(Minerva e) Omero o del “sublime popolaresco” (parte 3)

Omero appartiene alla terza delle tre età “de’ poeti eroici”. Nella prima età, le favole  furono << in uso di vere narrazioni >>, età questa <<  de’ poeti teologi, ch’i medesimi furon eroi, i quali cantarono [appunto,] favole vere e severe >>[1]; in secondo luogo si ebbero i << poeti eroici, che l’alterarono e le corruppero >>[2] e per finire, nella terza età, si ebbe Omero << ch’alterate e corrotte le ricevette >>[3] . Omero si fa portavoce di quella natura intrinseca del popolo greco che, il filosofo napoletano individua in quello che per lui rappresentano l’essenza stessa delle favole finte da Omero, cioè, i “caratteri poetici” frutto dell’ incapacità << [d’astrarre] le forme e le proprietà da’ subbietti; e in conseguenza dovett’ essere maniera di pensare d’interi popoli >>[4].

Per Vico, il linguaggio, non nasce da una decisione intenzionale, ma è qualcosa che si origina per  necessità di natura, sopratutto, paradossalmente, esso non può essere separato da quello che è il funzionamento vero e proprio della mente umana, ed è questo, a mio modo di vedere, l’aspetto più interessante del pensiero di Gianbattista Vico: << […] la mente umana, la quale è indiffinita, essendo angustiata dalla robustezza de’ sensi, non può altrimenti celebrare la sua presso che divina natura che con la fantasia ingrandir essi particolari >>[5]; allora ecco che i poeti ingigantirono le immagini degli dèi o degli eroi rispetto a quelle degli uomini, e quindi per << […] i poeti greci [ed] egualmente [per quelli] latini, le immagini come degli dèi così degli eroi compariscono sempre maggiori di quelle degli uomini >>[6].

La creazione-finzione posta in essere dai poeti si realizza proprio nel mettere persone vere nelle favole; proprio ciò fece “l’Omero toscano” che << nella sua Commedia spose in comparsa persone vere e rappresentò veri fatti de’ trapassati, e perciò diede al poema il titolo di “commedia”, qual fu l’antica de’ greci, che, come sopra abbiam detto, poneva persone vere in favola >>[7]. Ad un filosofo non sarebbe riuscito di fingersi << con tanta naturalezza e felicità >>[8], il modo di fare degli eroi, reso così speciale dalla fantasia fanciullesca di Omero, e che Vico indaga ed analizza, con meticolosa attenzione, proprio nel secondo libro intitolato Sapienza poetica; titolo questo che ribadisce ancora di più la portata conoscitiva che la fantasia ha per il Nostro. Ad un filosofo, con la sua mente << dritta, ordinata e grave >>[9] non riuscirebbero mai tali fantasiosi creazioni: << […] tali sentenze, tali comparazioni, tali descrizioni pur sopra pruovammo non aver potuto essere naturali di riposato, ingentilito e mansueto filosofo >>[10]. Quindi certamente Omero non è un filosofo, ma certamente << i sensi di sapienza riposta da’ filosofi, i quali vennero appresso, s’intrusero dentro le favole omeriche >>[11].


[1] Ivi, 905

[2] Ibid.

[3] Ibid.

[4] Ivi, 816

[5] Ibid.

[6] Ibid.

[7] Ivi, 817

[8] Ivi, 829.

[9] Ivi, 831

[10] Ivi, 828.

[11] Ivi, 837.