Il dinamismo dei settings istituzionali (2)

Continuando il discorso di ieri, una seconda tipologia di strutture, presuppone invece un paziente relativamente capace di “essere presso se stesso” investendo sia sullo spazio istituzionale, come territorio maggiormente proprio, che sulla relazione di gruppo. Si tratta di strutture intermedie, ora a carattere diurno, come i Centri diurni, Atéliers riabilitativi, attività strutturate ecc., ora a carattere residenziale, Centri residenziali di Terapia e Riabilitazione, Comunità Terapeutiche, case alloggio ecc., luoghi di vita comunitaria al cui interno è anche possibile formulare progetti individualizzati di distacco e di eventuale reinserimento esterno.[1]

In qualsiasi punto della rete istituzionale il paziente si trovi, è comunque fondamentale il riferimento a un setting, inteso come spazio percettivo e affettivo, caratterizzato da ritmi temporali, regole e limiti, insieme alla possibilità di entrare e uscirne. Racamier sostiene che la cornice è fondamentale rispetto alla confusione temporale, spaziale e spesso corporea in cui si trovano gli psicotici, condizione spesso contagiosa per chi sta loro vicino. Quella cornice rappresenta un alloggio psichico per pazienti che hanno una vita psichica discontinua e frammentata[2].

Winnicot descrive questa condizione psichica come mancanza fondamentale di “esistere” tipico di quei soggetti lasciati cadere pesantemente in tutta una serie di fallimenti ambientali a cui è necessario rispondere con una funzione concreta di holding. Inoltre è necessario tenere presente che una cura che lavora solo sul registro della continuità, rischia di produrre cronicizzazione, mentre se il lavoro si orienta esclusivamente in senso discontinuo, per esempio, con la chiusura delle strutture nei periodi festivi e vacanze, ciò susciterebbe nei pazienti, l’effetto di un’alternanza di crisi/miglioramenti, con successive ricadute secondo la logica del revolving door[3], per cui il minore psicotico viene subito ricoverato, successivamente dimesso, per poi ritornare dopo pochi giorni: dinamica che rischia di generare una serie interminabile di ricoveri che non portano a nulla se non ad un impoverimento ed un isterilimento della funzione terapeutica. È pertanto necessaria l’esistenza di una struttura, nella rete istituzionale, che rimane sempre aperta, anche se non è presente alcun paziente: scelta che assume il significato di una continuità nella discontinuità, anche se tutti i pazienti tornano a casa per brevi o lunghi periodi, sanno che esiste un luogo ove c’è sempre qualcuno ad accoglierli, mai completamente chiuso. Questa possibilità consente loro di allontanarsi con la sicurezza di poter tornare se ne sentono il bisogno, interiorizzando gradualmente il senso di continuità nella loro esistenza.

Al gruppo di lavoro è affidata una funzione fondamentale per il contenimento della struttura psicotica: coagulare, aggregare, costruire insiemi a partire da frammenti e da dettagli[4]. Tale abitudine integrativa, realizzabile solo in un gruppo, diventa poi gradualmente una funzione di pensiero nuova, apportatrice d’arricchimento emotivo e cognitivo e inedita per il singolo individuo[5]. La cornice terapeutica non è costituita solo di spazi, regole e funzioni, ma anche di persone: l’equipe curante, costituita da molteplici figure professionali, psichiatri, psicoterapeuti, infermieri, educatori, assistenti sociali, tecnici della riabilitazione, supervisori, ecc. e dai vari nuclei operativi: deve svolgere un importante lavoro di elaborazione, di sintesi e restituzione di senso di ciò che accade nella rete istituzionale. Indispensabili sono i momenti stabili d’incontro grazie ai quali è possibile il coordinamento e quella vitale circolazione d’informazioni e di presa di coscienza degli affetti del proprio lavoro, all’insegna della continuativa collegialità di un clima d’ascolto dei diversi punti di vista, grazi al quale essere sempre pronti a superare i fraintendimenti, l’impasse e le ostilità reciproche, che l’approccio ai complessi intrecci della patologia psicotica spesso comporta.


[1] Marta Vigorelli, Il lavoro della cura nelle istituzioni. Progetti, gruppi e contesti nell’intervento psicologico, 2005, Franco Angeli, p. 111

[2] Racamier, P.C., (1998) Una comunità di cura psicoterapeutica. Riflessioni a partire da un’esperienza di vent’anni. In: Ferruta, A., Foresti, G., Pedriali, E., Vigorelli, M., La comunità terapeutica. Tra mito e realtà, Milano: Cortina, pp. 90-103.

[3] Winnicott, D.W. (1989). Psychoanalytic Explorations. London: Karnac Books; Cambridge, Mass: Harvard University Press, (tr. it.  Esplorazioni psicoanalitiche. Milano: Raffaello Cortina, 1995).

[4] Marta Vigorelli, Il lavoro della cura nelle istituzioni. Progetti, gruppi e contesti nell’intervento psicologico, 2005, Franco Angeli, p. 112

[5] Correale, A. (1995). Fattori terapeutici nei gruppi e nelle istituzioni. Roma: Borla.