Teoria della quantificazione – proposizioni singolari

Cenni sulle proposizioni singolari

La soluzione all’impasse teorica che abbiamo appena evidenziato, l’abbiamo avuta con la cosiddetta Teoria della quantificazione di Frege:una proposizione singolare ci dice che un certo particolare individuo ha una certa determinata proprietà.

Con la parola individuo ci si riferisce non solo agli uomini ma a qualsiasi cosa di cui si possa predicare una data proprietà. Faccio notare che il termine predicato non è soltanto un aggettivo (bello, brutto, stupido, banale…) ma può essere anche un verbo, un nome: “Mario parla”, “Mario è un parlante”.

La proposizione “Mario è triste” può essere simbolizzata in questo modo “Tm”, dove T= triste e m= Mario. In logica, generalmente si usano le lettere minuscole, dalla a alla w per indicare gli individui, lettere che quindi sono costanti individuali cioè, in qualunque contesto esse sono usate designano quel particolare individuo in quel particolare contesto. Le lettere maiuscole generalmente vengono usate per simbolizzare le proprietà. Per esempio, “Mario è incompetente” si può simbolizzare in questo modo: “Im”.

Si può usare la lettera “x”, che è qui una variabile individuale, segna-posto che tiene il posto ad una costante individuale (Mario, Pasquale, Giovanni, Matteo, Sara, Filomena…) per definire un individuo generale.

“Ix” diventa una funzione proposizionale che simbolizza la forma comune di tutte le proposizioni singolari che ci dicono che un certo individuo è incompetente, che ha cioè la proprietà dell’essere incompetente. Questa funzione proposizionale (Ix) diventa asserto quando sostituiamo la x (variabile individuale) con un nome proprio (costante individuale).

Ora, ogni proposizione singolare è una semplificazione di una funzione proposizionale, cioè, “Im” è una semplificazione della funzione proposizionale “Ix”. Ogni esemplificazione può essere ovviamente vera o falsa.

Finora abbiamo visto come la sostituzione di variabili individuali con costanti individuali non è l’unico modo di ottenere proposizioni da funzioni proposizionali. Ma le proposizioni si possono ottenere anche da un procedimento logico chiamato generalizzazione o anche definita quantificazione, ovvero in proposizioni in cui non abbiamo termini singolari del tipo: “Ogni giorno è brutto”, “Alcuni giorni sono belli” che contengono dei termini predicati ma non sono proposizioni singolari, cioè non includono nomi che si riferiscono a individui particolari. Sono proposizioni generali. Per esempio: “Dato una qualsiasi cosa, essa è brutta”, che può essere scritta anche così: “Dato un qualsiasi x, x è brutto” dove x rappresenta la nostra variabile individuale.

Meglio ancora, potremmo scriverla così: “Dato un qualsiasi x, Bx”.

Nella teoria della quantificazione, l’espressione “dato un qualsiasi x” viene simbolizzata con “(∀x)”, chiamato quantificatore universale e quindi, l’asserto diventa: (∀x) Bx.

Prendiamo adesso un asserto particolare: “Qualcosa è brutto” che può essere scritto così: “C’è almeno una cosa che è brutta”, ovvero, “C’e almeno un x tale che x è brutto” e quindi, “C’è almeno un x tale che Bx”. Che dai logici viene scritta così “(ꓱx) Bx”.

In sintesi, possiamo ottenere una proposizione da una funzione proposizionale:

  • per esemplificazione, sostituendo una ad una variabile individuale una costante individuale oppure,
  • per generalizzazione, aggiungendo alla funzione un quantificatore esistenziale (c’è almeno una x tale che) o universale (per ogni x tale che x).

Se la proposizione singolare “Mario è incompetente” può essere simbolizzata con Im, dove I sta per “incompetente” e m sta per “Mario”, tutte le altre proposizioni che contengono il predicato “essere incompetente” possono essere simbolizzate con Ia, Ib, Id…. Quindi, mi ripeto, Ix è una funzione proposizionale che contiene una variabile individuale che sostituita da una costante individuale, rende la funzione un vero e proprio asserto, cioè un enunciato che asserisce qualcosa sul mondo. La sostituzione di una variabile individuale con una costante individuale ci consente quindi di avere una proposizione singolare da una funzione proposizionale (esemplificazione) mediante la generalizzazione o quantificazione, possiamo ottenere un altro tipo di proposizioni non-singolari del tipo “Ogni donna è inaffidabile” oppure “Qualcuno è bugiardo”. Sono queste proposizioni che pur avendo dei termini predicati non sono proposizioni singolari, per il semplice fatto che non contengono nomi di individui particolari, essendo cioè, delle proposizioni generali. Per esempio, frasi come “Dato un qualsiasi giorno, esso sarà cupo” è un esempio di proposizione generale.

Cenni sugli enunciati

La logica è sistema teorico formale che si occupa del ragionamento valido, ossia ricerca la forma dei ragionamenti con l’obiettivo di stabilirne la validità. Un ragionamento è il risultato, la conclusione derivante da premesse è, cioè, il precipitato di una o più ipotesi iniziali. Affinché un ragionamento possa essere valido non è obbligatorio che le premesse e la conclusione siano vere rispetto al mondo, cioè, sia le premesse sia la conclusione non devono essere necessariamente vere rispetto ai fatti del mondo. La logica non si occupa della verità a partire dalla corrispondenza con la realtà ma anche di fatti ipotetici, mondi possibili. Un ragionamento è valido quando le premesse sono vere e anche la conclusione è vera, indipendentemente dai contenuti. La verità di un ragionamento è legata alla sua forma, alla struttura linguistica.

Gli Stoici sono gli scopritori della logica degli enunciati ovvero della logica che studia quei ragionamenti dove la conclusione è prodotta dai rapporti tra gli enunciati. Per esempio, “la porta è aperta o è chiusa, non è chiusa, quindi è aperta”.

Aristotele invece ha scoperto la logica dei predicati che si focalizza sui ragionamenti dove la conclusione è il risultato dei rapporti tra i predicati, come si vede nel caso di “i rettili sono animali, gli animali sono mortali, dunque, i rettili sono mortali”.

Queste due logiche, quella degli enunciati e quella dei predicati rappresentano la logica cosiddetta «classica».

Gli enunciati sono frasi dotate di senso che sono vere o false. Quindi non sono enunciati: domande, imperativi, preghiere, frasi incomplete o sintatticamente inesatte.

In logica ogni enunciato si rappresenta con una lettera minuscola: p, q, r, s, t ecc. Si usano le lettere per semplificare e abbreviare i ragionamenti affinché si possa far emergere la loro forma logica.

Per collegare i vari enunciati tra di loro si usano gli operatori logici che equivalgono a quelle parti del discorso come ‘se’, ‘oppure’, ‘e’, ‘quindi’ e così via.

Gli operatori logici più comuni della logica sono:

  • e (congiunzione) ‘∧’;
  • o (disgiunzione) ‘∨’;
  • non (negazione) ‘¬’;
  • se… allora… (condizionale) ‘→’;
  • … se e solo se … (doppio condizionale) ‘↔’.
  • Per gli enunciati composti, come per esempio ‘se p e q allora r o s’, sono necessarie, per evitare confusione, le parentesi: (p ∧ q) → (r ∨ s).

Ogni ragionamento deve concludersi con una conclusione che viene rappresentata con il segno ‘├’ (quindi, dunque, pertanto ecc.). Per esempio, il ragionamento ‘p oppure q, se q allora non r, ma r, dunque q’ si mangia così ‘p ∨ q, q → ¬r, r ├ q’.

Cenni sulla logica degli enunciati: il linguaggio

Gli operatori nella logica degli enunciati hanno un significato verofunzionale cioè, il loro significato è vincolato alla loro possibilità di generare enunciati composti veri tenendo conto della verità o falsità degli enunciati semplici di cui sono composti.

Gli enunciati in cui è presenta la ‘∧’ (congiunzione) sono veri se e solo se ambedue gli enunciati sono veri; Gli enunciaci in cui incontriamo la ‘¬’ (negazione) sono veri se e solo se gli enunciati a cui si applica sono falsi (la negazione infatti cambia il valore di verità); Gli enunciati in cui è presenta la ‘∨’ (disgiunzione inclusiva) sono veri se e solo se almeno uno degli enunciati è vero.

Gli enunciati in cui è presente il ‘→’ (condizionale, o implicazione materiale) sono veri se e solo se non si dà il caso che il primo enunciato (l’antecedente) sia vero e il secondo (conseguente) sia falso.

Gli enunciati in cui abbiamo il ‘↔’ (doppio condizionale) sono veri se e solo se gli enunciati hanno lo stesso valore di verità (cioè, sono entrambi veri o entrambi falsi).

È importante riconoscere la differenza tra ‘o’ inclusivo, in latino vel espresso con l’operatore ‘∨’, e ‘o’ esclusivo, in latino aut… aut…. Nel primo almeno uno dei disgiunti è vero, anche se possono essere entrambi veri, nel secondo (espresso generalmente con ‘|’) c’è un’alternativa esclusiva: almeno uno è vero, tuttavia non possono entrambi essere veri.

Per quando riguarda il ‘se … allora …’ espresso con ‘→’ dobbiamo differenziarlo da altri condizionali presenti nella lingua naturale. p → q è significa ciò: non si dà il caso che p sia vero e q sia falso, cioè, se l’antecedente è falso il condizionale è sempre vero (qualunque valore verofunzionale avrà q sarà ininfluente); se il conseguente è vero anche in questo caso il condizionale sarà sempre vero (il valore verofunzionale di p sarà ininfluente). Il doppio condizionale ‘p ↔ q’ es. ‘Francesco è vivo se e solo se non è morto’) equivale a: (p → q) ∧ (q → p); in italiano può essere espresso con il condizionale semplice: ‘se Francesco è vivo allora non è morto’).

Cenni sulla logica degli enunciati: le regole

Dimostrare la validità di un ragionamento significa mettere in luce le regole usate per arrivare alla conclusione a partire dalle premesse scelte.

Nella logica degli enunciati le regole dipendono dal significato verofunzionale degli operatori ∧, ¬, ∨, →, ↔.

Le regole più importanti sono: l’eliminazione e l’introduzione della congiunzione (E∧ e I∧), la doppia negazione (DN), la riduzione all’assurdo (RAA), l’introduzione della disgiunzione (I∨), il sillogismo disgiuntivo (SD), il modus ponens (MP) e il modus tollens (MT), il sillogismo ipotetico (SI), le regole di De Morgan (DeM).

Il SD, il MP e il MT possono dare luogo a fallacie.

  • La fallacia disgiuntiva: data una disgiunzione p ∨ q e dato p si deduce erroneamente ¬q,
  • la fallacia dell’affermazione del conseguente: dato p → q, e dato q si deduce erroneamente p
  • la fallacia della negazione dell’antecedente: dato p → q, e dato ¬p si deduce ¬q.

Tutti questi errori sono causati dall’errata interpretazione del significato di ∨ e di →, che vengono, rispettivamente, confusi con | e ↔.

Cenni sulla logica dei predicati: il linguaggio

I ragionamenti in cui abbiamo enunciati con quantificatori (‘tutti’, ‘alcuni’, ‘nessuno’) sono studiati nell’ambito della logica predicativa o calcolo dei predicati. Gli enunciati sono costruiti così nome + predicato, per esempio: ‘Marco (nome) corre (predicato’, ‘la piscina (nome) è vuota (predicato)’.

I nomi in logica indicano oggetti mentre i predicati indicano proprietà. Un oggetto in logica è qualsiasi cosa che ha delle proprietà, ovvero: oggetti fisici (questo bicchiere), persone (Freud), eventi (lo Sbarco in Normandia).

Gli oggetti si esprimono con nomi propri (Pasquale), descrizioni definite (la Seconda guerra mondiale), espressioni indicali (tu, questo tavolo).

Le proprietà sono i modi d’essere (di stare, agire, cambiare ecc.) degli oggetti. Le proprietà possono essere semplici (‘mangiare’) o composte (‘mangiare o bere’, ‘mangiare se e solo se non si beve’).

I predicati in logica si scrivono con lettere maiuscole, i nomi con lettere minuscole: ‘Marco piange’ si formalizza con Pm.

Il predicato ‘x è il governatore della Lombardia’ è una formulazione incompleta che se completata con un nome può produrre il vero o il falso (vero se oggi usiamo il nome Fontana, falso altrimenti).

La x di ‘x è il governatore della Lombardia’ si comporta come una variabile in matematica: dato ‘6 + 3 = x’ se a x sostituiamo 9 produce il vero se sostituiamo 7 produce il falso.

I predicati possono essere a un posto, come ‘x corre’, o a più posti, come ‘x odia y’, o ‘x è più bello di y’, che si esprimono con formule come Bxy.

I predicati a più di un posto si chiamano relazioni.

I quantificatori in logica sono due: ∀x e ∃x. Il primo è denominato quantificatore universale e traduce espressioni come ‘tutti i …’, ‘qualsiasi …’, ‘ogni …’, il secondo quantificatore esistenziale e traduce ‘alcuni …’, ‘qualche …’, ‘c’è almeno un …’.

Per esprimere ‘gli ippopotami danzano’ (che equivale a ‘tutti gli ippopotami danzano’) si usa la formula ∀x(Ix → Dx); per ‘qualche ippopotamo danza’ si usa ∃x(Ix ∧ Dx). In una formula come ∀xIx, o ∃x(Ix ∧ Dx), la x è detta variabile vincolata, cioè annodata a un quantificatore.

Invece in ∀xPxy oppure ∃x(Px ∧ Uxy) la y è detta variabile libera (perché non è legata a nessun quantificatore). ‘Nessun uovo vola’ si esprime con ∀x(Ux → ¬Vx) (oppure con: ¬∃x(Ux ∧ Vx)). ‘Qualche uovo non è sodo’ si esprime con ∃x(Ux ∧ ¬Sx) (oppure con: ¬∀x(Ux ∧ Zx)). Nella logica dei predicati abbiamo cinque tipi di enunciati: singolari (Pa); universali affermativi (∀x(Ux → Mx)); universali negativi (∀x(Ux → ¬Mx)); particolari affermativi (∃x(Ux ∧ Mx)); particolari negativi (∃x(Ux ∧ ¬Mx)).

  • ‘gli ippopotami volano’ (che equivale a ‘tutti gli ippopotami volano’) si usa la formula ∀x(Ix → Vx)
  • ‘Nessun ippopotamo vola’ si esprime con ∀x(Ix → ¬Vx) (oppure con: ¬∃x(Ix ∧ Vx))
  • ‘qualche uomo canta’ si usa ∃x(Ux ∧ Cx)

‘Qualche unicorno non è zoppo’ si esprime con ∃x(Ux ∧ ¬Zx) (oppure con: ¬∀x(Ux ∧ Zx)

Cenni di logica modale

La logica modale esprime il modo (la modalità) in cui una proposizione è vera o falsa e si fonda sul concetto di possibilità e necessità. Per esempio, proposizioni come “E’ possibile che il Napoli vinca”, “E’ necessario che Luca superi l’esame”, sono proposizioni riconducibili alla logica modale. Per indicare la necessità si usa il seguente operatore modale □, mentre per indicare la possibilità si usa l’operatore modale ◊.

Ora, ciascuno dei due operatori può essere espresso con l’altro negandolo. Per esempio: 1) “è possibile che Luca superi l’esame” se e solo se “non è necessario che Luca non superi l’esame”, ovvero ◊p ↔ ¬ □ ¬ p; 2) È necessario che Luca diventi ingegnere” se e solo se “non è possibile (è impossibile) che non diventi ingegnere”, ovvero, □p ↔ ¬ ◊ ¬ p. Quindi, nel caso della necessità, parliamo di ciò che è vero in modo incontrovertibile, cioè, di ciò che non può essere altrimenti e possiamo scriverlo così: □p = p ∧ ¬ ◊ ¬ p, che potremmo tradurre così” tutto ciò che è necessariamente vero, deve essere (è necessario che sia) vero, ovvero: □p → p. Nel caso della possibilità, si può definire possibile tutto ciò che non è contraddittorio, ovvero, tutto ciò per il quale vale la legge della non-contraddizione e del terzo escluso: p →◊p, cioè tutto ciò che è vero è possibile. È importante ricordare che i concetti di necessario e possibile li troviamo negli Analitici Primi e nel De Interpretazione di Aristotele e che furono ripresi nella filosofia medievale. Una ulteriore articolazione della logica modale la troviamo in C. I. Lewis che viene in genere considerato il padre della logica modale contemporanea. Lewis invento il concetto di implicazione stretta che ci indica che ” è impossibile che p sia vero e q sia falso” cioè ¬ ◊(p∧¬q) che è lo stesso che scrivere □(p→q). Cioè, il ‘se … allora …’ viene rappresentato con l’operatore ‘→’ che è diverso dagli altri condizionali che possiamo incontrare nella lingua naturale. p → q significa che è impossibile che p sia vero e q sia falso, cioè, se l’antecedente (p) è falso il condizionale è sempre vero (è indifferente se q è vero o falso) e, se il conseguente fosse vero il condizionale sarebbe comunque vero (p può essere ugualmente vero o falso).