Psicologia delle folle

Con il termine folla si indica un insieme di individui che essendo una moltitudine,presentano caratteristiche diverse da quelle che l’individuo possiede preso singolarmente. Il concetto di “folla” prese piede alla fine dell’Ottocento e trovò nella psicologia collettiva la disciplina in grado di studiarne i fenomeni connessi.

La psicologia collettiva nasce all’interno di una cornice culturale positivista, e si colloca a metà strada fra biologia e sociologia. Essa studia il comportamento delle folle, descrivendone principalmente gli aspetti irrazionali, le forze aggreganti, la tendenza all’azione violenta, e la rigidità delle credenze che la strutturano. La psicologia collettiva acquisisce lo statuto di vera e propria disciplina fra l’Ottocento e Novecento, si eclissa però nel periodo fra le due guerre mondiali. Riacquisisce una certa importanza fra i sociologi statunitensi negli anni Cinquanta, seppur assai modificata:  formalizzata in modo più rigoroso e supportata da ricerche empiriche.

Molti autori tra i quali ricordiamo Gustave Le Bon (Psicologia delle folle, 1895), Scipio Sighele (La folla delinquente, 1891), Cesare Lombroso (L’uomo delinquente, 1876), Pasquale Rossi (L’animo della folla, 1898), Gabriel Tarde (L’opinione e la folla, 1901), hanno evidenziato che il comportamento della folla si basa sull’irrazionalità e sul ricomparsa di ataviche spinte, collocabili in fasi evolutive ormai superate dalla specie umana. Gli uomini riuniti in una grande aggregazione esprimono insieme un’anima collettiva nella quale si palesa l’anima della razza: una insieme di tradizioni nazionali e di caratteri strutturali di un popolo. La folla è come un branco, uno sciame, un gregge o una mandria: esprime cioè la stessa irrazionalità e lo stesso spirito di imitazione di questi raggruppamenti di animali, dei quali le folle assumono anche le caratteristiche del disprezzo e della paura.

José Ortega y Gasset (1883-1955) nel 1930 pubblica La ribellione delle masse, dove lo studioso spagnolo definisce il tipo dell’uomo-massa, che a suo dire ha invaso l’Europa contemporanea: è un assoluto conformista, tende a non differenziarsi in niente dai suoi simili, e nello stesso tempo gode dei beni che l’industrializzazione, l’urbanesimo, la scolarizzazione, gli mettono a disposizione. È il suddito dei fascismi, è allo stesso tempo la folla che riempie le strade, i negozi, i caffè delle nostre città. Ortega affermava che anche un uomo singolo può divenire uomo-massa, se ha perso la sua individualità.

Nel 1950, David Riesman (1909) in La folla solitaria sosteneva che nella società contemporanea, multirazziale, internazionale, delle comunicazioni, del terziario e dei consumi,  liberal-democratiche si genera paradossalmente una conformità spaventosa. Il singolo individuo per sfuggire alla solitudine, all’isolamento,  è sempre alla ricerca di una identità comune con tutti gli altri, senza che nessuno tra l’altro gli imponga niente. Riesman chiama “etero-diretto” l’individuo tende ad essere simile agli altri per adeguarsi alle aspettative altrui.

Le folle rappresentate negli studi sopra ricordati non sono state sempre le stesse: alla fine dell’Ottocento sono generalmente in rivolta, folle di strada che lottano per il pane, eredi di quella cultura riconducibile alla Rivoluzione francese; fra le due guerre, le folle sono costituite sia dalle aggregazioni oceaniche dei totalitarismi che dalla piccola borghesia conformista; dopo la guerra, le folle si identificano con il consumatore, figlio della società del benessere.

Elias Canetti (1905), in Massa e potere (1960), ha ripreso molte delle teorie e delle metodologie della psicologia collettiva ottocentesca, innescandovi concetti tratti dalla psicoanalisi e aprendo così nuove prospettive di lettura dei totalitarismi e del comportamento collettivo.