Schema L

Nel punto a dello schema L di Lacan abbiamo l’Io, ovvero il luogo in cui il soggetto emerge come colui che parla. Se da un lato il soggetto “accade” nel discorso, esso per mezzo del discorso stesso si eclissa. Questa dissolvenza del soggetto nel discorso si realizza per il rapporto che esso soggetto ha con il discorso stesso, ovvero, per il fatto “che un significante è ciò che rappresenta un soggetto per un altro significante”[1].

È necessario discriminare il luogo dove il discorso si origina da quello in cui si produce. Nell’Io, nel luogo di a sullo schema a L, il discorso si produce, ma, il luogo in cui esso si origina è quello dell’Altro.

S indica il soggetto nella “sua ineffabile e stupida esistenza”[2]. Ovvero è il soggetto irretito nel linguaggio, senza sapere cosa sta dicendo. “Si vede in a, ed è per questo che ha un io (moi). Può credere che sia questo io a essere lui. Tutti sono a questo punto, e non c’è modo di uscirne”[3].

Sull’asse immaginario ritroviamo lo stadio dello specchio nel quale si gioca la riconquista dell’identità in quanto immagine dell’altro, assunta come propria immagine, infatti, attraverso l’immagine dell’altro possiamo avere accesso alla nostra identità. Quindi l’altro nello specchio, che è l’immagine dell’Io, sarà il filtro attraverso il quale noi percepiremo l’altro, il simile che sullo schema viene identificato con a’: “[…] la forma dell’altro ha il più stretto rapporto con l’io, gli è sovrapponibile, e lo scriviamo con a’“.[4]

La relazione tra S e l’Io (a) è sempre vincolata da a’ e la relazione tra il soggetto S e l’altro a’, il simile, è sempre dipendente da a.

“Quando il soggetto parla con i suoi simili, parla nel linguaggio comune, che tratta gli io immaginari non come cose semplicemente ex-sistenti, ma reali. Non potendo sapere che cosa c’è nel campo del dialogo concreto, ha a che fare con un certo numero di personaggi, a’, a”. In quanto il soggetto li mette in relazione con la propria immagine, coloro a cui parla sono anche coloro a cui si identifica”[5].

Quando si comunica con gli altri la comunicazione è sempre mediata dalla finzione ovvero dall’asse immaginario aa’, che è il piano secante A—>S e che Lacan chiama muro del linguaggio, muro che rende vana la comunicazione tra soggetti.

“Ci rivolgiamo di fatto a degli A1, A2 che sono ciò che non conosciamo, degli autentici Altri, dei veri soggetti. Essi sono dall’altra parte del muro del linguaggio, dove in linea di principio non li raggiungo. Fondamentalmente è loro che ho di mira ogni volta che pronuncio una vera parola, ma raggiungo sempre a1, a2, per riflesso. Miro sempre ai veri soggetti, e mi devo accontentare di ombre. Il soggetto è separato dagli Altri, i veri a causa del muro del linguaggio”[6] [7].

L’analisi consiste cioè nel sostenere il passaggio dalla parola che circola sull’asse aa’, la parola vuota, ad una parola piena. [8]

“L’analisi consiste nel fargli prendere coscienza delle […] relazioni [del soggetto], non con l’io dell’analista, ma con tutti quegli Altri che sono i suoi veri interlocutori, e che non ha riconosciuto. Il soggetto deve progressivamente scoprire a quale altro si rivolge realmente, senza saperlo, e assumere progressivamente le relazioni di transfert al posto in cui è, e dove all’inizio non sapeva di essere”[9].

La traduzione di Wo Es war, soll Ich werden Lacan lo traduce con “Lì dove l’S era, l’Ich deve essere[10]. In francese è stata tradotto così: “Le Moi doit délonger le Ca” che in italiano suonerebbe così: “L’Io deve sloggiare l’Es“. La traduzione francese viaggia sulla stregua di un Io forte, laddove invece Lacan ci propone una direzione nella quale è l’Io a dover cedere il posto all’Es, Es che deve essere preso come la lettere S, che è lì, sempre lì, è il soggetto”. Detto altrimenti, l’Io, ciò che si gioca sull’asse immaginario, l’asse della finzione, deve fare posto all’Es in quanto soggetto, ovvero al desiderio come autentica espressione del soggetto, autenticità irretita nell’alienazione immaginaria.

Quindi, S, il soggetto è sempre filtrato dall’Io (a), la sua identità che è specularmente dipendente dall’altro speculare (a’). S quando si relazione con se stesso e gli altri è sempre filtrato dall’asse immaginario aa’.

Questo vuol dire che, il soggetto autentico quando si rapporta con il proprio Io, lo fa a partire dall’influenza dell’altro, il simile, a’; quando si rapporta con l’altro, il simile, lo fa a partire dall’influenza del proprio io (a).

Quando un S (soggetto autentico) prova a comunicare con un A (Altro autentico), abbiamo sempre un Io che comunica con un altro io sull’asse immaginario aa’.

Quando S si rivolge all’Altro inevitabilmente di rivolge ad a’: S—–>a’ che rinvia ad a, ovvero all’io, a’——>a dove accadono le finzioni immaginarie: io che sono l’altro, l’altro che sono io.

L’Altro che si dirige verso S, A——>S, e ad un certo punto si scontra con l’asse immaginario, a’—->a; poi si dirige anche verso a, A—>a.

Questo doppio movimento che parte da A indica che, quando S si dirige verso A, è come se ad S arrivasse qualcosa da A, qualcosa che si rivolge a lui partendo da A.

Cioè, nel momento in cui il Soggetto prova a rivolgersi all’Altro qualcosa interferisce con l’intenzionalità discorsiva del Soggetto stesso e questo qualcosa proviene dall’Altro a livello inconscio, perché la linea diventa tratteggiata dopo aver intersecato la linea a’—>a come, allo stesso tempo dall’Altro qualcosa si dirige direttamente verso l’Io (in questo caso con la linea continua) A—>a.

L’asse immaginario a’—>a riesce a “interrompere, spezzare, scandire ciò che passa a livello del circuito”[11].

Come sostenere una “comunicazione” che non sia catturata dall’asse immaginario aa’ ma che incida sull’Altro invece che sull’altro? Quando noi parliamo ad un altro crediamo di rivolgerci ad un Altro ma in realtà ci rivolgiamo ad un altro che viene considerato Altro, anche se non ne siamo totalmente sicuri, c’è una certa incognita in gioco, dice Lacan “è essenzialmente questa incognita nell’alterità dell’Altro, ciò che caratterizza il rapporto tra la parola al livello cui è parlata e l’altro”[12].

La parola autentica, quella che supera il muro di aa’, la troviamo nei messaggi che provengono dall’Altro in forma invertita, ovvero, quando “l’emittente [a] riceve dal ricevente il proprio messaggio in forma invertita”[13], “il nostro messaggio ci viene dall’Altro in forma invertita”[14], ovvero, “la parola include sempre soggettivamente la sua risposta”[15].

Quindi il nostro parlare è una risposta, ovvero, la parola vera è possibile facendo parlare l’Altro come tale. Se “io” dico, “tu sei il mio maestro” (parola vuota), dall’Altro arriva la parola vera: “io sono il discepolo”.

A—->S indica la parola che S indirizza all’Altro e che gli arriva già da A in forma invertita ma, essendo dato implicitamente, arriva a S senza che questo se ne renda conto: ecco l’inconscio che da A arriva ad S, e che rappresenta la direzione simbolica dello schema a L.

Il vettore A—>a ci dice che il messaggio che dall’Altro si dirige verso S non viene colto da S, ovvero, S, che si dirige verso A, si reperisce, cioè intende il suo dire in a, cioè a livello dell’Io, nel soggetto immaginario. Quindi, il “Tu sei bello, tu sei bravo”, proferito in a, si costituisce in realtà in A con “Io sono brutto, io sono cattivo”, anche se gli perviene in forma invertita “Tu sei bello, tu sei bravo” per causa dell’asse immaginario a’—>a. Quindi, ciò che viene detto nel luogo dell’Io, in a, come messaggio, è originariamente generato e dunque proveniente da A (A—>a).

L’inconscio si può concepire come “quel discorso dell’Altro in cui il soggetto riceve, nella forma invertita [“tu sei bello, tu sei bravo”] ciò che conviene alla promessa, il proprio messaggio dimenticato [“io sono brutto, io sono cattivo”][16]. La parola del soggetto, la sua parola è un messaggio prodotto nel luogo dell’Altro.

Nel Seminario III Lacan introduce il caso di una donna psicotica che un giorno sarebbe stata offesa da un uomo di facili costumi che se la intendeva con una sua vicina di casa. L’uomo in questione le avrebbe rivolto un epiteto che non osava neanche ripetere anche se, quando aveva visto l’uomo passare, aveva farfugliato qualcosa di strano, di allusivo: “Sono stata dal salumiere”, come se la donna volesse riferirsi ad un maiale, un porco, ma perché non dice semplicemente “porco”? Lacan ottiene la sua risposta quando la donna gli dice che l’uomo in questione le avrebbe risposto “troia”, dopo che lei gli avrebbe detto “porco”. La donna riceve il suo messaggio, “porco”, in forma invertita, “troia”, anche se in questo caso, essendo la donna psicotica, il messaggio le arriva dall’altro (a’) e non dall’Altro (A).

La donna vive reclusa, simbioticamente, con la madre e questo rapporto, dopo aver allontanato il marito, si è rafforzato ancor di più. Il marito, dopo la difficile separazione con la moglie, avrebbe minacciato la donna di averla fatta a fette. Dopo questa minaccia la coppia madre-figlia ha organizzato le loro vite facendo fuori tutto ciò che faceva parte del mondo maschile. La coppia madre-figlia ha creato un circuito comunicativo chiuso dove il loro messaggio non si articola con nessun elemento che non siano loro stesse.

Questa condizione speculare fa sì che il messaggio “troia” giunge come risposta a “sono stata dal salumiere”.

In questo caso, il circuito della comunicazione è capovolto. Quello che dice la donna, “sono stata dal salumiere”, non è una risposta, in forma invertita in risposta ad un messaggio che verrebbe dall’Altro. Non è lo stesso messaggio “sono stata dal salumiere” ad essere una risposta ad un messaggio, allucinatorio, “troia”.

Il messaggio “sono stata dal salumiere” è invertito rispetto al messaggio che riceve da a’, ovvero “troia”, ma ciò che lei dice va al di là di quello che lei è come soggetto. S non si rivolge mai veramente ad A. S si rivolge ad a’ dal quale riceve la sua stessa parola, “la propria parola è in quell’altro che è lei stessa, l’altro minuscolo, il suo riflesso nel suo specchio, il suo simile […] il circuito si chiude su quei due altri minuscoli che sono la marionetta di fronte a lei, che parla, e nella quale risuona il suo stesso messaggio, e lei stessa in quanto che l’io è sempre un altro e parla per allusioni […] “Chi è stato dal salumiere? Un maiale a pezzi. Lei non lo sa, di dirlo, pure lo dice. A quell’Altro cui parla, dice […] Io la troia, sono stata dal salumiere, sono già disgiunta, corpo in frammenti, membra disecta, delirante e il mio mondo se ne va in pezzi, come io stessa””[17].


[1] J. Lacan, «Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell’inconscio freudiano», in Scritti, vol. II, a cura di G.B. Contri, Einaudi, Torino 1974, p. 822.

[2] Lacan J., Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi, Scritti, Einaudi, Torino, 1974, vol. 2, p. 545

[3] Lacan J, (1954-55) Il seminario Libro II. L’io nella tecnica di Freud e nella teoria della psicoanalisi, Einaudi, Torino, 1991, p. 281

[4] L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, p. 281

[5] L’io nella tecnica di Freud…pp. 281-281.

[6] L’io nella tecnica…p.282.

[7] p. 282, “Se la parola si fonda sull’esistenza dell’Altro, il vero, il linguaggio è fatto per rinviarci all’altro oggettivato, all’altro di cui possiamo fare tutto ciò che vogliamo, ivi compreso pensare che è un oggetto, cioè che non sa quel che dice. Quando ci serviamo del linguaggio, la relazione con l’altro si svolge sempre in questa ambiguità. In altri termini, il linguaggio è altrettanto fatto per fondarci nell’Altro che per impedirci radicalmente di comprenderlo”; “[…] il soggetto non sa quello che dice, e per le migliori ragioni, perché non sa che cos’è” [p. 282]

[8] “L’analisi deve mirare al passaggio di una parola vera, che congiunga il soggetto a un altro soggetto, dall’altra parte del muro del linguaggio. È la relazione ultima del soggetto con un Altro vero, con l’Altro che dà la risposta che non si aspetta, a definire il punto terminale dell’analisi”[p. 284]

[9] p.284

[10] p. 284

[11] J. Lacan, Libro II, L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi 1954-1955, Torino, Einaudi, 2006, p. 372

[12]  Ibidem, p. 45.

[13] Il seminario sulla lettera rubata, Scritti, p. 38.

[14] Overture della raccolta, in Scritti, p. 5.

[15] Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi, in Scritti, p. 291.

[16] La psicoanalisi e il suo insegnamento, in Scritti, p. 431.

[17]  Seminario III, p. 62-63