Dalla “definizione” alla “finzione”: parte 1

Una prima trattazione più analiticamente definita del concetto vichiano di fantasia, s’incontra nel De Antiquissima, dove  il filosofo napoletano la definisce come una << facoltà >>. Premettendo che: “La parola “facultas” è contratta da “faculitas”, cangiata poi in “facilitas”, quasi che sia una capacità di fare non meno rapida che quanta [¼] Facoltà senza dubbio è la fantasia giacché ci serviamo di essa per configurare le immagini delle cose”.[1]

Anche la memoria rappresenta quella facoltà attraverso la quale ci formiamo immagini. Vico insiste sul rapporto fantasia-memoria, arrivando a affermare che << immaginare corrisponde al latino “memorare” >>[2], proprio perché ci configuriamo solo quelle stesse cose che ricordiamo, che in passato abbiamo percepito attraverso i sensi.

Un’ulteriore aggiunta a questa definizione di fantasia,  Vico la darà qualche pagina più avanti, dove dirà che la fantasia << è l’occhio dell’ingegno, al medesimo modo che il giudizio è l’occhio dell’intelletto >>[3].

Adesso, è d’obbligo fare alcune precisazioni utili per il proseguo di questa indagine. Prima di tutto, bisogna ricordare che in questa fase del pensiero vichiano (1710), Vico portò avanti una concezione del linguaggio che deve essere fortemente separata da quella che seguirà, come ho già ricordato sopra, negli anni 1721-1744, cioè gli anni dell’elaborazione della Scienza nuova. Mentre in questo ventennio il Nostro sosterrà che gli inventori del linguaggio saranno i << poeti teologi >>, privi di raziocino e immersi ancora ( anche se non più come i primitivi bestioni ) nelle turbolente passioni corporee, nel De Antiquissima, sosterrà che la nascita del linguaggio debba ritrovarsi in uomini già dotti, filosofi, i quali, in virtù della loro “sapienza riposta”, diedero origine al linguaggio: “Nel meditare intorno alle origini della lingua latina, m’avvidi che quelle di molti vocaboli erano così dotte da sembrare derivate non già dal volgare uso popolaresco, bensì da qualche dottrina riposta”.[4]


[1] G.B. Vico, Dell’antichissima sapienza italica, cit.,  p. 292.

[2] Ivi, p. 294.

[3] Ivi, p. 304.

[4] Ivi, p. 242.