Il puro simbolo di un dono d’amore (9/9)

Freud ci insegna che il desiderio si struttura a partire dall’Edipo, un nodo che è essenzialmente un rapporto fra una domanda e un desiderio, il desiderio dell’Altro, dell’Altro di cui si tratta nell’Edipo.

La domanda si articola in questo modo: non desidererai colei che è stata il mio desiderio[1]. Ecco il fondamento della struttura essenziale dell’Edipo, così importate nella teoria freudiana. Proprio per questo ogni desiderio possibile è una deviazione obbligata, irriducibile, verso qualcosa di simile all’impossibilità, ed è proprio per questo che il desiderio deve necessariamente includere in sé quel vuoto che si determina nel rapporto con la Legge. È nel rapporto all’Altro, con il padre ucciso, aldilà di questa morte generata dall’assassinio originale, che si costituisce la forma suprema dell’amore. È un tempo questo essenziale nella struttura mitica dell’Edipo: “quell’amore supremo per il padre che fa per l’appunto della morte relativa all’assassinio originale la condizione della sua presenza ormai assoluta. Insomma, è proprio l’intervento della morte che fissa il padre in una realtà – indubbiamente la sola realtà che perduri assolutamente – che lo fa essere in quanto assente. Non c’è nessun’altra origine dell’assolutezza del comandamento originale”[2]. Seppure il soggetto non conosce il desiderio dell’Altro, tuttavia ne conosce lo strumento, ovvero il fallo, e dunque pur non sapendo chi lui sia, è “pregato di  passare per di là senza tante storie […] il che si chiama nel linguaggio corrente continuare i principi di papà”[3].

Fino a quando “papà” rappresenta il fulcro intorno al quale si organizza il transfert di ciò che costituisce l’unità di scambio, l’unità che costituisce la base, il sostegno, il fondamento, di ogni articolazione del desiderio, ebbene le cose possono “andare avanti” e il soggetto sarà teso tra il mé phúnai  (possa tu non avermi mai messo al mondo!)- e quello che, ricorda Lacan “nella tradizione semita e biblica viene chiamato Baraka, ovvero il contrario, ciò che mi fa prolungamento vivente, attivo, della legge del padre come origine di ciò che si trasmetterà come desiderio”[4].

Lacan immagina che nel nutrimento, il bambino possa trovare il dono d’amore desiderato. Il seno e la risposta materna divengono così simboli di qualcosa che va aldilà, così il bambino entra nel mondo simbolico accettando la sfilata della catena dei significanti, evolvendo da una relazione orale, in quanto attività di assorbimento, verso una soluzione normativa. Affinché il bambino possa rinunciare al piacere offertogli dal seno, assumendo questa forma di castrazione, “questa rischiosa cambiale sul suo futuro”  dice Lacan, “è necessario che la madre abbia essa stessa potuto assumere la propria castrazione”[5].

È necessario cioè che, da qui in poi, il terzo termine di questa relazione duale, ossia il padre, sia presente come referente della madre.

“Solo in questo caso ciò che essa cercherà nel bambino non sarà una soddisfazione a livello di una erogeneità corporea che ne fa un equivalente fallico, ma una relazione che, costituendola come madre, la riconosce nondimeno come la donna del padre. Il dono del nutrimento sarà allora per lei il puro simbolo di un dono d’amore, e dato che questo dono d’amore non sarà per l’appunto il dono del fallo che il soggetto desidera, il bambino potrà mantenere il rapporto alla domanda”[6].


[1] Tu ne désireras pas celle qui a été mon désir. J. Lacan, Il Seminario, Libro IX,1961 – 1962, L’identificazione, lez. XIV, tenuta il 21 marzo 1962. Il testo è quello messo a disposizione dall’École Lacannienne de Psychanalyse sul suo sito web: http://www.ecole-lacanienne.net/bibliotheque.php?id=13.

[2] J. Lacan, Seminario XI, L’identification 1961-1962, lez. XIV, tenuta il 21 marzo 1962.

[3] J. Lacan, Seminario XI L’identification 1961-1962, lez. XVI, tenuta il 4 aprile 1962.

[4] Ibidem.

[5] J. Lacan, Seminario XI L’identification 1961-1962, lez. XVIII, tenuta il 2 maggio 1962.

[6] Ibidem.