Appunti: la funzione dell’equipe nel lavoro con l’autismo (1)

Nella pratica quotidiana i genitori, gli operatori, gli insegnanti di sostegno di questi bambini sono sempre più esausti di fronte all’impossibilità di entrare in contatto con loro. Da qui la conclusione di alcuni di sottometterli ad una forma di apprendimento standard da applicare sul “come fare” e di “che cosa” esigere da loro. Come intendere questa chiusura? Lacan è sobriamente chiaro: questi bambini “non vi ascoltano perché ve ne occupate!” Come uscire allora da questo impasse? Come occuparci di loro senza che per questo debbano difendersi da noi? Lacan ha delle indicazioni, poche ed essenziali, ma decisamente operative.

A cosa ci riferiamo quando usiamo la locuzione: clinique à plusieurs? Lascio rispondere a Bruno De Halleux. Psicoanalista Direttore Antenne 110 – Bruxelles: “ è una pratica che ci pare radicale, senza concessioni, una pratica che consente agli operatori di adattare al meglio il desiderio con la clinica, è una pratica di un dispositivo aperto all’imprevisto, all’evento”. Ma come è possibile tutto ciò? E’ necessario interrogarsi sul modo in cui l’équipe si regola “nel modo in cui ogni operatore mette in opera una tattica che gli è specifica. Questa tattica deve iscriversi in una strategia decisa in equipe”, continua De Halleux. Ma qual è la funzione dell’ Equipe? Direi, trovare una lettura condivisa, far sì che le azioni degli operatori, pur nella loro particolarità/singolarità, trovino il loro punto di orientamento, che fa dell’atto di ciascuno al contempo un atto soggettivo dell’operatore e insieme un modo di incarnare nella pratica le indicazioni emerse dalla lettura collettiva.

Ma spesso si alternano momenti in cui l’equipe riesce a funzionare come principio “orientatore” degli atti dei singoli operatori che la costituiscono, e momenti in cui invece non riesce a configurarsi come insieme orientato, avremo in questo ultimo caso degli effetti di frammentazione nella pratica che si riverberano inevitabilmente sul gruppo dei pazienti, amplificando la dimensione immaginaria e regressiva interna alla dinamica di gruppo. Se l’equipe, in quanto insieme in cui gli operatori si riconoscono, funziona come istanza terza che riduce la frammentazione interna al gruppo dei pazienti, è possibile assistere ad una sorta di risanamento simbolico delle dinamiche distruttive/autodistruttive, riuscendo a garantire nuovi spazi di soggettività. Il vuoto di simbolizzazione che può insinuarsi nell’equipe degli operatori, rischia di deformare la lettura stessa degli avvenimenti istituzionali aprendo un varco alle dinamiche frammentarie e alimentando tra gli operatori il senso di angoscia e di impotenza, di aggressività e sfiducia reciproca, nella sensazione che si sia perduta la rotta nella direzione della cura. E’ in questi momenti che più forte diventa la spinta dei singoli operatori ad un intervento parcellizzato sui pazienti, svincolato dal riferimento ad un orientamento comune, che perlopiù alimenta tra gli operatori il senso di sfiducia reciproca e di impotenza, aprendo il campo a dinamiche speculari di tipo fantasmatico tra gli operatori ed i pazienti, ed è proprio in questo genere di configurazioni che il narcisismo dell’operatore rischia di trasformarsi in un vero e proprio “delirio” in rapporto al paziente: ossia l’operatore rischia di concludere arbitrariamente che potrebbe essere lui, indipendentemente dall’istituzione e dal lavoro dei suoi colleghi, a poterlo curare.