Giove o della “divina bestialità” (parte 1)

Per eseguire correttamente i “divini avvisi” e per interpretare correttamente gli “aùguri”, occorreva  fare sacrifici cioè “procurare auspicia”. I “divini avvisi” erano i comandi di Giove. Da questi “giochi” divini ebbero origine tutte le cose dell’uomo: le razze, prime di Cam poi di Giafet e  finalmente di Sem, elleno senza la religione del loro padre Noè ch’avevano rinniegata (la qual sola, nello stato ch’era allora di natura, poteva, co’ matrimoni, tenergli in società di famiglie) – essendosi sperdute, con errore o sia divagamento ferino, dentro la gran selva di questa terra […] a capo di lunga età essendo andate in uno stato di bestie […] scosse e destate da terribile spavento d’una da essi stessi finta e creduta divinità del Cielo e di Giove, finalmente se ne ristarono alquanti e si nascosero in certi luoghi [1].

Impauriti dalle divinità che essi stessi inventarono, si finsero i congiungimenti corporali, che divennero anche pudichi, grazie proprio all’istituzione dei matrimoni dai quali nacque poi la famiglia.

La condizione ferina dell’uomo non ebbe, per Vico, mai un ruolo deleterio nella (sua) storia (fantastica) dell’uomo, anzi il momento della forza, della violenza, della passione, della sensualità può addirittura liberare dalle “barbarie della riflessione”. Anticipando Rousseau, il filosofo napoletano parla di  <<civil malore >>: poiché tai popoli a guisa di bestie si erano accostumati di non ad altro pensare ch’alle particolari proprie utilità di ciascuno […] le malsane sottigliezze degl’ingegni maliziosi […] gli avevano resi fiere più immani con la barbarie della riflessione che non era stata la prima barbaria del senso[2].

Giove è il nome che indica l’epoca dei “poeti-teologi” fondatori delle religioni pagane; queste religioni nacquero attraverso la “creazione del linguaggio” ossia dalle favole dei miti originatesi dalla forte passionalità dei primi popoli. Questo linguaggio ha origine dal procedimento induttivo-fantastico che costituisce il vero motore della nominazione, della “donazione” di nomi che caratterizza ogni popolo e che va a costituire quel “dizionario mentale” che accomuna tutti gli uomini di tutte le nazioni e che, nonostante la  << boria dei dotti >>, comporta l’inesistenza di una nazione che per prima abbia fondato e poi ‘irradiato’ alle altre la propria civiltà. Ed è per questa funzione, assolutamente centrale, della figura (e del nome) di Giove rispetto a questo tema dell’”origine del linguaggio” che in questo paragrafo si verranno precisando alcune questioni che, pur non essendo in senso stretto connessi alla figura (o nome) di Giove, saranno nondimeno di una certa rilevanza per una messa a fuoco del tema. A caso farò bene allora precisare che la tribolazione, il tormento causato dall’angustia e dalla pesantezza dei sensi che accompagnano inevitabilmente ogni creazione poetica dei popoli, è presente oltre che in ogni nazione (universalmente: in ogni luogo), anche per tutte e tre le epoche (necessariamente: per sempre) della << storia ideale eterna >> descritta nella Scienza nuova.

Infatti, per quanto riguarda la concezione triadica della storia, Vico chiarisce alcuni aspetti importanti strettamente connessi con l’allargamento di questa tesi (triadica cioè scansionata nelle tre epoche caratterizzate dalla presenza prima dei padri-teologi, poi degli eroi e in seguito degli uomini) al problema del linguaggio: come dallo stesso tempo cominciarono gli dèi, gli eroi e gli uomini (perch’erano pur umani quelli che fantasticar gli dèi e credevano la loro natura eroica mescolata di quella degli dèi e di quella degli uomini) così nello stesso tempo cominciarono tali lingue [3].


[1]Ivi, 13.

[2]Ivi, 1106.

[3]Ivi, 446.