Giove o della “divina bestialità” (parte 3)

Giove fu il frutto di questa spontanea naturalezza: la paura che nasce dai fulmini fragorosi e terrificanti si trasforma nel nome Giove. All’apparizione di queste fragorose tempeste gli uomini, impauriti, videro la verità, la loro verità paralizzante e colma di stupore che Vico cerca di raccontare nella Scienza Nuova come << teologia civile ragionata della provvidenza >>.

Giove è il principio, la scintilla che diede inizio all’incendio che distrusse la selva impervia e sconosciuta dell’ignoto; ma il suo fuoco non demolì tutta la selva, anzi l’ammorbidì, la costellò di sentieri e percorsi un po’ meno torbidi. L’energia della nominazione mise a riparo la coscienza dal caotico flusso del mondo sensibile, fissò un punto fermo: il nome “Giove”, nel quale si raccolgono il cielo tonante, il timore, le reazioni  immediate del corpo. Lo scuotimento corporeo e il suo significato si fondono e si rivelano nella purezza del nome  primordiale di Giove.

E’ la passione, la corporeità, la sensualità a costituire la vera origine dell’umanità, cioè la paura che la folgore di Giove procurò nell’anima e quindi nell’animo dell’uomo.[1]

Ma Giove concerne anche l’avvento della giustizia: << […] laonde incominciarono a ragionare del diritto, che prima nacque divino, con la proprietà con cui parlò la divinazione o sia scienza degli auspici di Giove >>[2].

I latini dicevano <<sub dio>>, e allo stesso modo dicevano <<sub Iove>>, cioè a cielo aperto, proprio perché il cielo lo si vedeva nelle sembianze di Giove, dal cielo si attendevano le leggi attraverso le pratiche divinatorie.

Giove fu detto “Ious”, dal quale ebbe origine Iovis” e “iuris”. “Ious” si colloca nella fase della “inarticolazione”, cioè la fase del linguaggio onomatopeico con il quale spontaneamente ed efficacemente il bambino si esprime; Ious , infatti, viene dal << fragor del tuono >>  e  << dal fischio del fulmine da’ greci qui fu detto Zeus >>: << Onde non è fuor del verisimile che, da’ primi fulmini incominciata a destarsi negli uomini la maraviglia, nascesse la prima interiezione da quella di Giove, formata con la voce “pa!”, e che poi restò raddoppiata “pape!” [] >>[3].

Dopo di che, Giove, fu padre (papà) non solo di tutti gli altri dèi, ma anche di tutti gli uomini: << onde poi nacque a Giove il titolo di “padre degli uomini e degli dèi >>[4]. Il nome Giove, diventa pro-creatore di altri nomi. Infatti, in qualche capoverso addietro, Vico, ci ricorda come presso i romani << […] i “nomi” significarono prima e propriamente “case diramate in molte famiglie”. E che i primi greci avessero anch’essi avuto i “nomi” in sì fatto significato, il dimostrarono i patronimici, che significarono “nomi di padri” […] i quali patronimici poi si sperderono nella libertà popolare di tutta la restante Grecia […]>>, la meraviglia risvegliata dal nervoso sussulto, che gli uomini primitivi ebbero dinnanzi all’ignote luminescenze dei fulmini, generò il primo “lamento significante” : Giove.

Sempre in questo capoverso, Vico, ci ricorda che la parola “nomen” e ”definitio” vavevano lo stesso significato.[5] Come se qui Vico volesse annunciarci lo sposalizio tra il nome fantastico e le “proprietà (fantastiche)”, ed ecco il “lamento”, che non è più semplice interiezione, ma acquista anche un significato che, si badi bene, è, e sarà sempre, anch’esso fantastico.  . Le “proprietà fantastiche” sono il frutto, la traccia, di quel processo conoscitivo che abbiamo già trattato nelle pagine precedenti: l’induzione analogica. Nome e definizione diventano la stessa cosa, essi si uniscono “in nome” di quella forza aurorale propria della “mitopoiesi”. Essi si fondono diventando una sola cosa, un solo nome, nel quale trova la sua dimora l’essenza. Mentre nel De Antichissima, come ho più volte ricordato, l’uomo non potrà altro che << definire il nome delle cose >>, e quindi l’uomo non farà altro che raccogliere solo una porzione limitata degli elementi delle cose. Attraverso la definizione, egli si dà una legge con la quale rappresentarsi la realtà. Attraverso la nominazione fantastica, invece, il nome (fantastico), fondendosi con la definizione (fantastica) riesce a raccogliere tutti gli elementi delle cose, riesce a carpire quell’ignoto che si cela dietro ogni forma di rappresentazione descrittivista. Il nome Giove diventa “stracolmo”, “traboccante” di significato. Il significato diventa così enorme da caricare fino ed oltre i limiti stessi di ogni possibile recinzione concettuale.


[1] << … i muscoli del cuore vengono contratti e dilatati dai nervi: sistole e diastole che determinano il moto perenne del sangue, che pertanto deve codesto suo moto precisamente ai nervi. Dunque, codesto moto dell’aria attraverso i nervi – moto maschio e vigoroso – era dagli antichi filosofi chiamato “animus”; il moto dell’aria nel sangue – moto per dir così, effeminato e succube – veniva detto da loro “anima”. I latini poi quando discorrevano dell’immortalità, si riferivano non alle “animae”, ma agli “animi”. Forse l’origine della frase “animus immortalis” va ricercata nel fatto che coloro i quali se ne fecero autori avevano osservato che i moti dell’ “animus”sono liberi e lasciati al nostro arbitrio, laddove a determinare quelli dell’ “anima” occorre la macchina, corrompibile, del corpo, e che, appunto perché si muove liberamente, l’ “animus” desidera l’infinito e, con questo, l’immortalità … >>; G.B. Vico, Dell’antichissima sapienza italica, cit., p. 286.

[2] S.N., 398.

[3]S.N., 448.

[4] Ibidem

[5]S.N., 433.