Ho paura perché tremo (3/14)

Il piacere e il dolore orientano l’organizzazione del nostro comportamento. Negli organismi più semplici si può notare come essi si orientano verso una sorgente di piacere e si allontanano da una di dolore. Per tali organismi primitivi i “segnali di piacere o di dolore” provengono dal contatto diretto.

Il cibo, in quanto oggetto buono, viene assorbito, cioè la fonte di piacere viene incorporata. L’organismo tende ad assorbire la fonte del piacere attraverso l’incorporazione. Dal neonato che porta alla bocca tutto ciò che può, all’organismo unicellulare che assimila il suo cibo. Questa tendenza nell’essere umano si trasforma in una tendenza ad aggrapparsi alla fonte del piacere. Ovviamente, quando il piacere è perduto sorge la spinta a riappropriarsi della fonte di quel piacere. Il contatto con un oggetto spiacevole che comporta dolore induce un segnale d’allarme che indica che si è avuto un danneggiamento. È un sistema di segnalazione primitivo ma che rappresenta la base a partire dalla quale si è organizzata l’intera gamma di comportamenti rispetto alle situazioni di allarme.

Il piacere comporta una risposta di assorbimento o incorporazione, il dolore è una risposta di liberazione, cioè una risposta volta ad eliminare ciò che causa dolore. Sono riflessi di liberazione, come accade per il vomito, la diarrea, le lacrime, la tosse lo starnuto o tutte le altre reazioni organiche finalizzate ad eliminare corpi estranei che arrecano dolore. Il “dolore psichico” può indurre ad un comportamento di liberazione proprio come accade per il “dolore fisico”.

La rimozione, per esempio, è un meccanismo di liberazione da qualcosa di insostenibile, ed è noto che ci sono pazienti psicotici che arrivano ad automutilarsi strappandosi organi vitali (occhi, orecchie o genitali) pur di riuscire a lenire il dolore provocato dalle visioni o dalle sensazioni dolorose. C’è una certa “autoregolazione edonica” che riguarda non solo l’organizzazione dei protozoi ma quella di tutti gli animali, incluso l’essere umano che è e resta un sistema biologico il cui comportamento è indotto dalle sensazioni di piacere o dolore. L’emozione, secondo questa lettura, è un segnale preparatorio che predispone ad un comportamento d’allarme con l’obiettivo di rideterminare una condizione di benessere.

Le emozioni ci accadono, sono fuori dal nostro controllo. Lo schema classico che induce una emozione prevede un antecedente emozionale, un evento nel mondo esterno, un’esperienza vissuta con consapevolezza che produce una percezione di piacere o dispiacere, cioè una condizione fisiologica più o meno intensa che crea una certa “tonalità” in grado di connotare l’esperienza e orientare un comportamento, i nostri pensieri, la memoria, le decisioni e la percezione. Il verbo latino moveo (muovere) e il prefisso e, alla base della parola emozione, ci suggeriscono che le emozioni ci impongono una certa tendenza all’azione. Le parole emozione e motivazione derivano entrambe dalle espressioni “emovere” e “movere”, che richiamano alle immagini di movimento e attività. L’emozione riprende il significato di “muovere fuori”, nel senso dell’emergere, del venire fuori, di motivazione al “muovere verso”, nel senso di direzione, dirigersi verso. La componente fisiologica dell’emozione comprende, oltre ai processi cerebrali, alterazioni ormonali, viscerali e muscolari. I sentimenti comprendono stati emozionali, gradienti affettivi che acquisiscono una valenza positiva o negativa.

William James e Carl Lange negli anni 1884-1885, pubblicarono, indipendentemente l’uno dall’altro, una teoria analoga dell’emozione. Entrambi si proponevano di ribaltare la teoria del senso comune sull’emozione secondo la quale, se chiedo a qualcuno “perché tremi?”, questo risponde: “Perché ho paura”, oppure, alla domanda “perché piangi?”, la risposta che segue è: “Perché sono triste”. Tali risposte si fondano sulla convinzione che sono le emozioni a indurre determinate risposte fisiologiche e espressive. Sia James che Lange sostenevano che non piangiamo perché siamo tristi, ma ci sentiamo tristi perché piangiamo; non tremiamo perché siamo spaventati, ma abbiamo paura perché tremiamo. La frequenza cardiaca aumenta non perché siamo arrabbiati, ma siamo arrabbiati perché il cuore batte più in fretta. Seppur entrambi erano d’accordo sul fatto che l’emozione è la percezione di modificazioni fisiologiche, James e Lange posero l’accento su meccanismi fisiologici differenti. Per James, le viscere erano le basi fisiologiche delle sensazioni (lo stomaco e il cuore, per esempio), le espressioni del volto, l’attività motoria e la tensione muscolare, per Lange invece erano le modificazioni del battito cardiaco e la pressione sanguigna. Quindi con James abbiamo una prima definizione empirica e verificabile di emozione concepita come effetto del “sentire” le modificazioni periferiche dell’organismo, da qui la denominazione di teoria periferica o teoria del feedback. È questa l’idea alla base della famosa frase: “non tremiamo perché abbiamo paura, ma abbiamo paura perché tremiamo”. La dinamica del processo emotivo si articolerebbe in questo modo: a seguito di un evento emotigeno si realizzerebbe una modificazione neurovegetativa del sistema neurale periferico.  Dall’evento semplicemente percepito si passerebbe all’evento emotivamente percepito, ovvero alla percezione delle modificazioni neurovegetative.

In sostanza, James concepisce l’emozione come strutturalmente radicata nei processi biologici, in particolare nelle viscere (attivazione fisiologica). Ad ogni emozione è correlata una precisa configurazione di attivazioni neurofisiologiche. La teoria di James-Lange ci dice che siamo in grado di conoscere le nostre emozioni perché ci sono dei cambiamenti fisiologici specifici che segnalano le sensazioni, cioè le sensazioni emozionali sono causate dalle modificazioni fisiologiche legate al funzionamento del sistema nervoso autonomo. Tristezza, rabbia, paura e così via sono l’espressione di schemi di attivazione specifici del sistema nervoso autonomo. Quindi, la percezione di un fatto (l’orso che si avvicina minaccioso, per esempio) produce un’affezione chiamata emozione che corrisponde ad una data condizione somatica, ovvero a dei cambiamenti fisici e, la percezione di questi (il sentire questi cambiamenti), è l’emozione. Il cuore che batte forte, la tensione allo stomaco, le mani sudate, tutto ciò viene percepito allo stesso modo in cui percepiamo ciò che avviene fuori di noi, nel mondo esterno.

L’emozione ha una sua controparte mentale, il sentimento che subisce la marcatura fisiologia. A fronte di uno stimolo si produce una certa risposta fisiologia (emozione) che produce una retroazione di sensazioni corporee che percepite, sentite, generano il sentimento.

Le emozioni emergono dalla percezione di reazioni fisiche che creano determinate sensazioni interne, differenti dalle altre, cioè che emergono dal fondo delle sensazioni corporee usuali, attraverso una configurazione di retroazioni sensoriali, che si caratterizzano in una qualità identificabile. Una sorta di schema sensoriale significante, nel senso di identificabile, dotato di una sua identità, di una certa riconoscibilità, di una sua marcatura somatica. Provare gioia è diverso da provare tristezza, la marcatura somatica è diversa.

Gli studiosi suddividono le emozioni in due categorie, quelle primarie e dunque semplici, unitarie, sono queste emozioni che sorgono meccanicamente e che ci riconosciamo l’un l’altro in modo chiaro (paura, odio, gioia, disgusto…) e poi abbiamo emozioni più complesse.

Le emozioni primarie sembrano connotate biologicamente, cioè così come possiamo dire che un essere umano ha due braccia, due gambe, una testa e così via, allo stesso tempo, dovrebbe avere emozioni tipo paura, odio, gioia, disgusto ecc. . Le emozioni complesse sono il combinato di una gamma variegata, polimorfa potremmo dire, di emozioni primarie che a loro volta sono plasmate dalle esperienze che ciascuno di noi si trova a vivere. Ci sono diverse ipotesi sulle emozioni primarie.

Queste emozioni fondamentali sono spontanee, si impongono e sono in grado di assumere una valenza positiva, per esempio sorpresa e gioia e negative, per esempio, paura e collera, secondo un range che oscilla da piacere a dispiacere.

Le emozioni comportano determinate risposte fisiologiche che si impongono a noi indipendentemente dalla nostra volontà (frequenza cardiaca, respiratoria, secchezza delle fauci, sudore e così via), risposte motorie strumentali come scappare, urlare, difendersi, risposte motorie espressive come quelle che emergono dalla mimica facciale, la gestualità o il timbro di voce e quelle riconducibili ai nostri vissuti soggettivi come l’umore o gli stati affettivi. Le emozioni si differenziano a partire dalle polarità piacere/dispiacere e forza/debolezza dell’arousal, ovvero di quell’attivazione che coinvolge il sistema nervoso centrale, quello periferico e vegetativo, e che comporta l’aumento della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa, producendo in tutto il corpo una maggiore allerta sensoriale. In sintesi, per i sostenitori della teoria periferica, l’attivazione vegetativa è causata dalla percezione dello stimolo, attraverso un processo retroattivo, dalla periferia viscerale al sistema nervoso centrale, in grado di produrre l’esperienza emozionale che è effetto del comportamento emozionale stesso, cioè i cambiamenti corporei seguono direttamente la percezione dell’evento e la percezione di tali cambiamenti è l’emozione.