L’efficacia della psicoterapia psicodinamica nelle istituzioni

L’efficacia delle psicoterapie

Gli studi sull’efficacia delle più recenti terapie psicologiche confermano i risultati di molti altri precedenti (Roth, A. & Fonagy, P., 1996; Gabbard, G.O., 1994): la validità dei trattamenti psicologici non è più in discussione. Sono state realizzate negli ultimi 10-15 anni, molte ricerche e molte metanalisi: una meta-metanalisi di studi controllati, basata sul confronto di terapie verso altre terapie, verso controlli senza intervento o placebo, ha dimostrato che l’effetto delle terapie psicologiche è superiore al placebo e quello del trattamento placebo è superiore all’assenza di intervento (Grissom, R.J., 1996). L’attenzione della ricerca al momento è rivolta a chiarire quali trattamenti sono indicati per quali pazienti, per quali disturbi, eventualmente in quale fase degli stessi, e quale sia l’efficacia del trattamento combinato con i farmaci.

Un’altra corrente di ricerca si focalizza sul miglioramento dell’efficienza dei trattamenti psicologici che hanno già dimostrato di portare in determinati contesti a un risparmio dei costi sia diretti sia indiretti, attraverso trattamenti focalizzati, specifici e brevi. Inoltre si manifesta un sempre maggior interesse verso i trattamenti rivolti alla prevenzione dei disturbi. Negli ultimi tre anni sono più di cento gli studi sperimentali sul trattamento psicoterapeutico dei disturbi psichiatrici. Vi sono più di dieci metanalisi di studi randomizzati e controllati, la gran parte riguarda le terapie cognitivo-comportamentali ; vi è un numero consistente di studi riguardanti la terapia interpersonale e cominciano ad esservi studi che indagano le psicoterapie psicodinamiche, superando finalmente le tradizionali difficoltà di ricerca in tale ambito. In riferimento alla psicoterapia psicodinamica, sono stati realizzati studi nel trattamento di disturbi specifici, sui fattori predittivi dell’esito nella terapia a breve termine e sulla tecnica più adatta in base alle caratteristiche dei pazienti (Ogrodniczuk et al., 1999; Piper et al., 1999).

In estrema sintesi possiamo affermare che la psicoterapia psicodinamica è un trattamento efficace in molte patologie psichiatriche e in alcuni casi, è l’unico percorso di cura efficace per alcuni sottogruppi di pazienti che non rispondono alle cure psichiatriche usuali, inoltre è un trattamento economicamente conveniente, soprattutto con i pazienti gravi e cronici, con coloro cioè, che utilizzano per un tempo maggiore i servizi e i luoghi di ricovero (Stevenson, J,  & Meares, R, 1999; Gabbard, G.O., 1994). In alcuni casi il trattamento può essere condotto con efficacia anche da non psicoterapeuti adeguatamente sottoposti ad un percorso di training e costantemente supervisionati (Bateman, A. & Fonagy, F., 1999); ciò, insieme all’impiego dei trattamenti in gruppo, riduce i costi, ampliando il numero di pazienti che possono accedere al trattamento. L’associazione contemporanea o sequenziale dei trattamenti farmacologico e psicoterapeutico, può comunque potenziare l’efficacia di entrambi, aumentando il numero di risposte positive.

Lo sforzo di compiere ricerche in grado di dimostrare scientificamente, l’efficacia delle psicoterapie psicodinamiche, ha portato al compromesso di scegliere i quadri clinici semplici e di semplificare le procedure del trattamento per poter controllare il maggior numero possibile di variabili: ciò ha generato però un di stanziamento rilevante dalla realtà clinica quotidiana. La complessità delle situazioni cliniche, la necessità di adattare la tecnica al paziente, l’interazione con la terapia farmacologica, l’unicità della relazione paziente-terapeuta, sono fattori, questi, in forte contrasto con le necessità di una tecnica manualizzata. Vi è perciò la necessità di studi a lungo termine, che meglio dovranno evidenziare le potenzialità della psicoterapia psicodinamica. Tali studi però pongono importanti problemi metodologici, sui quali eticamente non si può sorvolare, come per esempio le difficoltà a mantenere un gruppo di controllo per lungo tempo.

Un contributo alla spiegazione dell’efficacia della psicoterapia viene, sorprendentemente è il caso di dire, anche dalle discipline neurobiologiche e dalla psichiatria molecolare, che recentemente hanno dimostrato un crescente interesse nei confronti della psicoterapia psicoanalitica. Due articoli di Kandel (Kandel, E.R., 1998; Kandel, E.R., 1999) riassumono in cinque punti fondamentali le conoscenze neurobiologiche odierne sul rapporto mente-corpo:

  1. tutti i processi mentali derivano da operazioni del cervello,
  2. il funzionamento cerebrale è sottoposto al controllo genico (combinazioni di geni),
  3. l’apprendimento può modificare l’espressione genica, anche dopo l’adolescenza,
  4. l’“individualità” perciò è fondata su questa plasticità biologica,
  5. e infine, principio fondamentale per quanto riguarda l’importanza del lavoro psicoterapico, secondo Kandel, le psicoterapie e le terapie ambientali possono determinare modifiche anatomiche e funzionali del cervello.

In un approccio integrato dei trattamenti biologici e psicologici, Gabbard (Gabbard, G.O., 2000) sostiene che se la psicoterapia è considerata come una forma d’apprendimento, allora tale processo può produrre alterazioni dell’espressione genica e perciò modificare la forza e il numero delle connessioni sinaptiche. Le ipotesi proposte da Kandel, per quanto pionieristiche, ci consentono quindi di considerare la natura essenzialmente “biopsicosociale” degli interventi psichiatrici. Sotto questa luce, infatti, i trattamenti farmacologici avrebbero un effetto psicologico che si aggiunge al loro effetto diretto sul cervello e gli interventi psicoterapeutici modificherebbero il cervello in aggiunta al loro impatto psicologico.

Psicoterapia e psicofarmaci

In questo clima culturale l’integrazione tra psico- e farmacoterapia, almeno a livello teorico, appare meno problematica. È ormai assodato che in vasti gruppi di pazienti questa associazione sia sicuramente vantaggiosa, dal punto di vista terapeutico ed economico (Karasu, T.B., 1982).

Oggi come oggi si sottolinea sempre con più insistenza la necessità di un trattamento integrato o combinato, per diminuire le recidive, per contenere le acuzie, per lavorare sugli aspetti deficitari e migliorare dunque il funzionamento sociale. Il problema dell’indicazione per il “trattamento di collaborazione” (Riba, M.R., & Balon, R., 1999) è stato in vario modo affrontato, tenendo presente sullo sfondo i diversi quadri psicopatologici. Un’avveduta e corretta prescrizione farmacologica può costituire un primo cauto avvicinamento al paziente per tentare di costruire con lui una relazione terapeutica (Zapparoli, G.C., 1988).

Questi problemi d’integrazione tra psico- e farmacoterapia sono sicuramente emersi spesso nel trattamento dei pazienti gravi all’interno dei servizi istituzionali per psicotici. Un importante dilemma clinico, che s’incontra anche in ambito privato, riguarda il dubbio se l’associazione tra psicoterapia e trattamento farmacologico debba essere esercitata dallo stesso terapeuta o da due differenti curanti (Berti Ceroni, G. et al., 1997). Da un lato, infatti, l’integrazione dei due trattamenti richiede chiarezza rispetto ai modelli di riferimento e alle modalità di attuazione pratica della cura, che può solo scaturire nel tempo da un rapporto di fiducia e di stima reciproca con i colleghi all’interno del gruppo di lavoro. Dall’altro non sono trascurabili i problemi etici e medico-legali riguardo alla possibilità di passaggio di informazioni tra operatori e riguardo alla responsabilità globale della cura.

La coincidenza invece, d’entrambe le funzioni, in un unico terapeuta, implica la consapevolezza del rapporto bimodale (Docherty, J.P., Marder, S.R., Kammen, D.P., Van & Siris, S.G., 1988), all’interno del quale il paziente deve essere visto contemporaneamente come una persona sofferente nel contempo, sia sul versante psicologico che su quello neurobiologico (Gabbard, G.O., 1994).

Riuscire a conciliare tali aspetti diversi ma complementari nella normale attività clinica di ogni psichiatra, richiede ritmi di lavoro e di riflessione adeguati. L’attuale riduzione delle risorse professionali rispetto alla domanda di cura ha ridotto drammaticamente il tempo che l’operatore ha a disposizione per ogni paziente e ciò rischia di condurlo ad una sempre più affannata ricerca volta a cogliere segni e sintomi, per una prescrizione corretta del farmaco, che rischia di essere concepito come il principale, se non l’unico, fattore terapeutico (Tasman, A., Riba, M.B., & Silk, K.R., 2000).

Il setting della neuropsichiatria infantile

Le indicazioni di una psicoterapia psicodinamica in età evolutiva non possono più fondarsi su una nosografia statica e descrittiva dei disturbi e dei sintomi: è necessario confrontarsi sulla valutazione delle variabili di sviluppo normale e patologico. Il criterio evolutivo che si articola nel rapporto fra queste due dimensioni, determina e condiziona la scelta di un intervento psicoterapeutico e anche il suo possibile esito. Sappiamo, per esempio, che i trattamenti psicoterapeutici al di sotto dei 12 anni di età tendono a mostrare cambiamenti più significativi e più stabili nel tempo, rispetto ai trattamenti psicologici condotti con bambini più grandi e adolescenti (Fonagy, P. & Target, M., 1998).

L’efficacia della psicoterapia, valutata sia in rapporto agli interventi in età precoce, sia in rapporto ai quadri clinici precursori di disturbi psicopatologici gravi, è difficilmente valutabile. Infatti, le ricerche di follow-up anche a lungo termine e gli studi di esito concernenti psicoterapie in età evolutiva risultano esigui, soprattutto nell’ambito delle terapie a orientamento psicodinamico.

Dalla rassegna sugli studi di efficacia riportati in letteratura risulta che in oltre il 70% di bambini e adolescenti, seguiti in psicoterapia, è stato possibile riscontrare un miglioramento clinico, soprattutto rispetto alla riduzione o alla scomparsa dei sintomi psichiatrici (Ibidem).

Il lavoro psicoterapeutico in età evolutiva svolge un ruolo molto importante, sia di cura che di prevenzione secondaria dei disturbi. Tuttavia, nella realtà dei servizi per l’infanzia, l’attività clinica è scarsamente praticata e nonostante la presenza di numerosi psicologi e neuropsichiatri con formazione specifica al riguardo, tale funzione non ha ancora trovato un’adeguata collocazione organizzativa nell’ambito dei molteplici compiti istituzionali ad essa affiancati. Da ciò emergono alcune priorità che non possono essere ignorate e sulle quali occorre che i servizi di neuropsichiatria garantiscano la possibilità d’interventi psicoterapeutici in un assetto specifico ed esplicito. I disturbi precoci della relazione genitore-bambino e alcuni aspetti della psicopatologia della pre-adolescenza e dell’adolescenza, sembrano costituire gli obiettivi minimi di tale impegno di trasformazione istituzionale.

La complessità evolutiva dell’adolescenza: quali servizi?

“L’adolescenza è un fenomeno universale: ciò che varia sono i significati e le attese che le differenti culture applicano ai loro giovani membri, man mano che essi avanzano in questo stadio della loro vita” (Calligari Galli, M., 1989). La società ha sempre protetto l’adolescenza attraverso la formulazione di norme di comportamento e riti di passaggio. La rete protettiva che sosteneva i giovani nell’entrata nel mondo degli adulti si è progressivamente sgretolata: il pericolo è quello di esporre gli adolescenti a un drammatico disorientamento.

Alcune ricerche(Roth, A. & Fonagy, P., 1997) evidenziano che la sofferenza psichiatrica dei bambini e adolescenti può essere stimata attorno al 10-33%.

Altre ricerche indicano una percentuale di adolescenti a rischio superiore al 20% (Muscetta, S., 1998). Confermando che i fattori di rischio grazie ai quali poter identificare gli adolescenti a rischio sono fondamentali per l’individuazione del disagio anche in tarda adolescenza e nell’età adulta (Rutter, M., 1994). Le ricerche sulla adolescenza mettono in risalto l’importanza della prospettiva evolutiva di questa fase di crescita, evidenziando come essa sia un’età particolarmente a rischio per la manifestazione degli aspetti disadattativi in campo sia psichiatrico sia sociale.

L’adolescente e i servizi sanitari: alcune possibili articolazioni

L’attuale organizzazione sanitaria presenta una varietà di Servizi che offrono programmi, strategie di cura e assistenza dedicati a specifiche patologie. La frammentazione dell’offerta e l’assenza di un reale coordinamento fra i Servizi sanitari comportano una perdita dell’elaborazione complessiva, atteggiamenti di delega da un settore all’altro e un divario fra le metodologie d’intervento e i processi formativi (Rossi, I., 1986): i Servizi, agendo separatamente fra di loro, mostrano lo stesso modo di comportamento intrapsichico con il quale l’adolescente agisce, tentando di espellere o di organizzare le parti di sé.

L’adolescenza rischia di essere considerata una terra di nessuno: fra la psichiatria degli adulti e la neuropsichiatria infantile, spesso viene considerata una semplice fase evolutiva caratterizzata da crisi della maturazione o di passaggio e ciò favorisce un pericoloso atteggiamento d’attesa. La neuropsichiatria infantile cura i disturbi della prima infanzia, i Dipartimenti di Salute Mentale si occupano dell’accoglienza di casi gravi: non c’è un luogo per l’accoglienza del disagio adolescenziale (Rossi, I. & Bastianelli, S., 1988).

E’ fondamentale, nel lavoro con l’adolescenza, poter fare prevenzione e intervenire precocemente. E’ importante non solo attivare interventi tempestivi,  ma anche mobilitare un insieme di azioni incidenti sulla complessa rete di servizi al manifestarsi dei primi sintomi di malattia, o anche prima del suo esordio (McGorry, P., Mc Farlane, C., Patton, G., Bell, R., Jackson, H., Hibbert, M. & Bowes, G., 1995). L’intervento preventivo favorisce il raggiungimento degli obiettivi specifici dell’età evitando che il processo di maturazione e della costruzione dell’identità sia interrotto. Alcuni autori hanno evidenziato che (Laufer, M., 1999)  “le dinamiche dei crolli evolutivi dell’adolescenza e indicano che un trattamento idoneo costituisce un’occasione decisiva in questo periodo della vita, che è caratterizzato dalla plasticità e dalla possibilità di cambiamenti. Laufer a tal proposito indica che gli aspetti patologici risolti in questa fase della vita hanno minori possibilità di ripresentarsi in epoche successive”. La possibilità di riconoscere precocemente i fattori predisposizionali al disturbo psichico e la valorizzazione dei fattori protettivi che favoriscono l’evoluzione della personalità: rappresentano sicuramente una chance in più per un buon risultato terapeutico.

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