Le formazioni dell’inconscio (3)

Brani antologici: J. Lacan, Il Seminario. Libro V. Le formazioni dell’inconscio. Cap. XII e XV

[219] Nella prospettiva kleiniana, che è quella cui mi riferisco per ora, tutto l’apprendimento, se così si può dire, della realtà da parte del soggetto è primoridalmente predisposto e sotteso dalla costituzione essenzialmente allucinatoria e fantasmatica dei primi oggetti, classificati in oggetti buoni e cattivi, nella misura in cui questi fissano una prima relazione primordiale che, nel seguito della vita del soggetto, darà luogo ai tipi principali delle modalità di rapporto del soggetto con la realtà. Si è arrivati così alla nozione che il mondo del soggetto è fatto di un rapporto fondamentalmente irreale con degli oggetti, che non sono che il riflesso delle sue pulsioni fondamentali.

[228] Se il bambino può trovare ad ascrivere la sua posizione è unicamente nella misura in cui la dimensione del simbolo è già inaugurata. Essa è qui rappresenta con l’asse detto delle ordinate nell’analisi matematica. È ciò che permette di concepire che il bambino deve reperirsi rispetto a due poli. È d’altronde proprio intorno a questo che Melanie Klein continua girare senza poterne dare la formula. È in effetti attorno a un doppio polo della madre – che Melanie Klein chiama la buona e la cattiva madre – che il bambino comincia a prendere la sua posizione. Egli non situa l’oggetto, prima di tutto egli situa se stesso.

[229] […] per la verità, nessun tipo di dialettica è possibile se si considera solo il rapporto del bambino con la madre, anzitutto perché è impossibile dedurne alcunché, ma anche perché è ugualmente impossibile in base all’esperienza concepire che il bambino si trovi in questo mondo nel quale non vi è realtà e non sia quella della madre. Il mondo primitivo del bambino è secondo loro allo stesso tempo sospeso all’oggetto materno e interamente autoerotico, nella misura in cui il bambino è così strettamente legato all’oggetto materno da formare con esso letteralmente un circolo chiuso. Di fatto ognuno lo sa e comunque basta vederlo vivere, il bambino non è affatto autoerotico. Normalmente egli si interessa allo stesso modo di ogni piccolo animale, e dato che dopotutto è un piccolo animale con un’intelligenza specifica maggiore rispetto agli altri, si interessa a una serie di altre cose della realtà, evidentemente, non sono cose qualisiasi. Ce n’è una alla quale diamo una certa importanza e che, sull’asse delle ascisse che è qui l’asse della realtà, si presenta al limite di questa realtà, non è un fantasma, è una percezione.

[…] Non posso segnalarvi al volo tutte le impasse del sistema kleniano dello specchio è l’incontro del soggetto con ciò che è propriamente una realtà e nello stesso tempo non lo è, e cioè con un immagine virtuale che svolge un ruolo decisivo in una certa cristallizzazione del soggetto che chiamo il suo Urbild. Lo metto in parallelo con il rapporto che si produce tra il bambino e la madre. Grosso modo, è proprio di questo che si tratta. Il bambino conquista [230] qui il punto di appoggio di quella cosa al limite della realtà che si presenta a lui in modo percettivo, ma che si può d’altra parte chiamare immagine, nel senso in cui l’immagine ha la sua proprietà di essere un segnale accattivante che si isola nella realtà, che attira e cattura una certa libido del soggetto, un certo istinto, grazie a cui un certo numero di punti di riferimento, di punti psicoanalitici nel mondo, permetto all’essere vivente di organizzare più o meno le sue condotte. Per l’essere umano sembra in fin dei conti essere il solo punto che sussiste. Esso svolge qui l suo ruolo propriamente in quanto è ingannevole e illusorio. È in questo modo che viene in soccorso di un’attività a cui il soggetto si dedica fin da subito solo in quanto deve soddisfare il desiderio dell’Altro, e dunque nello scopo di illudere questo desiderio. Ecco tutto il valore dell’attività giubilatoria del bambino davanti allo specchio. L’immagine del corpo si conquista come qualcosa che allo stesso tempo esiste e non esiste, e in rapporto a cui il bambino reperisce i propri movimenti come del resto anche l’immagine di quelli che lo accompagnano davanti allo specchio, il privilegio di questa esperienza è di offrire al soggetto una realtà virtuale, irrealizzata, colta come tale, e che deve essere conquistata. Ogni possibilità di costruirsi per la realtà umana passa letteralmente da qui. Senza dubbio il fallo, nella misura in cui è l’oggetto immaginario con cui il bambino deve identificarsi per soddisfare il desiderio della madre, non può ancora situarsi al suo posto. Ma la sua possibilità è enormemente arricchita dalla cristallizzazione dell’io in questo reperimento, che apre tutte le possibilità dell’immaginario. A che cosa assistiamo? A un movimento doppio. Da una parte, l’esperienza della realtà introduce, sotto la forma dell’immagine del corpo un elemento illusorio e ingannevole come fondamento essenziale del reperimento del soggetto in rapporto alla realtà. Dall’altra parte, il margine che questa esperienza offre al bambino gli dà la possibilità di effettuarle, in una direzione contraria, le sue prime identificazioni dell’io, entrando in un altro campo.