Avversità, (irrational) beliefs e conseguenze- Rational emotive behavior therapy (REBT) [5]

Ellis ha creato uno schema fondato su tre dimensioni alla base della sofferenza psichica, il modello ABC, dove A indica l’evento attivante, ossia il modo in cui viene percepito un certo fatto negativo, C indica le conseguenze patologiche o disfunzionali dal punto di vista emozionale e comportamentale (è ciò che spinge ad andare da un terapeuta) e B (beliefs) rappresenta il sistema di credenze suddiviso in credenze razionali e irrazionali. Il terapeuta REBT ha come obiettivo la sostituzione delle credenze irrazionali con quelle razionali. L’idea di fondo è che “C”, la sofferenza, sia causata da un sistema di credenze irrazionali, ossia imperativi rigidi accompagnati da valutazioni anch’esse a loro volta irrazionali.

Secondo questa prospettiva, un soggetto molto sofferente e debilitato psichicamente spesso crede che C sia causato da A, cioè ignora, è inconsapevole del fatto che C sia causato da credenze, atteggiamenti e opinioni irrazionali (B).

Di fronte a un evento negativo, una critica, una frustrazione si prova in genere un’emozione negativa che può diventare patologica e disfunzionale se viene esagerata o adattiva, cioè colta come un’occasione per crescere. È in questo preciso punto che si installa la concezione clinica centrale della REBT: sono i pensieri irrazionali a fomentare la sofferenza psichica.

L’obiettivo principale per il terapeuta REBT è quello di insegnare al paziente che la sofferenza emotiva è causata dalle credenze irrazionali e non dagli eventi esterni, dalle altre persone o dagli eventi del passato. Promuove cioè innanzitutto la connessione B–>C anziché A–>C.

A questo si aggiunge il fatto che spesso i pazienti soffrono per il fatto stesso di soffrire, cioè, le emozioni disfunzionali e i comportamenti disadattivi, C,  diventano A, ossia, ci si focalizza su ogni goffaggine, titubanza, emozione negativa e questo crea ulteriore sofferenza che si crede legata alla propria fragilità, al fatto di stare per perdere il controllo della situazione.

Facciamo un esempio, “Un paziente viene criticato a lavoro dal suo diretto superiore” (evento attivante, A), “E’ terribile essere trattati così, non dovrebbe farlo, è un bastardo!” (credenza irrazionale, B), “E’ arrabbiato con il suo responsabile, gli urla contro e va via sbattendo la porta”. Questa sequenza può portare, spesso, a quest’altra: “La rabbia, gli insulti e l’essersene andato in malo modo” diventano A2, ossia, un evento attivante secondario; “Devo riuscire a restare calmo, a non agitarmi” e “Sono sbagliato per aver reagito così”, diventa una credenza secondaria, B2 che poi porta a una conseguenza secondaria, C2 “Rabbia contro se stessi o vergogna”.

Detto altrimenti, spesso, i pazienti si angosciano per i propri attacchi di ansia, si deprimono per i propri episodi depressivi, si arrabbiano per le proprie reazioni di rabbia. I riferimenti a questi disturbi secondari Ellis li introdusse nel 1979.[1] Senza intervenire primariamente su questa tipologia di sintomi è difficile avanzare nel lavoro terapeutico. Alcuni autori hanno fatto notare come Ellis molto probabilmente si sia ispirato ad un libro di Raimy del 1975.[2] La terapia metacognitiva, che approfondiremo nell’ultimo capitolo di questa parte, si basa sull’idea che i sintomi secondari, ossia il modo di reagire ai propri pensieri e stati somatici, sia fondamentale per la definizione di sofferenza psichica.

Evento attivante

Riprendendo il modello ABC, il “fatto”, ciò che è accaduto, il percepito e l’inferenza costituiscono l’evento attivanti, A. Il modo in cui il soggetto valuta (“deve essere così”) e il valore positivo o negativo della valutazione (“è terribile”, “non riuscirò a sopportarlo”, “sono un fallito”, “lui è sbagliato”)  rappresentano le credenze irrazionali B. C invece si riferisce alle conseguenze emotive e comportamentali. Secondo la prospettiva della REBT i pazienti tendono a riportare  come A questioni del tipo “È stato terribile quando lui mi ha trattato male dicendomi di no” dove, al netto della obiettiva veridicità del fatto in sé che possiamo anche prendere per data, l'”esser stato trattato male” è una percezione oppure una inferenza e il fatto che sia terribile è una valutazione e, il fatto che non avrebbe dovuto farlo o che non doveva succedere è una pretesa. È evidente che tutto ciò non è A; infatti, A richiederebbe una descrizione il più obiettiva possibile di ciò che è accaduto, di ciò che è stato detto, del tono e così via. Ma non è questo il punto. Seguendo questo filone di ragionamento la REBT[3]  concepisce come evento attivante tre tipi di realtà: confermabile, percepita e inferita. Quella confermabile si riferisce a quella condivisibile con altri osservatori, quella percepita a quella descritta, cioè a ciò che il soggetto presume sia accaduto e quella inferita alla conclusione cui il soggetto giunge a partire da ciò che ha percepito (es. “mi disprezza”, inferenza che segue la percezione es. “mi ha criticato”).

Ecco la sequenza completa del modello ABC:

  1. L’accadimento, ovvero la realtà confermabile (A): c’è una telefonata indirizzata a Mario in cui viene detto questo e quest’altro;
  2. Percezione o realtà percepita (A): quello che Mario ha percepito nella telefonata, la sua rappresentazione soggettiva;
  3. Inferenza o realtà inferita (A): la conclusione inferita dalla percezione (“mi disprezza!”);
  4. Valutazione o derivato della pretesa (B): attribuzione di un valore a quanto accaduto-percepito-inferito e su se stesso o gli altri  “non mi piace ciò, è terribile, non riuscirò a sopportarlo, non valgo niente, chi mi ha fatto questo non vale niente, è ingiusto!”;
  5. Pretesa (B) di ciò che sarebbe dovuto accadere o non accadere: “non avrebbe dovuto dirmi quello che mi ha detto” oppure “non sarebbe dovuto accadere”;
  6. Conseguenze emotive (C): es. flessione dell’umore, rabbia disfunzionale, ansia
  7. Conseguenze comportamentali (C): es. ricerca di rassicurazioni, bere, mangiare compulsivamente…
  1. Realtà confermabile A: “Tutte le volte che parlo in pubblico sono impacciato, gli altri se ne accorgono, qualcuno sbadiglia”;
  2. Realtà percepita A: “Gli altri mi giudicano per la mia goffaggine e insicurezza, si annoiano”;
  3. Realtà inferita A: “Non piaccio a nessuno, sono imbranato,  insicuro e noioso, gli altri sono più bravi di me”;
  4. Valutazione B: “E’ terribile!”, “Non riesco a sopportare di non piacere…”, “Sono imbranato!”, “Gli altri sono sbagliati perché non sanno apprezzare il mio valore”;
  5. Pretesa B: “Devo piacere agli altri”;
  6. Conseguenze emotive C: umore deflesso, rabbia, ansia…
  7. Conseguenze comportamentali C: evitamento, chiusura, ricerca rassicurazione.

Non è A la causa del disagio psichico C perché, pur inferendo “Non piaccio a chi mi sta ascoltando…” ciò non implica necessariamente il tormentarsi per questo, infatti, nulla vieta di non valutare come terribile questa inferenza, per esempio “Non piaccio ai presenti, a questo pubblico forse perché mi sono preparato male o la prossima volta mi preparerò meglio…”.

“A”, inteso come percezione o inferenza secondo questa prospettiva, può innescare dei pensieri irrazionali, ossia delle distorsioni cosiddette cognitive, quelle che poi vedremo essere centrali nel modello teorico di Beck.

In tal senso, la proposta della REBT è quella di prendere in considerazione di intervenire anche su questo aspetto definendo però questa soluzione terapeutica “inelegante” rispetto invece a un intervento su B, che sarebbe la soluzione “elegante”. La prima soluzione è quella che interviene sulla dimensione cognitiva, la percezione e le inferenze, la seconda, più propria della REBT interviene invece sulle credenze irrazionali, riservandosi tuttavia la possibilità, di intervenire successivamente sulla dimensione cognitiva[4].

Per esempio, se l’approccio della CBT[5] propone di intervenire innanzitutto sulla correttezza delle percezioni e delle inferenze, es. “annoio tutti” proponendo in questo caso di disputare sulla parola “tutti”, la REBT, dal canto suo, propone di suppore il peggio, di ipotizzare che l’evento indesiderato fosse realmente accaduto, es. “annoio tutti”, il terapeuta in questo caso lavorerebbe così “Non so se è vero, ma supponiamo che lo sia, a cosa pensa se fosse vero?” Cioè non interviene sulla visione distorta in sé ma (1) sulla pretesa che debba essere diverso da come la distorsione mostra o (2) sulla valutazione degli effetti di questa distorsione.

Quindi l’approccio della REBT si sostanzia in un intervento sulla dimensione B (soluzione elegante di tipo filosofico) e che adotta la messa in discussione delle percezioni o delle inferenze, A, solo in un secondo momento. La concezione di fondo della REBT rispetto agli eventi attivanti è che se il soggetto si sofferma troppo su questi, può rafforzare la convinzione che dilungarsi su di essi possa in qualche modo avere una funzione curativa e, allo stesso tempo, può alimentare l’idea che la causa della sofferenza psichica (C) sia da attribuire ad A. Questo non vuol dire tagliare troppo corto su questi aspetti, perché potrebbe intaccare l’alleanza terapeutica ma, sicuramente, la direzione della cura nella REBT punta a sostenere un lavoro su B a partire, tuttavia, dalla corretta individuazione dell’“A critico”, ossia, all’A che ha prodotto B che a sua volta ha causato C. Individuazione che non è affatto semplice. Infatti, per esempio, se un soggetto dice di sentirsi angosciato tutte le volte che si reca all’università perché sente il pericolo di poter avere un attacco di panico, si può inferire che l’A sia l’università in quanto tale. Tuttavia, se si approfondisce, molto probabilmente si scoprirà ciò lo terrorizza veramente: l’idea di potersi sentire male in presenza degli altri e per questo essere giudicato come un debole, uno “sfigato”. È evidente in questo esempio che l’A critico è l’essere giudicato dall’altro, il trovarsi in questa situazione.

Albert Ellis è stato uno dei primi a parlare di “disturbi secondari” o meta-problemi che diventeranno poi centrali nel modello terapeutico metacognitivo che tratteremo più avanti. In pratica, il sintomo, la sofferenza stessa potremmo dire, diventa un A che richiede uno specifico trattamento[6]. Ellis si è ispirato a Raimy[7] che parla di “frenofobia”, di sofferenza per la sofferenza stessa, di paura di impazzire. La REBT ritiene fondamentale intervenire innanzitutto sul sintomo secondario dove il C del sintomo primario diventa l’A del sintomo secondario, cioè la sofferenza stessa diventa attivante per una ulteriore sofferenza.

Facciamo un esempio. Il sintomo primario, per esempio umore deflesso, C , diventa A e dunque B diventa “E’ terribile avere l’umore deflesso”, “Non devo sentirmi così”, “Sono debole, sbagliato, perché mi sento così” e questo  sfocia in un C di secondo livello: ulteriore peggioramento dell’umore, senso di colpa, rabbia per il fatto di ritornare a pensare alle stesse cose, autosvalutazione per il fatto di stare ancora male senza aver fatto dei miglioramenti.

Emozioni e comportamenti disfunzionali

La sofferenza psichica, il C, per la REBT si riferisce alle conseguenze emotive e comportamentali delle credenze irrazionali. Emozioni e azioni disfunzionali. Ovviamente non sono le emozioni a essere disfunzionali ma la loro eventuale esagerazione, cioè quando diventano troppo intense e prolungate. Per certi versi la REBT si occupa di riconvertire la sofferenza nel normale fluire delle emozioni che possono essere definite come fisiologica fonte di dolore o piacere propri della condizione umana. Il continuum emozionale che delinea il range che va da “emozione sana” a “emozione disfunzionale/inappropriata-problematica” è: preoccupazione-ansia, tristezza-depressione, fastidio-rabbia, rimorso-senso-di-colpa, rammarico-vergogna, delusione-senso-di-offesa.[8]


[1] A. Ellis, Discomfort anxiety: A new cognitive hehavioral construct, in Rational Living, 1979, 14, pp. 3-8.

[2] V. Raimy, Misunderstandings of the Self: Cognitive Psychotherapy and the Misconception Hypothesis, San Francisco, Jossey-Bass, 1975.

[3] Cfr. AA. VV., Manuale di terapia razionale emotiva comportamentale, Milano, Raffaelo Cortina, 2014, p. 123 e seguenti.

[4] Cfr. Ivi, p. 126.

[5] A. T. Beck, The current state of cognitive therapy: A 40-year retrospective, in Archives of General Psychiatry, 62(9), 2005, pp. 953-959.

[6] A. Ellis, Discomfort anxiety: A new cognitive hehavioral construct, in rational Living, 1979, 14, pp. 3-8.;  A. Ellis, The Intelligent Woman’s Guide to Dating and Mating, Secaucus, Lyle Stuard, 1979.

[7] V. Raimy, Misunderstandings of the Self: Cognitive Psychotherapy and the Misconception Hypothesis, San Francisco, Jossey-Bass, 1975.

[8] Cfr. AA. VV., Manuale di terapia razionale emotiva comportamentale, Milano, Raffaelo Cortina, 2014, p. 146.