Kant, intuizione

Fonte: Immanuel Kant, Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 149-152

Assiomi dell’intuizione

II loro principio è: tutte le intuizioni sono quantità estensive.

Dimostrazione

Tutti i fenomeni contengono, per la forma, una intuizione nello spazio e nel tempo, che è a priori a fondamento di essi tutti. Essi non possono dunque essere appresi, cioè assunti nella coscienza empirica, se non mediante la sìntesi del molteplice, onde son prodotte le rappresentazioni di uno spazio e di un tempo determinati, cioè mediante la composizione dell’omogeneo e la coscienza dell’unità sintetica di questo molteplice (omogeneo). Óra, la coscienza del molteplice omogeneo nella intuizione in generale, in quanto per essa è primieramente resa possibile la rappresentazione di un oggetto, è il concetto di una quantità (quanti). La percezione stessa, dunque, di un oggetto come fenomeno è possibile solo mediante quella stessa unità sintetica del molteplice della intuizione sensibile data, per la quale l’unità della composizione del molteplice omogeneo vien pensata nel concetto di una quantità; cioè, i fenomeni sono tutti quantità, anzi quantità e s t e n s i v e, poiché debbono esser rappresentati come intuizioni hello spazio o nel tempo, per mezzo di quella stessa sintesi, onde sono determinati lo spazio e il tempo in generale.

Chiamo estensiva quella quantità, nella quale la rappresentazione delle parti rende possibile la rappresentazione del tutto (e perciò necessariamente la precede). Io non mi posso rappresentare una linea, per piccola che sia, senza tracciarla nel pensiero, cioè generarne viavia tutte le parti muovendo da un punto, e senza disegnare perciò prima di tutta questa intuizione. Altrettanto è da dire delle parti del tempo, anche delle più piccole. In queste io penso soltanto il successivo passaggio da un istante all’altro, per cui tutte le parti del tempo e la loro addizione danno infine una determinata quantità temporale. Ora, poiché la semplice intuizione in tutti i fenomeni è o lo spazio o il tempo, cosi ogni fenomeno, in quanto intuizione, è una quantità estensiva, non potendo essere conosciuto nell’apprensione se non per sintesi successiva (di parte a parte). Tutti i fenomeni pertanto vengono intuiti come aggregati (molteplicità di parti precedentemente date); ciò che non è precisamente il caso per ogni specie di quantità, ma solo per quelle che vengono da noi rappresentate e apprese estensivamente come tali. Su questa sintesi successiva della immaginazione produttiva nella produzione delle figure si fonda la matematica dell’estensione (geometria) co’ suoi assiomi esprimenti le condizioni dell’intuizione sensibile a priori; condizioni, alle quali soltanto è possibile che si costituisca lo schema di un concetto puro del fenomeno esterno; per es.: fra due punti è possibile soltanto una retta; due linee rette non chiudono uno spazio, ecc. Ecco gli assiomi che non concernono propriamente se non quantità (quanta), come tali.

Ma per ciò che riguarda la quantità (quantitas), cioè la risposta alla domanda: quanto una cosa sia grande, – sebbene parecchie di queste proposizioni sieno sintetiche e immediatamente certe (indemonstrabilia), tuttavia rispetto ad esse non c’è nessun assioma in senso proprio. Infatti, che una quantità uguale aggiunta a quantità uguale, o da questa sottratta, dia quantità uguale, sono proposizioni analitiche, essendo io consapevole immediatamente della identità di una di queste proposizioni di quantità con l’altra; ma gli assiomi debbono essere proposizioni sintetiche a priori. Al contrario, le proposizioni evidenti dei rapporti numerici sono bensì certamente sintetiche, ma non generali, come quelle della geometria, e appunto perciò non sono né anch’esse assiomi; e si possono chiamare formule numeriche. 7 + 5=12 non è una proposizione analitica. Giacché il numero 12 io non lo penso né nella rappresentazione del 7, né in quella del 5, né nella rappresentazione della loro somma. (Qui non si tratta se io debba pensare questo numero nell’addizione degli altri due; giacché in una proposizione analitica si tratta soltanto di sapere se io realmente penso il predicato nella rappresentazione del soggetto.) Ma, benché sintetica, tuttavia questa proposizione è soltanto particola re. In quanto qui si guarda semplicemente alla sintesi dell’omogeneo (delle unità), la sintesi qui può avvenire in un solo modo, quantunque l’uso di questi numeri sia poi generale. Se dico: “con tre linee, delle quali due prese insieme sono maggiori della terza, si può costruire un triangolo”, io qui ho la semplice funzione dellìmmaginazione produttiva, che può tirare le linee più grandi o più piccole, nonché farle incontrare secondo qualunque angolo a piacere. Al contrario il numero 7 è possibile in una sola maniera, e così anche il numero 12, che vien prodotto dalla sintesi di quello con 5. Proposizioni come queste non debbono dunque chiamarsi assiomi (che altrimenti ve ne sarebbe una infinità), ma formule numeriche.

Questo principio trascendentale della matematica dei fenomeni conferisce alla nostra conoscenza a priori una grande estensione. Giacché è il solo che renda applicabile la matematica pura, in tutto il suo rigore, ad oggetti dell’esperienza; ciò che senza questo principio non potrebbe risultare da sé evidente, anzi ha dato luogo a più d’una contraddizione. I fenomeni non sono cose in sé. L’intuizione empirica non è possibile se non per mezzo dell’intuizione pura (spazio e tempo); ciò, quindi, che la geometria dice di questa, vale anche senza contraddizione di quella, e tutte le difficoltà fondate sul pretesto che gli oggetti dei sensi non possono conformarsi alle regole della costruzione spaziale (per es. della divisibilità infinita della linea ? dell’angolo) devon cadere. Giacché altrimenti si nega allo spazio, e per esso a tutta la matematica, ogni valore oggettivo, e non si sa più perché, e fino a che punto essa sia applicabile ai fenomeni. La sintesi degli spazi e dei tempi, come forme essenziali di ogni intuizione, è ciò che rende possibile a un tempo l’apprensione dei fenomeni, e perciò ogni esperienza esterna, e per conseguenza anche ogni conoscenza degli oggetti di essa; e ciò che la matematica pura dimostra dell’una vale anche necessariamente dell’altra. Tutte le obbiezioni in contrario sono soltanto cavilli di una ragione falsamente informata, che erroneamente immagina di liberare gli oggetti dei sensi nella condizione formale della nostra sensibilità, e li rappresenta, malgrado sieno semplici fenomeni, come oggetti in se stessi dati all’intelletto; nel qual caso certamente nulla su di essi potrebbe esser conosciuto a priori e perciò nemmeno sinteticamente coi puri concetti dello spazio, e la scienza che questi determina, la geometria, non sarebbe possibile.