Jung, inconscio personale, inconscio collettivo

Fonte: C. G. Jung, Tipi psicologici, Boringhieri, Torino, 1968, pagg. 460-463

Il concetto di inconscio è per me un concetto esclusivamente psicologico, e non un concetto filosofico nell’accezione metafisica. A mio modo di vedere l’inconscio è un concetto-limite psicologico che copre tutti quei contenuti o processi psichici che non sono coscienti, ossia che non sono riferiti all’Io in modo percettibile. Il diritto di parlare in genere dell’esistenza di processi inconsci deriva per me unicamente dall’esperienza, e precisamente in primo luogo dall’esperienza psicopatologica, la quale rivela incontestabilmente che, per esempio, in un caso di amnesia isterica l’Io ignora l’esistenza di estesi complessi psichici, ma che un semplice procedimento ipnotico è in grado di dare nel momento successivo una perfetta riproduzione del contenuto smarrito. Migliaia di esperienze di questo genere ci autorizzano a parlare dell’esistenza di contenuti psichici inconsci. La questione dello stato nel quale si trova un contenuto inconscio fino a che non è ancora associato alla coscienza si sottrae a ogni possibilità di conoscenza. È pertanto del tutto superfluo voler formulare supposizioni al riguardo. A simili fantasie appartiene l’ipotesi della cerebrazione, del processo fisiologico ecc. È anche assolutamente impossibile indicare quale sia l’ambito dell’inconscio, ossia quali contenuti esso comprenda. Questo può essere deciso solo dall’esperienza. In base a essa noi sappiamo anzitutto che contenuti coscienti possono divenire inconsci per la perdita del loro valore energetico. Questo è il normale meccanismo del dimenticare. Che questi contenuti non vadano definitivamente perduti cadendo al di sotto della soglia della coscienza lo sappiamo per esperienza, potendo essi riemergere, talvolta anche dopo decine di anni, in circostanze adatte, per esempio nel sogno, nell’ipnosi, come criptomnesia, o per il rinnovarsi di associazioni connesse con il contenuto dimenticato.

Inoltre l’esperienza ci insegna che contenuti coscienti possono finire per dimenticanza intenzionale al di sotto della soglia della coscienza senza perdita troppo rilevante di valore, processo cui Freud ha dato il nome di rimozione di un contenuto penoso. Un effetto analogo si ha per dissociazione della personalità, cioè per dissolvimento dell’organicità della coscienza in conseguenza di un violento affetto o d’uno shock nervoso, oppure nella schizofrenia per la disgregazione della personalità (Bleuler).

Cosí pure sappiamo per esperienza che alcune percezioni sensoriali, a causa della loro debole intensità o a causa di una deviazione dell’attenzione, non raggiungono l’appercezione cosciente e tuttavia divengono contenuti psichici mediante un’appercezione inconscia, il che può essere ugualmente dimostrato, per esempio con l’ipnosi. La stessa cosa può verificarsi nel caso di determinate conclusioni e altre combinazioni che rimangono inconsce per troppo scarsa consistenza o per diversione dell’attenzione. Infine l’esperienza ci insegna anche che vi sono connessioni psichiche inconsce, per esempio immagini mitologiche, che non furono mai oggetto di consapevolezza e che procedono quindi interamente da un’attività inconscia.

Fin qui l’esperienza ci fornisce degli indizi che confortano l’ipotesi dell’esistenza di contenuti inconsci. Essa però non può dir nulla su ciò che eventualmente potrebbe essere un contenuto inconscio. È ozioso fare supposizioni al riguardo, perché non è dato determinare tutto quello che potrebbe essere un contenuto inconscio. Dov’è il limite inferiore di una percezione sensoriale subliminale? Esiste un qualsiasi criterio per determinare l’esiguità o la portata di combinazioni inconsce? Quand’è che un contenuto dimenticato è totalmente estinto? Per questi interrogativi non v’è risposta.

L’esperienza che finora abbiamo circa la natura dei contenuti inconsci ci consente però di compierne una certa classificazione generale. Possiamo distinguere un inconscio personale che comprende in sé tutte le acquisizioni dell’esistenza personale, dunque cose dimenticate, rimosse, percepite, pensate e sentite al di sotto della soglia della coscienza. Accanto a questi contenuti inconsci personali esistono però altri contenuti che non provengono da acquisizioni personali, ma dalla possibilità di funzionamento che la psiche ha ereditato, cioè dalla struttura cerebrale ereditata. Queste sono le trame mitologiche, i motivi e le immagini che in ogni tempo e luogo possono riformarsi indipendentemente da ogni tradizione e migrazione storica. Questi contenuti io li denomino collettivamente inconsci. L’esperienza ci insegna che anche i contenuti inconsci, al pari di quelli coscienti, sono impegnati in una determinata attività. Come dall’attività psichica cosciente derivano determinati risultati o prodotti, cosí anche l’attività inconscia svolge un’attività produttiva che si esprime per esempio nei sogni e nelle fantasie. È ozioso speculare sul grado di compartecipazione della coscienza, per esempio nei sogni. Un sogno ci si presenta, non siamo noi a produrlo coscientemente. Certo, la riproduzione cosciente, o anche addirittura la stessa percezione, apportano in esso molte modificazioni, senza però annullare in alcun modo il fatto fondamentale di un impulso produttivo di provenienza inconscia.

Il rapporto funzionale dei processi inconsci con la coscienza possiamo definirlo compensatorio. L’esperienza ci mostra infatti che il processo inconscio porta alla luce il materiale subliminale cosí com’esso è costellato dallo stato della coscienza: tutti quei contenuti, dunque, che, qualora tutto rientrasse nell’ambito della coscienza, non potrebbero mancare nel quadro della situazione cosciente. La funzione compensatrice dell’inconscio si manifesta tanto piú chiaramente quanto piú unilaterale è l’atteggiamento cosciente; fatto, questo, di cui la patologia fornisce copiosi esempi.