La funzione del velo nel mancare il bersaglio

Subito salta all’occhio la centralità che occupa questo seminario del gennaio 1957 nell’intera economia della Relazione d’oggetto, ma oserei dire dell’intero pensiero di Lacan.Tutto il discorso lacaniano fluttua intorno a quella che lui stesso battezza come “affermazione paradossale”: quello che è amato nell’oggetto è ciò di cui esso manca, non si dà che quel che non si ha [1]. E’ da qui che Lacan muove tutto il suo questionamento sulla problematica della relazione d’oggetto.

L’oggetto è nientificato e questa nientificazione conduce, irrimediabilmente al manque à être inarrestabile a partire dal quale s’installa la concezione lacaniana di amore in quanto domandare dell’altro, dell’altro portatore di “qualcosa” che dovrebbe soddisfarmi, appagare il mio desiderio. Ma è proprio qui che emerge il domandare, quel domandare che alberga nella mancanza-ad-essere, nel mancare il bersaglio. Che cos’è l’oggetto-feticcio? Lacan ci risponde in modo chiaro: il feticcio è il simbolo di qualcosa. Che cos’è questo qualcosa? Il pene-fallo.  Ed è qui ritroviamo un punto che definirei nucleico per queste pagine: il pene in questione è il pene in quanto lo ha la donna. In quanto non lo ha [2]. Chiariamo meglio questo punto.

La concezione del maschile e del femminile acquista in Lacan una connotazione topologica che mette in evidenza la positività del non-essere, cioè l’essere preponderante è proprio l’essere di ciò che manca, l’essere del non-essere, l’essere del mancante.

Infatti mentre la posizione maschile si colloca sotto il segno  del Fallo, della presenza, dell’esserci, appartiene al femminile il registro dell’non-essere, il registro della castrazione totale, assoluta. Il femminile rappresenta la mancanza-a-essere per eccellenza.

Quindi nonostante la logica parmenidea ci abbia insegnato che l’essere è incontrovertibile con il non-essere, e cioè che l’essere è e non può non essere, e che il non-essere non è e non può essere, Lacan invece pone l’accento sul fatto che è l’uomo, nonostante lo si consideri come detentore del Fallo, come padre mitico titolare dello scettro adamantino del potere, nonostante tutto ciò egli non sperimenta, nella sua vita individuale, la pienezza alla quale anela, anzi lo scontro con il Tutto non fa che rendergli più insopportabile e più limpida la sua privazione, la sua manque à être, mancanza-ad-essere.

Ed è proprio in quanto mancante, in quanto castrato, che chiede alla donna di sopperire a questa mancanza, di integrare ciò di cui si sente privato. La donna funziona, in questo senso, come Fallo per l’uomo che, paradossalmente, le chiede di dargli ciò che lei non possiede.

Qui il discorso si fa più pertinente con”l’affermazione paradossale” di cui dicevamo sopra: la donna, che si trova inscritta nel registro del non-essere, si rivolge al suo partner come al Tutto, l’Uno, dio. La donna che ama, dice Lacan, è una mistica o una pazza. Ma mentre l’uomo le chiede ciò che lei non possiede, lei gli domanda di essere ciò che lui non è.

Qual è la natura di questo fallo che Lacan definisce simbolico? La sua natura è quella di presentarsi nello scambio come assenza, ed è proprio questo il suomeccanismo, la sua è una assenza funzionante. Circola. Fluisce. Lasciando dietro di sé il segno della sua assenza, la da dove proviene [3].

Non avere il fallo simbolicamente vuol dire parteciparne, vuol dire averlo, proprio perché si entra nella dialettica simbolica di avere o non avere il fallo.

Nell’atto di amare, chi riceve realmente è la donna. La donna si dà, ma non ha niente da dare, forse “solo” un’assenza, forse più di ogni altra “cosa”. Allora, in questo scambio, se l’uomo è colui che nell’atto d’amore dà, cos’è che la donna deve dare all’interno di questo scambio?  Ritorniamo all’inizio del nostro discorso: il fallo simbolico. Come ricorda per inciso in queste pagine il nostro Lacan: è sempre il ragazzo ad essere feticista e mai la ragazzay [4].

In questo luogo del seminario, Lacan ci fa luce sulla questione del feticismo confrontandolo con il travestitismo. Con questo confronto, fa luce sulle due differenti, anzi direi opposte, dinamiche che regolano il rapportarsi con il velo: due opposte funzioni del velo, quella del feticista e quella del travestito.

Il feticismo si differenzia dal travestitismo proprio in quanto per questo ultimo il velo appartiene al registro della protezione, il velo è l’égida in cui s’avvolge il soggetto identificato con la madre, il velo è qualcosa dietro cui il soggetto si nasconde, il soggetto non sta davanti al velo, ma dietro, al posto della madre , aderendo a una posizione d’identificazione in cui quest’ultima ha bisogno di protezione, in questo caso in modo avvolgente [5]. Per il feticista l’identificazione avviene con la donna, confrontata con il pene distruttore, con il fallo immaginario [6].

Il travestismo si pone al polo opposto del feticismo: mentre per il feticista è sul velo che il feticcio raffigura proprio ciò che manca al di là dell’oggetto, il travestito, s’identifica con ciò che è dietro il velo, con quell’oggetto cui manca qualcosa. Il travestito stesso s’identifica con la madre in quanto lei stessa, madre, vela la mancanza del fallo. La cosa più interessante è che Lacan allarga questo discorso ad ogni uso del vestito, ogni vestito partecipa alla funzione del travestitismo. La funzione del vestito non è solo quella di nascondere ciò che si ha, (avere o non avere), ma anche ciò che non si ha, la mancanza dell’oggetto.

Se quello che è amato nell’oggetto è ciò di cui egli manca, quel che è amato nell’oggetto d’amore è qualcosa che è al di là, qualcosa che non è niente ma ha proprietà d’esserci simbolicamente.

Arriviamo nel cuore della questione: la funzione del velo, del sipario [7]: qual è questa funzione?

Sul velo si dipinge “questa” assenza, “questo” niente. Come la sacra sindone di Cristo che porta in sé la traccia impressa dell’Assente, dell’Originario che trova la sua dimora nell’umanità proprio in quanto ripetizione, ripetizione dell’originario, in quanto ripetizione dell’impossibile, in quanto immagine, in quanto idolo appunto [8]. Qui la differenza assoluta che è Dio, per dirla con Kierkegaard ci rende chiaro che l’uomo non è Dio, l’uomo è la non-verità, ed qui che troviamo il sentimento di quel niente che sta al di là dell’oggetto d’amore. Lacan qui cita Freud [9] L’orrore della castrazione, in questa creazione di un sostituto, si è posto da solo un monumento.Il tutto viene scandito dal ritmo ternario soggetto-oggetto-al di là [10].

A questo punto dell’articolazione lacaniana sulla questione della funzione del velo, viene messa in luce un’altra tematica che viene subito ricondotta sul sentiero del discorso fin qui presentatovi: il ricordo di coperturaDeckerinnerung [11]. Che cos’è? Un’istantanea, ci dice Lacan, un interruzione nella storia (p.168). E’ il punto d’arresto in questa catena, in questo è metonimico. Fermandosi qui indica il suo seguito ormai velato [12]. Quindi la costituzione dell’oggetto è metonimica, un punto nella storia in cui la storia stessa si ferma. Domanda: perché il velo per l’essere umano è più prezioso della realtà?

Dal Seminario II [13]:

La vita è questo – una deviazione, ostinata deviazione, per se stessa caduca e sprovvista di senso. Perché, in quel punto delle sue manifestazioni che si chiama l’uomo, si produce qualcosa che insiste durante questa vita, e che si chiama unsenso? Lo chiamiamo umano ma è poi così sicuro? È forse così umano questo senso? Un senso è un ordine, cioè un sorgere. Un senso è un ordine che sorge. Una vita insiste per entrarvi, ma esso esprime forse qualcosa di completamente al di là di questa vita, e dietro al dramma del passaggio all’esistenza, non troviamo nient’altro che la vita congiunta alla morte. È qui che ci porta la dialettica freudiana…La vita non vuole guarire….La vita non pensa che a morire.


[1] Jacques Lacan  Il Seminario, Libro IV, La relazione d’oggetto (1956-57). Testo stabilito da Jacques-Alain Miller. Edizione italiana a cura di Antonio Di Ciaccia. Torino, Einaudi, 1996, p. 161. 

[2] Jacques Lacan, Il Seminario, Libro IV…, op. cit., p. 162

[3] Jacques Lacan, Il Seminario, Libro IV…, op. cit., p. 163

[4] Jacques Lacan, Il Seminario, Libro IV…, op. cit., p. 164

[5] Jacques Lacan, Il Seminario, Libro IV…, op. cit., p. 174

[6] Jacques Lacan, Il Seminario, Libro IV…, op. cit., p. 172

[7] Jacques Lacan, Il Seminario, Libro IV…, op. cit., p. 165

[8] Ibidem

[9] Jacques Lacan, Il Seminario, Libro IV…, op. cit., p. 167

[10] Jacques Lacan, Il Seminario, Libro IV…, op. cit., p. 168

[11] Ibidem

[12] Ibidem

[13] Lacan Jacques, Il seminario. Libro II. L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicanalisi (1954-1955), Einaudi, 2006