Saturno o delle seminagioni

Saturno è un esempio limpido (naturalmente non il solo) di quella “secolarizzazione”, di quella “desacralizzazione”, che nella canzone Origine, progresso e caduta della poesia[1] Vico già annunciava. I  poeti, che prima cantavano la  << felice natura >> e  << le virtù divine e grandi >>, proprio per causa dell’involgarimento delle muse si “limitano” adesso a celebrare la finzione << del lottatore vincitore del gioco >>, e le lodi adesso sono rivolte alle donne e non più alle fanciulle divine.

Già Boccaccio, nell’introduzione alla IV giornata del Decameron[2] accennava a questo processo di “de-sublimizzazione” delle Muse che,  lungi dal divenire causazione di una presunta caduta d’ispirazione poetica, divenivano fonte profonda di “in-spirazione”. Il processo di involgarimento corrisponde ad una ri-nascita creativa che, come osserva il Lollini, corrisponde << ad una nuova sacralizzazione >>[3]. Sarebbe quindi inevitabilmente insufficiente parlare di “demitizzazione” in Vico.

La “demitizzazione” di cui parlava il Bultmann[4], si riferiva ad un processo interpretativo-ermeneutico che individuava nel mito una certa porzione della conoscenza umana, che concettualizzata, attraverso il processo ‘secolarizzante’ di cui parlavo prima, poteva mostrare l’ineffabile contenuto che il mito portava in serbo. Per Bultman demitizzare corrispondeva anche a “oggettivare”; come afferma Lollini << demitizzare significa dar vita ad un processo necessario di obiettivazione linguistica che garantisce un accesso al significato storico-esistenziale del mito, senza tuttavia poterne esaurire il significato in maniera definitiva >>[5].

La “demitizzazione” di cui parla il filosofo napoletano si ritrova anche nella consapevolezza della limitatezza insuperabile dell’uomo che è sempre avvolto dalle passioni. Certamente anche per Vico c’è la traduzione storica del mito, come intendeva il Bultaman, ma a differenza di costui egli sviluppa il suo discorso partendo dalla nozione di “senso comune” e di “dizionario mentale dell’umanità”, il tutto realizzato dalla meravigliosa creatività delle “nazioni”, la quale non può essere del tutto desacralizzata.

Saturno, antica divinità italica, che indicava le “seminagioni” (<< a satis”, da’ seminati >>)[6], rappresenta la divinità dell’agricoltura, delle messi e del tempo:  << per forte inganno di robustissime fantasie, tutte, tutte ingombre da spaventose superstizioni, credettero veramente vedere in terra gli dèi […]. E così da Saturno […] si dànno altri principi alla cronologia, o sia alla dottrina dei tempi >>[7].

Il nome Saturno appariva tra le divinità che Tito Tazio introdusse a Roma. Infatti Vico nell’ Annotazione alla tavola cronologica, quando si riferisce a Saturno, lo connette proprio all’”età degli dèi del Lazio” (Anni del mondo 2491). Sia per il fatto che in passato questa età corrispondeva  << all’età dell’oro de’ greci >> cioè all’età del  << pomo d’oro >>, e sia per il fatto che proprio con la raccolta di questo frumento in passato i greci annoveravano gli anni, seguendo quindi un metodo di scansione temporale  che potremmo definire “agricolo” e che appunto, precedette quello “astronomico”, nasce la “cronologia” riconosciuta proprio nel nome Saturno.

Tutti gli ‘attributi’ della divinità Saturno si calarono sulla terra e diventarono elementi naturali: “Saturno si vuol divorare Giove bambino, e i sacerdoti di Cibele glielo nascondono e col romore dell’ armi non gliene fanno udire i vagiti; ove Saturno dev’essere carattere de’ famoli, che da  giornalieri coltivano i campi de’ padri signori e, con un’ ardente brama di desiderio, vogliono da’ padri campi per sostentar visi”[8].

Tutto ciò darà luogo all’eterno conflitto tra padroni e servi, qui realizzatosi nell’occultamento del bambino da parte dei sacerdoti di Cibele, cioè dei poeti teologi detentori del potere nell’antichità. Giove diviene quindi il dio degli eroi e Saturno quello dei plebei.

Saturno ( al quale corrisponde nella mitologia greca Krono) appare sin dalla prima generazione degli dèi. Dalla sua unione con Rea, sua sorella, nacquero molti figli; ma per il fatto che gli era stato predetto che uno di questi lo avrebbe detronizzato, Saturno (Krono) li uccideva ingoiandoli appena nascevano. Solo Giove (Zeus) scampò al delitto per opera della madre. Ella dopo aver partorito di nascosto a Creta, invece del figlio Giove, diede a Kronos una pietra ben nascosta nelle fasce. Kronos non accortosi  di nulla, ignaro, la ingoiò, << [e] così questo Saturno è padre di Giove, perché da questo Saturno, come da occasione, nacque il regno civile de’ padri >>[9].

Saturno è  il carattere divino dei coltivatori dei campi in possesso dei ‘padri signori’; i plebei lottarono per l’autonomia e l’autosostentamento che si sarebbe raggiunto, appunto, con l’acquisizione di questi terreni; Saturno rappresenta quella << proprietà eterna, per la quale ora diciamo i servitori esser nemici pagati de’ lor padroni >>[10].E da qui l’idea vichiana della scienza politica << […] ch’altro non è che scienza di commandare e d’ubbidire nelle città >>[11].

Saturno trascina con sé l’origine della creazione umana, del tempo, della storia, del conflitto originario tra padri e figli, della lotta tra eroi e famoli, padroni e schiavi.


[1]In G.B. Vico, Opere, a cura di A. Battistini, Milano, Mondadori 1990, pp. 275-280.Cfr.In particolare: << …Così quelle che prima/per felice natura eran portate/cantar sole virtù divine e grandi,/col volger del tempo e con il cangiar costume/furo per legge teatri costrette/sotto finte persone/ e con civili motti ed innocenti/de la vita insegnar privati ufizi./E quella lira alfine,/ond’Apollo tessè inni agli dèi,/che recatosi in seno il forte Achille/cantava i fatti di più grandi eroi,/si diede a celebrare/in Isimo ed in Elena/il lottatore vincitor del giuoco,/o con l’ardenti rote/chi del volante cocchio/schivò la meta e non v’infranse l’asse;/e tali innalzò al ciel entro gli dèi./ Ciò soltanto restava (e pur avvenne)/che le caste donzelle,/fatte d’Amor ancelle,/tributtasser cantando a bellezza mortale onor divini …>>.

[2] G. Boccaccio, Decameron, Milano, Fabbri Editori,  1995, vol. I. p.242; su cui cfr. M. Lollini, Op. cit., pp. 176-177.

[3]M. Lollini, Op. cit., p. 177.

[4] R. Bultmann, History and Eschatology, Edinburgh, The Edinburgh Univ.  Press., 1957, pp. 120 e sgg. Di lui si veda anche Intorno al problema della demitizzazione, in “Archivio di filosofia “, Padova, 1961.

[5]M. Lollini, Il mito come precomprensione storica aperta nella “Scienza Nuova” di Giambattista Vico, in “Bollettino del Centro degli Studi Vichiani” ,  1996-97, p. 42.

[6]S.N., 3.

[7]Ibidem.

[8]Ivi, 587.

[9] Ibidem.

[10]Ibidem.

[11] Ivi, 629.