Altri scritti freudiani 1916

Parallelo mitologico con una rappresentazione ossessiva plastica (1916) 617-18. In un paziente di circa ventun anni i prodotti dell’attività psichica inconscia non diventavano coscienti solo come pensieri ossessivi, ma anche come immagini ossessive. Le due forme di ossessione potevano apparire insieme o indipendentemente una dall’altra. In un certo periodo, quando il paziente vedeva entrare suo padre nella stanza, si presentavano alla sua mente una parola ossessiva e un’immagine ossessiva strettamente congiunte fra loro. La parola era Vaterarsch (“padre-culo”) e l’immagine che l’accompagnava rappresentava il padre come la parte inferiore di un corpo nudo, provvista di braccia e gambe, ma senza la testa e la parte superiore. I genitali non erano indicati, i tratti del volto erano dipinti sul ventre. La parola “Vaterarsch” si rivelò presto una maliziosa germanizzazione del titolo onorifico di “Patriarch” (patriarca). L’immagine ossessiva è un’evidente caricatura. Fa venire in mente altre raffigurazioni che in segno di disprezzo sostituiscono l’intera persona con un unico organo, per esempio con i genitali, o certe fantasie inconsce che portano all’identificazione dell’organo genitale con la persona intera, nonché determinate locuzioni scherzose come ad esempio “sono tutt’orecchi”. Secondo la leggenda greca, in cerca della figlia rapita, Demetra era giunta a Eleusi dove era stata ospitata da Disaule e dalla moglie di lui Baubo, ma nella sua profonda afflizione non aveva voluto toccare né cibo né bevande. Al che la sua ospite Baubo la fece ridere, alzandosi improvvisamente la veste e scoprendo il corpo nudo. Gli scavi di Priene, in Asia Minore, hanno portato alla luce delle terrecotte che rappresentano Baubo. Esse mostrano il corpo di una donna senza testa e senza petto e sul cui ventre è disegnato un volto; la veste, sollevata, incornicia questo volto come una capigliatura.

Una relazione fra un simbolo e un sintomo (1916)

623-24
Che il cappello sia un simbolo del genitale, prevalentemente di quello maschile, è stato sufficientemente provato dall’esperienza delle analisi dei sogni. In molte fantasie e in molti sintomi anche la testa compare come simbolo dell’organo genitale maschile. Più di un analista avrà osservato che i suoi pazienti affetti da nevrosi ossessiva manifestano orrore e indignazione per la pena della decapitazione assai più che per qualsiasi altra forma di morte; e avrà ritenuto di dover spiegare loro che trattano la decapitazione come un sostituto dell’evirazione. Potrebbe darsi che il significato simbolico del cappello derivi da quello della testa, dal momento che il cappello può essere considerato una sorta di testa prolungata, ma staccabile. Si dà talora il caso, nei nevrotici ossessivi, di un sintomo con cui essi sanno procurarsi continui tormenti: per la strada sono incessantemente all’erta, per controllare se i loro conoscenti li salutano per primi togliendosi il cappello (l’atto significa abbassarsi di fronte alla persona salutata), o se invece sembrano aspettare il loro saluto. La loro suscettibilità in materia di saluto significa che non vogliono mostrarsi meno importanti di quel che l’altro può pensare. Il fatto che la loro suscettibilità non ceda a simili spiegazioni fa supporre che sia all’opera un motivo connesso con il complesso di evirazione.

Alcuni tipi di carattere tratti dal lavoro psicoanalitico (1916)

  1. Le “eccezioni”

629-34
Il lavoro psicoanalitico si trova continuamente di fronte al compito di indurre il paziente a rinunciare a un conseguimento immediato e diretto di piacere. Non gli si chiede di rinunciare del tutto a qualunque piacere, ma soltanto a quei soddisfacimenti cui consegue inevitabilmente un danno. Capita di incontrare persone che si ribellano a simili pretese con una particolare motivazione. Dicono di avere già sofferto e subìto un numero sufficiente di privazioni, si considerano in diritto di essere risparmiati da ulteriori pretese, non vogliono più sottoporsi ad alcuna spiacevole necessità poiché si ritengono eccezioni e tali intendono rimanere. Esiste una particolarità comune a questi pazienti nelle prime vicissitudini della loro vita: la loro nevrosi si collega con un’esperienza o una sofferenza vissute nei primi anni dell’infanzia, che essi valutano come una menomazione della loro persona. I privilegi che fanno derivare da questa ingiustizia e la ribellione che ne scaturisce hanno contribuito non poco ad acuire i conflitti che più tardi avrebbero condotto allo scoppio della nevrosi.

  1. Coloro che soccombono al successo

635-50
Il lavoro psicoanalitico ci ha permesso di asserire che le persone si ammalano di nevrosi in conseguenza della frustrazione. Intendiamo con ciò la frustrazione del soddisfacimento dei loro desideri libidici; la nevrosi insorge solo quando esiste un conflitto fra i desideri libidici e l’Io, che è l’espressione delle sue pulsioni di autoconservazione e comprende gli ideali della sua personalità. La privazione, la frustrazione di un soddisfacimento reale, è la prima condizione per l’insorgere della nevrosi. Ci sono persone che crollano quando raggiungono il successo: ne è un esempio il personaggio di Lady Macbeth di Shakespeare. Il medico che svolge un’attività psicoanalitica sa bene quanto spesso e regolarmente una ragazza che entra in una famiglia in qualità di cameriera, dama di compagnia o governante, consciamente o inconsciamente accarezzi a occhi aperti il sogno, derivante dal complesso edipico, che in qualche maniera la padrona di casa scompaia e il padrone prenda lei come seconda moglie. Il lavoro psicoanalitico insegna che le forze della coscienza morale che provocano la malattia in conseguenza del successo, anziché, come al solito, con la frustrazione, sono intimamente connesse al complesso edipico, al rapporto con il padre e con la madre, come del resto forse lo è il nostro senso di colpa in generale.

  1. I delinquenti per senso di colpa

651-52
Nel parlare della loro gioventù, in particolare degli anni precedenti la pubertà, persone spesso in seguito divenute rispettabilissime hanno riferito in analisi azioni illecite commesse in quel periodo della loro vita. Il lavoro psicoanalitico ha dato il sorprendente risultato che tali azioni venivano compiute soprattutto perché proibite e perché la loro esecuzione portava un sollievo psichico a chi le commetteva. Il paziente soffriva di un opprimente senso di colpa di origine sconosciuta, e solo dopo che aveva commesso un misfatto, tale peso risultava mitigato. Perlomeno, il senso di colpa veniva attribuito a qualcosa. Sarebbe giusto chiamare queste persone delinquenti per senso di colpa. La preesistenza del sentimento di colpa si era dimostrata attraverso una serie di altre manifestazioni ed effetti. Il risultato costante del lavoro psicoanalitico indicava che questo oscuro senso di colpa proveniva dal complesso edipico ed era una reazione ai due grandi propositi criminosi di uccidere il padre e avere rapporti sessuali con la madre.

Una difficoltà della psicoanalisi (1916)

657-64
La difficoltà consiste nell’avversione che provoca nell’uomo l’affermazione dei due princìpi, tanto dolorosi per il suo narcisismo, dell’importanza della sessualità e dell’inconsapevolezza della vita psichica. Per capire le malattie nevrotiche l’importanza di gran lunga maggiore spetta alla pulsione sessuale; le nevrosi sono per così dire le malattie specifiche della funzione sessuale; dipende dalla quantità della libido e dalla possibilità di soddisfarla e scaricarla attraverso il soddisfacimento, se un individuo si ammala di nevrosi; la forma stessa della malattia è determinata dal modo in cui l’individuo ha percorso la via di sviluppo della pulsione sessuale o, come dice la psicoanalisi, dalle fissazioni che la sua libido ha subìto nel corso di quello sviluppo. L’attività terapeutica ha ottenuto il suo miglior risultato in relazione a una particolare classe di nevrosi che sono originate da un conflitto tra le pulsioni dell’Io e le pulsioni sessuali. La terapia psicoanalitica consente di sottoporre a revisione il processo di rimozione e di avviare il conflitto a una soluzione migliore, compatibile con lo stato di salute. Durante il lavoro terapeutico ci si deve preoccupare della ripartizione della libido nell’ammalato; cercare di capire a quali rappresentazioni oggettuali la libido è legata e renderla libera per metterla a disposizione dell’Io. È chiamato narcisismo lo stato in cui l’Io trattiene presso di sé la libido. L’individuo compie un progresso quando passa dal narcisismo all’amore oggettuale. La psicoanalisi ha cercato di istruire l’Io, che non è padrone in casa propria.

Estratti: Opere di Sigmund Freud (OSF) Vol 8. Introduzione alla psicoanalisi e altri scritti 1915-1917, Torino, Bollati Boringhieri, 2002.