Giove o della “divina bestialità” (parte 6)

I geroglifici e i miti stessi, accomunati dal loro essere soprattutto “immagini”, immagini legate alla corporeità, alla gestualità dei primi popoli barbari, in Vico vengono interpretati in modo singolarmente originale.

La dottrina vichiana dell’origine del linguaggio  trova la sua realizzazione nel luogo della fusione tra il naturalismo epicureo-lucreziano, che vede il linguaggio come un prodotto “naturale” dell’uomo, e la concezione “divina” della nascita del linguaggio, che – come osserva Cantelli – nel XVI secolo fu concepito, soprattutto dalla Chiesa cattolica, per giustificare la “imperdonabile” presenza, nei discorsi religiosi della bibbia, di immagini, metafore, parabole. Quindi la Chiesa formulò la cosiddetta “dottrina delle immagini”, che contestualizzava e giustificava l’uso del linguaggio figurato, riferendosi all’ampia esigenza di ammaestrare il popolo incolto[1], verso la quale il messaggio evangelico non poteva tirarsi indietro.

Nella concezione vichiana dell’origine del linguaggio si realizza proprio l’unione del “sacro” con il “rozzo”, del “divino” con il “bestiale”, i caratteri poetici nati dal terrore sconvolgente dei fulmini accompagnarono l’origine dell’umanità, costituitasi proprio dalla fusione-relazione tra il bestiale turbamento, originato dalla pesante presenza dei sensi, e la “divina” reazione a questa terrificante paura. Dice Vico citando Stazio << Primos in orbe deos fecit timor >>[2]:  prima di riconoscere il cielo, quello che per noi è il fenomeno naturale del cielo, gli uomini primitivi riconobbero Giove; il loro primo pensiero fu il pensiero di una divinità non di un fenomeno naturale, e se questo fu il loro primo pensiero, anche la loro prima parola o meglio segno linguistico da loro formulato non potè essere altro che un segno significante la divinità. Prima che alle cose furono dati i nomi agli dèi [3].

La prima nominazione fu fantastica, gli dèi furono nominati per primi, le paure furono le prime ad avere un nome e solo dopo furono nominate tutte le altre cose, che presero ugualmente nomi divini. Un divino connesso alle turbolenti passioni corporee, un divino che parla nel corpo attraverso pulsioni che portano con sé i significati: i “sensi” del bios universale dell’umanità. Non c’è distinzione o meglio separazione tra la “sensualità” e Dio, c’è solo l’unione-tensione tra corpo e non-corpo, dio e non-Dio.

Ciò che una immagine moderna della recettività, potrebbe intendere come “sensibile” non è percepito dai “bestioni” vichiani come mero dato sensibile. Essi intorpiditi dai sensi “reagirono” immediatamente con un atto di parola; da qui ebbe origine un carattere poetico. Ed è proprio questa “creazione” che distingue i bestioni-uomini di Vico dalle semplici bestie. Con questa creazione gli uomini primitivi diedero un “senso” agli eventi che si susseguivano caoticamente, il “fulmine” divenne un “segno” e non solo un fenomeno naturale, che portava in grembo un  suo preciso significato.

C’è l’evento fisico, ma  c’è al medesimo tempo la donazione di un senso ed è questo dono che permette di riconoscere il cielo, << Giove, la divinità, è l’immagine che permette di dare un significato al cielo come fenomeno fisico >>[4]. Giove non sarà dunque solo un nome; o meglio questo nome denoterà l’essenza del cielo per l’uomo. I tuoni, i fulmini divennero segni (“cenni”) di Giove; i bestioni impauriti alzarono gli occhi al cielo e irretiti nelle loro violentissime passioni << si finsero il cielo essere un gran corpo animato, che per tale aspetto chiamarono Giove >>[5] e così, dalla curiosità naturale figlia dell’ << ignoranza e madre della scienza >>[6], ebbe origine quello stupore che alimentò la creazione per il quale << il volgo, per esemplo, dice la calamita esser innamorata del ferro >>[7]. L’uomo regola l’universo, prima di far << sé regola dell’universo >>[8]. La mente dell’uomo lo organizza spontaneamente mediante gli universali fantastici frutto spontaneo di  un “processo” nominativo, che in quanto tale è privo di una precisa strategia, e che quindi non dovrebbe essere confuso con un eventuale “procedimento” nominativo, il quale implica, invece, sempre un’intenzione, una volontà . L’uomo, “ricreando” l’universo di nuovo, tutto daccapo, diventa esso stesso  un Dio.

La parola annuncia il pensiero e il pensiero annuncia la parola. Giove fu anche il primo pensiero. Il segno linguistico e il concetto nacquero da un unico atto creativo che diede la vita oltre che al linguaggio e alla concettualità, anche all’“oggetto”, in un unico ed immediato atto di coscienza.


[1]G. Cantelli, Alcune considerazioni cit, p. 123.

[2]S.N., 191.

[3]G. Cantelli, Op. cit., p. 124.

[4]Ibidem.

[5]S.N., 377

[6] Ibidem.

[7]S.N. capov. 181.

[8] S.N., 120, (I Degnità).