposta dal principio di non-contraddizione.

Le verità di ragione, essendo soggette, invece,  al “regime” del principio di non-contraddizione, possono essere annoverate nell’ordine delle necessità logiche o metafisiche. Esse non possono non essere vere. Infatti risulta impossibile contraddire la proposizione “Il triangolo ha tre lati”, la quale è vera qualunque cosa accada (segno palese di quanto poco appartenga alla realtà!), in tutti i mondi possibili. È evidente la loro vicinanza alle wittgensteiniana proposizioni tautologiche, vicinanza che non deve pero far perdere di vista le loro differenze. Se le proposizioni tautologiche (come del resto quelle “contraddittorie”) sono “ingiocabili” (si veda l’esempio del caricatore di una pistola tutto vuoto – tautologie – , o tutto pieno – contraddizione), le proposizioni necessarie e universali non sono ingiocabili, anche se la loro verità sarà di un ordine diverso da quello delle verità contingenti.

Hume, come è noto, allo stesso modo, presentò la distinzione tra proposizioni che concernono le relazioni fra “idee” e quelle che concernono i “fatti”. Le prime possono essere, per esempio, quelle matematiche, le seconde quelle delle scienze naturali. Le proposizioni che concernono le relazione tra idee, riguardano esclusivamente l’ordine del pensiero; esse possono dirci qualcosa, indipendentemente da ciò che accade nel mondo. Esse, come abbiamo già notato per le verità di ragione, sono “governate” dal principio di non-contraddizione. Io posso dire che: posta la definizione di triangolo, “il quadrato dell’ipotenusa è uguale alla somma dei quadrati dei due cateti”. Questa proposizione continuerà ad essere vera, qualunque cosa accada.

Per quanto riguarda la relazione fra i dati di fatto (matter of fact), esse si fondano sull’esperienza, ed il loro contrario (come abbiamo visto per le verità di fatto) è sempre possibile. La nota proposizione “Il sole domani (probabilmente) non si leverà” non è meno sensata di quella che asserisce che “Il sole domani ( probabilmente) si leverà”.

Lo stesso Kant evidenziò come i “giudizi esplicativi” o “analitici” non apportino nessuna conoscenza nuova che il “soggetto” della proposizione, non abbia già in grembo. Essi “esplicitano” ciò che è in loro stessi già “implicito”. Per esempio, prendiamo la proposizione “Tutti i corpi sono estesi”, in essa, ciò che predica il soggetto (l’estensione) è deducibile logicamente dalla definizione stessa di “corpo”. Quindi nasce da una deduzione meramente logica. Nei “giudizi esplicativi”, il predicato non può essere negato, senza causare la negazione stessa del soggetto: il loro contrario è impossibile. Essi, infatti, sono sempre a priori.

Per quanto riguarda i “giudizi estensivi” o “sintetici”, in essi la coniugazione del predicato con il  soggetto accresce la conoscenza relativa al soggetto della proposizione, con informazioni che esso non aveva già in sé. La coniugazione del predicato con il soggetto avviene solo dopo un’esperienza. Essi sono sempre a posteriori.[1] Quindi i “giudizi esplicativi” sono analitici,  perché il predicato dell’estensione è ottenibile dalla definizione stessa di corpo; essi sono universali e necessari ma non incrementano la nostra conoscenza, per esempio: “tutti i corpi sono pesanti”. Essi si fondano sul principio di non-contraddizione: “A non può non essere eguale ad A” ovvero “A non può essere eguale a B”, che a sua volta è derivazione dal principio di identità: “A è uguale ad A” .[2].

Ricapitolando quanto detto, avremo dunque che: le proposizioni esprimenti verità di ragione, quelle che esprimono le relazioni tra idee, e dunque, quelle che si riferiscono ai giudizi esplicativi (proposizioni analitiche), essendo vere qualunque cosa accada (necessariamente), non esprimeranno nessuna situazione possibile, non dicono nulla sul mondo; laddove le proposizione esprimenti verità di fatto, quelle che esprimono relazioni fra dati di fatto (<< materie di fatto >>), e dunque quelle che si riferiscono ai giudizi estesivi , essendo vere solo se accadono (accidentalmente), essendo il loro contrario possibile, esse garantiscono la possibilità di un ordine delle cose che includa la scelta libera ( dalle catene del principio di non-contraddizione), e quindi esse sembrano dire qualcosa sul mondo,  anche se sempre a posteriori.


[1] I “ giudizi estensivi”, sono sintetici, perché aggiungendo (sintetizzando) qualcosa di nuovo al soggetto, sono fecondi di conoscenza, ma sono privi però di universalità e necessità, per esempio: “alcuni corpi sono pesanti”. I “giudizi estensivi”, hanno una duplice natura l’una empirica e l’altra  intellettuale. I “giudizi estensivi” originati dall’esperienza, quelli empirici, sono  soggetti a continue smentite e correzioni. Quelli di origine intellettuale riescono a garantire una conoscenza sia universale (e quindi valida per tutti), sia necessaria (cioè valida per sempre). Naturalmente, i giudizi sintetici di origine intellettuale presuppongono l’esistenza di un apparato categoriale che fonda l’esperienza, e che quindi la precede. In funzione di questo apparato, Kant, teorizza un terzo tipo di giudizio, quello “sintetico a priori”. Le categorie trascendentali, condizione di ogni possibile conoscenza, devono relazionarsi con aspetti ancora oscuri, ignoti della realtà. Infatti, la “sintesi a priori” si realizza proprio ponendo in relazione i dati raccolti dall’esperienza con la struttura categoriale trascendentale.

[2] I giudizi analitici, nonostante siano sempre a priori, per Kant, possono essere costruiti a partire da  un’esperienza; per esempio: “l’oro è giallo”, come se il colore “giallo” non potesse essere negato all’oro, in quanto esso è attributo essenziale dell’oro stesso. Se si negasse questa proprietà necessaria si negherebbe l’esistenza stesso dell’oro: ma come è possibile innalzare a verità necessaria e universale, una caratteristica che si è rivelata in seguito a una esperienza che è sempre contingente, cioè un’esperienza che sarebbe potuta essere anche altrimenti da come è stata, e di cui quindi rimane possibile il suo contrario ? >>: S. Kripke, Nome e Necessità, Torino, Boringhieri, 1982, p. 112. Si veda inoltre pp. 37-38, 111, 148 e sg. .