Logica del fantasma: quattro esemplificazioni cliniche.

Lacan utilizza il gruppo matematico di Felix Klein sul quale applica il cogito cartesiano riletto a partire dalle leggi del logico matematico De Morgan, nel Seminario XIV – La logica del fantasma (1966-1967), dove intreccia psicoanalisi, logica matematica e topologia per formalizzare il ruolo strutturale del fantasma nella costituzione del soggetto.

Il gruppo di Klein è una struttura algebrica con quattro elementi e operazioni che rispettano determinate simmetrie.

Lacan lo utilizza come modello formale per rappresentare le trasformazioni possibili tra le posizioni del soggetto e dell’oggetto nella relazione fantasmaticа.

In questa cornice, il gruppo diventa una sorta di “mappa” delle permutazioni logiche tra i termini fondamentali della scena fantasmaticа.

Il “Penso, dunque sono” di Cartesio viene riletto da Lacan come punto di emergenza del soggetto dell’inconscio.

La modifica consiste nell’inserire il cogito in una relazione proposizionale che ne mette in questione la linearità: il soggetto non è pienamente presente a sé, ma appare come effetto di una mancanza e di un rapporto con l’Altro.

Le leggi di De Morgan in logica booleana stabiliscono equivalenze tra negazioni di congiunzioni e disgiunzioni:

¬(A ∧ B) ≡ (¬A) ∨ (¬B)

¬(A ∨ B) ≡ (¬A) ∧ (¬B)

Lacan le applica per formalizzare il passaggio logico tra le posizioni del soggetto e dell’oggetto nel fantasma: la negazione non è semplice assenza, ma ristrutturazione del campo di possibilità.

In termini topologici e logici, questo gli permette di mostrare come il fantasma funzioni come assioma: una struttura costante che filtra l’accesso del soggetto al reale.

Per Lacan, non c’è accesso al reale se non attraverso il fantasma: esso è la griglia che organizza il desiderio e sostiene la posizione del soggetto.

La formula del fantasma ($a) viene così inscritta in una logica formale che unisce: struttura algebrica (gruppo di Klein), ridefinizione del cogito, trasformazioni logiche (De Morgan).

Questo approccio consente di trattare il fantasma non solo come contenuto immaginario, ma come struttura logico-matematica che orienta la direzione della cura.

Vediamo ora come queste coordinate si incarnano in un caso clinico.

Uomo di 35 anni, professionista, arriva in analisi per una sensazione costante di “non essere mai abbastanza” nelle relazioni affettive e lavorative. Alterna momenti di forte investimento in un progetto o in una relazione a improvvisi ritiri, con vissuti di vuoto e autosvalutazione.

Attraverso il lavoro preliminare, emerge uno “schema” fantasmatico ricorrente: “Sono osservato da qualcuno che giudica se valgo o no; se non supero la prova, sarò escluso.”

Qui l’oggetto a è lo sguardo dell’Altro, che funge da causa del desiderio e da misura del proprio valore.

Il gruppo di Klein permette di formalizzare le quattro posizioni possibili tra soggetto e oggetto: identificazione con l’oggetto (essere lo sguardo che giudica); essere visto come oggetto (essere giudicato), negazione dell’oggetto (rifiutare lo sguardo), negazione del soggetto (ritirarsi, sparire dalla scena).

Il paziente oscilla tra queste posizioni, senza mai uscire dalla struttura.

Il “penso, dunque sono” diventa, nella clinica: “se l’Altro mi riconosce, allora esisto.” La certezza dell’esistenza non è autonoma, ma dipende dal riconoscimento esterno. La negazione di questo riconoscimento produce il vissuto di annullamento soggettivo.

Applicando le leggi di De Morgan, la negazione di una congiunzione (“non sono amato e stimato”) si traduce in una disgiunzione (“o non sono amato o non sono stimato”). Questo mostra come, nella costruzione del paziente, basta che manchi uno dei due elementi perché il fantasma di esclusione si attivi. La struttura logica è rigida: non contempla sfumature o compromessi.

Approfondiamo il caso clinico ipotizzando un episodio esemplificativo che ci porta in analisi.

Il giovane professionista riceve l’invito a presentare un progetto importante davanti alla direzione della sua azienda.

Identificazione con l’oggetto: “Sono il candidato perfetto per questo incarico. La mia presentazione sarà impeccabile, tutti vedranno quanto valgo.” Qui il soggetto si sente fuso con l’oggetto ideale: sicurezza, perfezione, ammirazione.

Essere visto come oggetto: “La sala è piena… e se si accorgessero che non sono poi così competente? Forse ho dimenticato qualcosa di fondamentale.” L’oggetto ideale ora è esterno: lo sguardo degli altri diventa giudicante, e nasce il timore di essere smascherato.

Negazione dell’oggetto: “Il capo non capisce nulla, non mi interessa cosa pensa.” Si difende svalutando l’oggetto (la figura del capo) e nega il suo valore.

Negazione del soggetto: “Ho fatto una figuraccia… non valgo niente, sarebbe meglio sparire.” Qui il soggetto svaluta sé stesso, ritirandosi e negando il proprio valore.

PosizioneDescrizione clinicaEsempio sintetico
Identificazione con l’oggettoIl soggetto si fonde con l’oggetto ideale“Sono perfetto per questo incarico”
Essere visto come oggettoLo sguardo dell’Altro diventa giudicante“E se scoprissero che non sono all’altezza?”
Negazione dell’oggettoSvalutazione o rifiuto dell’oggetto“Non mi interessa cosa pensa”
Negazione del soggettoAutosvalutazione e ritiro dalla scena“Meglio sparire”

In poche frangenti, il paziente attraversa tutte e quattro le posizioni. Il lavoro analitico mira a rendere leggibile questo ciclo e le implicazioni soggettive e a introdurre qualcosa che permetta di non esserne completamente catturati. Riconoscere il passaggio da una posizione all’altra è il primo passo per interrompere l’automatismo e aprire a qualcosa di nuovo.

La direzione della cura mira a far emergere la costanza strutturale del fantasma, indipendente dalle singole situazioni, a mostrare che il soggetto non è riducibile alla posizione che il fantasma gli assegna, aprendo alla possibilità di un rapporto con l’oggetto a che non sia di pura cattura o fuga.

Vediamo altri tre casi clinici.

Secondo caso – donna, 28 anni Vive da sola e alterna relazioni affettive brevi e intense. Entra in analisi portando un senso costante di “vuoto affettivo” e una dipendenza emotiva che si riattiva in modo ciclico nei rapporti. Con il partner, passa dall’abbandonarsi in una dedizione assoluta al ritirarsi in sé con vissuti di autosvalutazione, percependo il rischio imminente di abbandono e una sorta di “fame emotiva” che la consuma. Il lavoro analitico fa emergere una scena fantasmatica ricorrente: «Se non ricevo nutrimento affettivo costante, vengo abbandonata e mi svuoto». Qui il fuoco è sull’oggetto orale, legato alla funzione di nutrimento e sostegno primario — ciò che un tempo fu dato e poi sottratto, come il seno materno. La sua esperienza si muove tra l’identificazione con l’oggetto (“sono io a nutrire tutti”), l’essere vista come oggetto (“mi amano solo finché do”), la negazione dell’oggetto (“posso bastare a me stessa”) e la negazione del soggetto (“non valgo nulla se non servo a qualcuno”). Queste posizioni si alternano senza che si rompa mai la cornice strutturale. Il suo “penso, dunque sono” assume la forma clinica di «Se l’Altro mi nutre, allora esisto». La privazione di questo nutrimento attiva vissuti di svuotamento e annullamento. La negazione della congiunzione “non sono amata e cercata” diventa la disgiunzione “o non sono amata o non sono cercata”: basta che manchi uno dei due elementi perché si riaccenda il fantasma di abbandono, in un sistema logico rigido che non ammette sfumature. Un episodio chiarisce bene la dinamica: inizia una relazione offrendo attenzioni incessanti, cancellando ogni traccia del proprio bisogno; quando percepisce un calo di reciprocità, si sente sfruttata; allora svaluta l’amore stesso e si ritira, convinta di non avere più nulla da dare; infine, cade in un silenzio vuoto, dove domandare significherebbe — per lei — essere egoista.

Terzo caso – uomo, 42 anni Imprenditore, noto per esercitare un controllo ferreo sui collaboratori e sulle risorse, vive in bilico tra slanci di generosità e momenti di trattenimento marcato. Porta in seduta il conflitto tra il desiderio di concedere e la paura di perdere valore o potere quando qualcosa viene ceduto. Qui in gioco abbiamo l’oggetto anale: ciò che può essere dato o trattenuto, e che diventa il fulcro delle dinamiche di scambio, perdita e conservazione. La logica del fantasma qui suona così: «Se cedo qualcosa di mio, perdo potere e valore». Nei termini del gruppo di Klein, questa struttura si declina di volta in volta come identificazione con l’oggetto (essere colui che decide cosa dare e quando), essere visto come oggetto (temere di essere sfruttato), negazione dell’oggetto (ritrarsi dichiarando di non avere nulla da offrire) e negazione del soggetto (sentirsi privo di identità senza esercitare il controllo). Il passaggio da una posizione all’altra non scalfisce la rigidità dell’impianto. Il cogito, qui, potrebbe essere «Se l’Altro mi riconosce per ciò che possiedo, allora esisto». La sua negazione sfocia in sentimenti di svalutazione e perdita di sé. Applicando le leggi di De Morgan, “non sono rispettato e temuto” diventa “o non sono rispettato o non sono temuto”, altra formulazione assoluta e priva di gradazioni. In un episodio riportato in seduta, un collaboratore chiede un aumento. L’uomo inizialmente si sente generoso, pronto a concederlo; subito dopo sospetta di essere manipolato, percepisce l’altro come un approfittatore e si chiude. Rifiuta la richiesta, elimina altri benefici, e infine resta intrappolato in un senso di inutilità: non poter dire “no” senza deludere lo farebbe esistere solo nel ruolo di chi soddisfa le aspettative altrui.

Quarto caso – uomo, 31 anni musicista, attraversa fasi di intensa creatività alternate a lunghi silenzi e periodi di isolamento. In analisi, parla di un senso di invisibilità e perdita di significato quando non riesce a esprimersi; la sua necessità di essere ascoltato convive con il timore costante di essere frainteso o ignorato. Il fantasma che emerge è chiaro: «Se la mia voce non viene ascoltata, non esisto». L’oggetto investito è la voce, che porta in sé la domanda di riconoscimento. In questo quadro, prende la forma dell’identificazione con l’oggetto (sentirsi ammirato facendo sentire la sua voce), dell’essere visto come oggetto (credere di essere ascoltato solo per essere giudicato), della negazione dell’oggetto (decidere di non esibirsi più, privando l’Altro della propria musica) e della negazione del soggetto (annullarsi come essere, smettendo di farsi ascoltare dall’Altro). Anche qui, il passaggio tra le posizioni non infrange la rigidità logica di fondo. Il suo “cogito” diventa «Se l’Altro mi ascolta, allora esisto». La sottrazione dell’ascolto scatena vissuti depressivi e di annullamento: “non sono ascoltato e capito” diventa “o non sono ascoltato o non sono capito”. Una formulazione che, come nelle altre storie, non ammette mediazioni. In un episodio emblematico, dopo un concerto riuscito si sente finalmente riconosciuto; ma una recensione negativa basta a fargli credere di essere ascoltato solo per cercare difetti. Non riesce a stare sul palco e cancella le date successive, rinuncia alla propria voce come atto di domanda, e scivola nei giorni in un silenzio che percepisce come protezione e condanna insieme.

Nota: i quattro casi clinici presentati sono interamente frutto di invenzione e hanno il solo scopo di illustrare ed evidenziare la logica clinica, senza alcun riferimento a situazioni o persone reali.