Piccolo gruppo integrato (2)

Questa prospettiva teorica propone dunque un modello integrato che si differenzia rispetto a quello organicistico, bio-psico-sociale, proprio perché non privilegiando ideologicamente un metodo, parte da una definizione dei bisogni espressi dai pazienti, attraverso un ascolto il più aperto e globale possibile. Il modello del piccolo gruppo risulta efficace se è in grado di assicurare il continuo scambio interattivo tra i componenti e la trasformazione dei singoli punti di vista sul paziente che dovranno confluire in una rappresentazione complessiva, che tenga presente il lavoro che si articola simultaneamente su diversi livelli di integrazione: quello relativo al rapporto individuo-ambiente e quello che riguarda le diverse strutture o funzioni intrapsichiche della personalità.

Questo approccio multiplo consente di avere diversi punti d’osservazione, costituisce, in poche parole, una sorta di apparato d’integrazione preliminare di parti diverse e separate che il paziente psicotico non è in grado di integrare dentro di sé. Può avvenire che egli proietti, in ogni operatore, un personaggio del suo gruppo interno o usi il gruppo integrato per attivare e semmai organizzare frammenti di sé, depositando in uno dei curanti un aspetto corporeo, in un altro uno cognitivo, in un altro uno pulsionale e così via, ciò potrebbe consentire l’individuazione di una mappa molto primitiva del suo mondo interno. Molto importante è, per gli operatori, avere la possibilità, attraverso le riunioni d’equipe, di ri-mobilitare le parti scisse del paziente e di ripensarle creativamente, consentendo a ciascun frammento di poter esser arricchito dal passaggio da una mente all’altra e dall’incontro di diversi punti di vista[1].

Il lavoro del gruppo inoltre può avere la funzione di preparare l’emergere di una relazione centrale, stabile e duratura, che implica un investimento affettivo scelto spontaneamente dal paziente che non sempre è riferito allo psicoterapeuta, ma può riguardare un infermiere, un educatore o un’altra figura che funziona come presenza di sostegno continuativo. Si determina così una gerarchia differenziata delle funzioni, senza applicare alcun schema prestabilito a priori, come invece abbiamo costatato nel precedente modello: in questo senso, il gruppo può costituire una sorta di sistema protettivo di un rapporto nascente nel quale il paziente può sentire che qualcosa di molto importante di sé viene custodito e fatto evolvere.[2]


[1] Vigorelli, M. (2004). Modelli psicoanalitici di intervento istituzionale. Associazione di Studi Psicoanalitici, giornata di Studio “Psicoanalisi nelle Istituzioni”, in Psychomedia.

[2] Correale, A. (1991). Il campo istituzionale. Roma: Borla.