Bacone e Locke: immaginazione e conoscenza (parte 3)

Un’altra tappa importante nella storia del concetto vichiano di fantasia – che qui tratteremo solo di passaggio –  (prima di passare ad  una più particolareggiata argomentazione sull’universale fantastico, e quindi, in secondo luogo,  al rapporto fantasia-conoscenza, il tutto finalizzato allo sviluppo e all’analisi della vichiana teoria del linguaggio, che qui abbiamo chiamato: “nominazione fantastica”), è quella costituita dall’ascendenza che ebbe su Vico il capolavoro lockiano Essay concerning Human Understanding. In questo libro così importante per il pensiero filosofico occidentale, veniva a galla un’idea tutt’altro che positiva dell’immaginazione. Essa veniva considerata alla stessa stregua dell’illusione.

Anche se l’intelletto, per Locke non crea un’idea semplice, in quanto essa è sempre il frutto della passività della mente di fronte alla realtà, esso diveniva attivo (e quindi creativo) nell’atto di costruire, riunire, comporre, organizzare queste stesse idee nate dall’esperienza. Ebbene, questa attività non può non riguardare la fantasia. Infatti Vico – come sostiene il Costa –  << venne a contatto con un testo che, pur denigrando l’immaginazione come illusione adatta per il semplice ‘entertaiment’, ebbe una notevole importanza nella storia della idea di fantasia, perché la sua insistenza sulla libera e attiva manipolazione delle idee semplici da parte dell’intelletto era fatta apposta per suscitare nei lettori un grande interesse per l’immaginazione >>[1]. Il filosofo napoletano ha cercato, sempre e comunque, di non creare quella cesura tra la verità generata dalla finzione e quella espressa dalla filosofia; infatti egli affermerà: “Non sono infatti del parere che i poeti si dilettino principalmente di false immaginazioni, oso anzi affermare che essi, al pari dei filosofi, abbiano il compito di perseguire il vero”[2].

Anche se per inseguirlo, non disdegnano di << appigliarsi al falso >>: essi rifuggono dalle forme comuni del vero, per raffigurarlo nelle sue manifestazioni più alte; paradossalmente si appigliano al falso per conseguire un più alto grado di verità.[3]

Con straordinaria audacia il filosofo napoletano, caricherà  la fantasia di una portata sempre maggiore, fino al punto di allargare la finzione fantastica a tutti i campi del fare: politica, scienza, religione, diritto, tecnica ecc. . Questo soprattutto dal 1721 in poi.


[1] G. Costa, Genesi, cit., p. 362.

[2] G.B. Vico De nostri …, cit., p. 92.

[3] Ivi, p. 93.