Nessuna cosa è dove la parola manca

Condizione necessaria di ogni possibile conoscenza è la fede, la credenza nel principio che guida la conoscenza stessa. Aristotele nel suo ragionamento sull’essenza del discorso logico, è molto chiaro a tal proposito: “Se noi conosciamo e crediamo un oggetto per mezzo del principio, a una grado più forte di quello da cui esso deriva, noi conosciamo e crediamo il secondo in base al primo”[1]. Il punto di partenza non può che essere il discorso originario, “iniziale”, “archaico” ( “nel senso di dominante, arche, archomai, archontes, o i dominanti” )[2]: questa è la vera legge dominante.

La concezione tradizionale della conoscenza, come è risaputo, si fonda sulle condizioni necessarie e sufficienti che strutturano essenzialmente ogni possibile conoscenza razionale, e sono: credenza, verità e giustificazione. Sarà sempre e comunque la credenza a ricoprire il ruolo indiscutibilmente primario per ogni possibile indagine intorno al problema della conoscenza.

Hume sicuramente è stato uno dei primi ad osservare come il concetto di credenza sia a tal punto fondamentale che lo stesso problema della verità (o falsità) o della giustificazione, risultano subordinati ad esso. Ogni conoscenza (razionale) è sempre anche credenza, e come sostiene Aristotele: “Se noi conosciamo e crediamo un oggetto per mezzo del primo principio, a un grado più forte di quello da cui esso deriva, noi conosciamo e crediamo il secondo sulla base del primo”[3].

La misurazione del divenire incessante degli eventi, avviene attraverso la scelta (privata) di alcune leggi, il divenire viene “ordinato” come meglio si “crede”. La stessa osservazione empirica non fa altro che ridurre i fenomeni sensoriali a fenomeni significanti, a sintomi, segnali di qualcosa. Il trasferimento di significato è prettamente arbitrario (privato). La scelta è sempre una scelta soggettiva.

Un sistema di leggi non può autofondarsi. Le sua fondamenta sono il supporto necessario del sistema stesso, ed esse devono sostare inevitabilmente oltre il sistema. In esse non si può che credere, aver fede, non si può altro che sceglierle. Il superamento di questo limite può avvenire solo in una nuova concezione del rapporto verba / res. Solo attraverso la parola la cosa è. I nomi fantastici sono gli archai, le radici di ogni conoscenza. L’ingegnosa attività fantastica crea, istituisce l’uomo e l’umanità: “Nessuna cosa è dove la parola manca “ (George).


[1] Aristotele, Sec. Anal., in Opere, Bari, Laterza 1973, 72 a 25.

[2] E. Grassi, Vico e l’umanesimo, Milano, Guerini e Associati, 1990, p. 97.

[3] Aristotele, Sec. Anal., op. cit, 72 a 30.