Consuma e taci!

L’espressione “il discorso del capitalista” è di Lacan. Il fondamento ideologico e culturale del capitalismo per Lacan è il discorso dello “sfilacciamento”, dello sgretolamento e della precarizzazione della condizione sociale ed esistenziale. È il rovescio dell’ipotesi di Max Weber, che invece colloca la genesi del capitalismo nell’ascetismo e nello spiritualismo protestante ovvero nell’etica della rinuncia e nel sacrificio di sé. Il “discorso del capitalista” evidenzia il godimento a discapito di ogni forma di legame. Seppur il primissimo capitalismo si fondasse sul valore del sacrificio di sé oggi quell’etica della rinuncia  è annullata dall’imperativo consumistico: il consumo di consumo, che può essere declinato con “consumo dunque sono” e che porta con sé il corollario “se non consumo non esisto”.

Oggi la psicoanalisi è chiamata a rispondere sempre di più a quel malessere generato dall’incapacità degli oggetti di consumo di fornire quel completamento che gli spot pubblicitari promettono. In questi casi il compito della psicoanalisi è quello di sostenere il soggetto nel suo sforzo di confrontarsi con il vuoto. La psicoanalisi può sostenere quel cambiamento che si realizza nella scelta soggettiva di cedere il passo a quel godimento della mancanza, ovvero di smettere di godere della mancanza per aprirsi alla perdita: dalla mancanza subita si passa alla perdita, è proprio in questo punto che il soggetto ha la possibilità di incontrare qualcosa di creativo.

L’etica utilitaristica è oggi imperante. Anche nell’attribuzione di un valore all’azione sociale è l’utile l’unico parametro in gioco. Il bello, il giusto, la solidarietà diventano flatus vocis, assumono la vaporosità retorica delle buone intenzioni. Anche nella relazione con l’altro la cosa più importante sembra essere l’avere un congruo tornaconto, un adeguato vantaggio: anche le relazioni sociali tendono ad assumere un valore strumentale.

L’utilità, l’idea di performance, la velocità con cui ottenere ciò che serve, tutto ciò è elevato a valore etico. È richiesta una velocità di esecuzione delle prestazioni e di raggiungimento degli obiettivi sempre più alta, è una velocità che lascia sempre meno tempo ai ritardi, ai momenti di socialità, di condivisione e di incontro e di ascolto. Inoltre oggi è necessario rispondere a standard sempre più rigorosi, standard che delineerebbero  quei criteri universali in grado di garantire prestazioni più veloci ed efficienti utili per conseguimento dei risultati. La sempre più esasperata ottimizzazione dei processi produttivi sembra puntare a farci diventare tutti dei “docili robot”.

La dimensione sociale ed artigianale del lavoro è piegata all’arida logica della riproduzione seriale, dove il lavoro tende ad essere continuamente ridotto a procedura standardizzabile e anonima. L’umanità del gesto si trasforma in un’azione riproducibile meccanicamente, impersonale, che ha come obiettivo la velocità, la precisione di un gesto utile e puntuale, senza approssimazioni o improvvisazioni, rigidamente determinati dagli schemi e dai protocolli aziendali.

Consuma e taci! Sembra essere questo l’imperativo che il consumismo propina. Sono gli oggetti di consumo a strutturare i nostri legami. È di poco tempo fa la notizia che a Catanzaro è stata costruita una chiesa dentro un centro commerciale. La prima in Europa. Grazie ad un accordo tra l’Arcidiocesi ed un parco commerciale. Il vescovo ha spiegato che i centri commerciali sono diventati punti di aggregazione sociale. Sempre più famiglie scelgono di passarci la domenica. Una chiesa può pertanto offrire i suoi servizi pastorali sia ai tutti i lavoratori che ai visitatori, ma soprattutto agli abitanti della zona!

Quello che viviamo è una contemporaneità ‘liquida’ che si contrappone alla ‘solidità’ di un passato fondato su sue certezze e convinzioni. Tale  condizione colpisce diversi ambiti e causa una sempre più crescente frammentazione identitaria e una mercificazione dell’esistenza: anche l’uomo è un ‘prodotto’ seriale da vendere o acquistare. Tutto ciò delinea l’emergere di nuovi paradigmi relazionali: superficialità, fugacità e compulsività. Tutto deve essere consumato quanto prima possibile, in modo tale da poter supplire al vuoto interiore con un nuovo oggetto di desiderio.