Clinica del quotidiano

La vita in comunità, la condivisione delle responsabilità, la rinuncia ai ruoli e agli atteggiamenti sociali rigidi, il confronto con la realtà, l’identificazione con i valori della comunità, la possibilità per operatori e pazienti di instaurare relazioni significative all’interno di essa, sono fattori terapeutici importanti[1].

La comunità terapeutica diviene così un laboratorio sociale “agente” delle cure, dove il cuore della terapia si fonda su una “clinica del quotidiano” in cui ogni momento della giornata diventa un’occasione di apprendimento dall’esperienza. La forza curante della Comunità è garantita da una certa “domesticità”: la dimensione degli atti, degli avvenimenti, le negoziazioni, i dinieghi, le assenze, le convivenze, le contrarietà, le condivisioni. Grazie al supporto di questo contenitore simbolico è possibile promuovere una costante riflessione sui tempi e sui modi in cui si svolgono gli atti della vita quotidiana[2].

Il Piccolo Principe, creato dalla fantasia di Saint-Exupery, parlando della sua rosa dice che “è il tempo che ho perduto per la mia rosa che ha fatto la mia rosa così importante” (Saint-Exupéry, A. De, 1943). Proprio allo stesso modo, la quotidianità, a volte apparentemente scevra di un obiettivo terapeutico ben definito, finisce per diventare essenziale per il lavoro clinico con i pazienti. Fondamentale, per il processo terapeutico, è il ruolo dell’ambiente, dove ogni piccolo cambiamento, anche quello più insignificante, può avere effetti molto significativi per l’equilibrio dei pazienti, che ricevono messaggi silenti proprio dall’organizzazione dell’ambiente,  che deve essere progettato per fare spazio al soggetto.

L’impalcatura del funzionamento della comunità (regole di funzionamento, scansioni temporali, suddivisione degli spazi) dovrà poter offrire una continuità dei tempi e degli spazi. La ricostituzione di uno sfondo psichico adeguato dipende da ciò che si “fa” piuttosto che in base a ciò che si “dice”: gli effetti di ricostituzione del senso di sé sono una conseguenza dell’atmosfera globale dell’ambiente terapeutico[3]. Per dirla con Zapparoli, il funzionamento della comunità configura una “residenza emotiva” dove trovare un proprio posto, un luogo in cui potersi fermare per mettere in ordine le proprie cose[4]. Perché questo possa accadere è necessario che per il “viandante” il luogo, la comunità diventi qualcosa che gli appartiene, dove possa “sentirsi a casa” e da cui possa iniziare a desiderare il mondo esterno, progettare la scoperta dell’ignoto, immaginare la fuga, sperare la libertà[5].

Un dato clinico importante per ragionare sul “quando” effettuare l’inserimento, oltre la crisi, è la presenza all’interno del gruppo familiare di forze cicliche fortemente negative, quelle forze che Correale chiama “vulnerabilità specifica” e “area traumatica”[6]. Secondo questo autore esisterebbe un fattore di vulnerabilità specifica di ogni paziente che consiste nella facilità con cui un atteggiamento lievemente depersonalizzato di base, può divenire una depersonalizzazione franca, in determinate circostanze; se le circostanze permangono, il paziente può sperimentare il terrore di morte da sradicamento dalla realtà. Per vulnerabilità Correale intende una sorta di “tallone d’Achille” o una scena del delitto o una particolare relazione con una persona, fattori dotati di caratteristiche tali, che, se accentuati, conducono al verificarsi di una vera apocalisse psicopatologica. Ogni paziente psicotico, infatti, nel raccontare la sua storia, enfatizza e ripete uno scenario relazionale che lo ha “fatto ammalare”.

In questa prospettiva, gli agiti psicotici sarebbero atti attraverso i quali evitare quei momenti di vera e propria apocalisse psicopatologica[7].


[1] Whiteley, J., S., & Collis, M. (1987). The therapeutic factors in group psychotherapy applied to the therapeutic community. International Journal of Therapeutic Communities, 8, 21-31.

[2] Rabboni, M, (1997). Etica della riabilitazione psichiatrica. Tensioni e prospettive nelle strategie di intervento. Milano: Franco Angeli.

[3] Correale, A., Aloni, A. M., &  Giacchetti, N. (2001). Borderline. Lo sfondo psichico naturale. Roma: Ed Borla.

[4] Zapparoli, G. C. (1992) Paranoia e tradimento. Torino: Bollati Boringhieri.

[5] Iori, V. (1988). Lo Spazio Vissuto. Milano: Franco Angeli.

[6] Correale, A. (2006). Area traumatica e campo istituzionale. Roma: Ed. Borla.

[7] Correale, A. (2000). Psicoanalisi e psicosi: fino a che punto indagare l’area traumatica? Rivista di Psicoanalisi, XLVI, 4, 707-730.