In Lutto e melanconia (1917), con la locuzione “lavoro del lutto” Freud propone una lettura di quel fenomeno psichico tradizionalmente concepito come una graduale attenuazione del dolore prodotto dalla morte di una persona amata. Tale processo interiore può anche concludersi con un insuccesso: è il caso dei lutti patologici. Con l’espressione “lavoro del lutto”, riconducibile per certi versi a quella più generale di “elaborazione psichica”, Freud si riferisce cioè ad un processo che ha la funzione di legare tra loro le impressioni traumatizzanti connesse alla perdita del caro defunto.
Fin dal 1985, in Studi sull’isteria Freud si era soffermato su una forma particolare di elaborazione, in un caso di lutto: “Poco tempo dopo la morte del malato [ … ] comincia in lei (un’isterica osservata da Freud) il lavoro di riproduzione, che le presenta nuovamente davanti agli occhi le scene della malattia e della morte. Ogni giorno essa rivive nuovamente ogni impressione, piange su di esse e se ne consola … si potrebbe dire, a suo comodo”[1].
Il lavoro del lutto si manifesta mediante
una mancanza d’interesse verso il mondo esterno dovuta alla perdita
dell’oggetto amato, ovvero, tutta l’energia psichica è catalizzata dal dolore e
dai ricordi fino a quando “l’Io, quasi fosse posto dinanzi all’alternativa se
condividere o meno questo destino (dell’oggetto perduto), si lascia persuadere
– dalla somma dei soddisfacimenti narcisistici a rimanere in vita, a sciogliere
il proprio legame con l’oggetto annientato”[2].
Per far sì che ci sia un distacco e dunque siano possibili dei nuovi investimenti,
è necessario che: tutti i ricordi e le aspettative con riferimento ai quali la
libido era legata all’oggetto vengano evocati e disinvestiti, uno a uno, e il
distacco della libido sia effettuato in relazione a ciascuno di essi.[3]
Nel lutto patologico l’ambivalenza passa in primo
piano, mentre nella melanconia l’Io si identifica con l’oggetto perduto. Tra le
forme patologiche di lutto non c’è solo quella depressiva e melanconica, ma
anche quella maniacale, in questo ultimo caso, il ruolo dell’ambivalenza è
fondamentale perché l’aggressività verso la morte ha la funzione di facilitare
il distacco dalla morte.
[1] S. Freud, Studi sull’isteria, in OSF, Torino, Bollati Boringhieri, 2003, Vol. 1, 315.
[2] S. Freud, Considerazioni attuali sulla guerra e la morte, op. cit, Vol. 8, p. 115.
[3] S. Freud, Considerazioni attuali sulla guerra e la morte, op. cit, Vol.8, p. 104.