Freud per sempre – Intervista a Jacques Lacan (parte 3)

Intervista rilasciata da Jacques Lacan a Emilia Granzotto pubblicata su Panorama, Roma, 21 novembre 1974.

D. – Quando si parla di Jacques Lacan si associa inevitabilmente questo nome a una formula : « Ritorno a Freud ». Che cosa significa ?

R. – Esattamente quello che si dice. La psicoanalisi è Freud, se si vuole fare psicoanalisi bisogna rifarsi a Freud, ai suoi termini e alle sue definizioni. Lette e interpretate in senso letterale. Ho fondato a Parigi una scuola freudiana proprio per questo. Sono vent’anni e più che vado spiegando il mio punto di vista : tornare a Freud significa semplicemente sgombrare il campo dalle deviazioni e dagli equivoci, dalle fenomenologie esistenziali, per esempio, come dal formalismo istituzionale delle società psicoanalitiche, riprendendo la lettura del suo insegnamento secondo i principi definiti e catalogati dal suo lavoro. Rileggere Freud vuol dire soltanto rileggere Freud. Chi non fa questo, in psicoanalisi, usa forme abusive.

D. – Freud, però, è difficile. E Lacan, si sente dire, lo rende addirittura incomprensibile. A Lacan si rimprovera di parlare, e soprattutto di scrivere, in modo che solo pochissimi addetti ai lavori possono sperare di capire.

R. – Lo so, sono ritenuto un oscuro che nasconde il suo pensiero dentro cortine fumogene. Mi domando perché. A proposito dell’analisi ripeto con Freud che è « il gioco intersoggettivo attraverso il quale la verità entra nel reale ».

Non è chiaro ? Ma la psicoanalisi non è roba per ragazzi. I miei libri sono definiti incomprensibili. Ma da chi ? Io non li ho scritti per tutti, perché siano capiti da tutti. Anzi, non mi sono minimamente preoccupato di compiacere qualche lettore. Avevo delle cose da dire, e le ho dette. Mi basta avere un pubblico che legge. Se non capisce, pazienza. Quanto al numero dei lettori ho avuto più fortuna di Freud. I miei libri sono persino troppo letti, ne sono meravigliato. Sono anche convinto che fra dieci anni al massimo chi mi leggerà mi troverà addirittura trasparente, come un bel bicchiere di birra. Forse allora si dirà : questo Lacan, che banale

D. – Quali sono le caratteristiche del lacanismo ?

R. – È un po’ presto per dirlo, dal momento che ancora il lacanismo non esiste. Se ne sente appena l’odore, come un presentimento. Lacan, comunque, è un signore che pratica da almeno 40 anni la psicoanalisi, e che da altrettanti anni la studia. Credo nello strutturalismo e nella scienza del linguaggio. Ho scritto in un mio libro che « ciò cui ci riconduce la scoperta di Freud è l’enormità dell’ordine in cui siamo entrati, cui siamo, se così si può dire, nati una seconda volta, uscendo dallo stato giustamente chiamato infans, senza parola ». L’ordine simbolico su cui Freud ha fondato la sua scoperta è costituito dal linguaggio, come momento del discorso universale concreto. È il mondo delle parole che crea il mondo delle cose, inizialmente confuse nel tutto in divenire. Solo le parole danno il senso compiuto all’essenza delle cose. Senza le parole non esisterebbe nulla. Che cosa sarebbe il piacere, senza l’intermediario della parola ? La mia idea è che Freud, enunciando nelle sue prime opere (L’interpretazione dei sogni, Al di là del principio del piacere, Totem e tabù) le leggi dell’Inconscio, ha formulato precorrendo i tempi, le teorie con cui qualche anno più tardi Ferdinand de Saussure avrebbe aperto la strada alla linguistica moderna.

D. – E il pensiero puro ?

R. – Sottomesso, come tutto il resto, alle leggi del linguaggio. Solo le parole possono  introdurlo e dargli consistenza. Senza il linguaggio, l’umanità non farebbe un passo avanti nelle ricerche del pensiero. Così la psicoanalisi. Qualunque funzione le si voglia attribuire, agente di guarigione, di formazione, o di sondaggio, uno solo è il medium di cui si serve : la parola del paziente. E ogni parola chiama risposta.